Capitolo 17

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*Alexandra's pov*

Quando Alex torna in casa, è scosso e arrabbiato. Tira un sospiro profondo cercando di calmarsi, fallendo miseramente.

-Cosa è successo?- sussurro.

-È solo un coglione!- grida, facendomi spaventare. Appena nota il mio sguardo impaurito scuote la testa e mi abbraccia di slancio. -Scusa, non volevo urlare.

Annuisco contro il suo petto e lo lascio andare.

Gli sto chiedendo spiegazioni in silenzio. Lo sto letteralmente implorando di darmi spiegazioni. Alex mi rivolge uno sguardo dolce e desolato, spiegando: -Mi dispiace, ma è meglio che io tolga il disturbo. Un giorno ti dirò cosa gli capita, okay?

-Io...- "...vorrei saperlo adesso. Vorrei aiutare, vorrei sapere cosa dire, vorrei sapere cosa non dire, vorrei avere il coraggio di dire tutto questo ad alta voce..." -...okay.

Alex mi sorride in modo comprensivo e si mette in tasca il cellulare e le chiavi di casa di Jack, per poi prendere il borsone contenente i regali (più che altro vestiti e custodie per chitarre).

-È meglio che io vada. Ci vediamo domani alle prove.- Mi dá un bacio sulla fronte e apre la porta, andandosene verso casa sua. Mio padre entra senza darmi il tempo di pensare a nulla e comincia a farmi domande. Rispondo a tutte, con un sorriso stampato in faccia, anche se l'unica cosa che vorrei fare è correre dietro ad Alex e supplicarlo di darmi informazioni.

Più tardi, quella sera, ricevo un messaggio.

*Devo parlarti.* di Jack.

Sgrano gli occhi. Non è mai stato così serio per messaggio. E poi deve parlarmi? Sono curiosa. Chissà, forse ha intenzione di dirmi cosa gli succede.

*Okay...* Rispondo.

*Incontriamoci al parco tra dieci minuti.* Mi scrive.

Scuoto la testa e mi cambio in un paio di jeans e una camicia a quadretti. Scendo in salotto.

-Papá, esco- urlo dal salotto.

-Dove vai e con chi?

-Parco con Alex- mento. Non mi va di fargli pensare qualcosa di sbagliato.

-Quando torni?

Mi stringo nelle spalle e prendo il cellulare per digitare un messaggio veloce a Alex.

*Se mio padre ti chiede se siamo al parco insieme, dì di sì. Sono con Jack.*

-Cerca di essere qui entro le undici.- Papá torna in cucina ad asciugare le stoviglie e io esco di casa per dirigermi verso il parco qui di fronte.

*Jack's pov*

Sono seduto su una delle due altalene del parchetto aspettando l'arrivo di Alex. Il nervosismo mi sta consumando e io voglio solo scappare. Sí, ho paura di dirle quello che provo per lei da un sacco di tempo ormai. Però, le parole di Gaskarth oggi pomeriggio mi hanno fatto cambiare idea. Devo farlo adesso, prima che sia troppo tardi. Forse c'è ancora qualcosa che può cambiare la situazione.

-Ehi.- La voce della ragazza mi fa sobbalzare e distrarre dai miei pensieri. Prende posto sull'altra altalena accanto a me.

-Ehi- replico.

C'è silenzio. Tanto silenzio. E come se non bastasse ci si mette anche il tramonto estivo a dare quell'atmosfera nostalgica e malinconica.

-Quindi...- inizia Alex dopo un po'. Accidenti, è così difficile tirarsi fuori le parole, adesso. Mi schiarisco la voce cercando di riordinare i pensieri. "Muoviti, Barakat."

-Non so da dove iniziare...- Posso chiaramente sentire il mio cuore battere furiosamente contro la cassa toracica. Non mi succede spesso... non è un buon segno.

-Prenditi il tuo tempo- pronuncia debolmente Alex, e sento la tensione presente nella sua voce. Passiamo altri due minuti in silenzio, si sentono solo le macchine che passano e il cigolio delle altalene che dondolano lentamente.

-Senti- mi decido finalmente. Alex tiene gli occhi fissi nei miei. Il suo sguardo color azzurro cielo mi dá la forza di andare avanti con le parole.

-È da un paio d'anni che mi piaci. Voglio dire, piaci piaci. Non so... Perché ci ho messo così tanto. Immagino fosse solo paura di rovinare l'amicizia. E adesso è troppo tardi.

Prendo un respiro profondo e aspetto una reazione da parte di Alex, con gli occhi fissi sul terreno. La reazione non arriva. Sento solo un respiro che si spezza. Sta piangendo?

-Jack, io...- Tira su con il naso e mi guarda. Noto che ha le guance bagnate. Mi sento estremamente colpevole... e non so neanche perché.

-Io... tu... forse è meglio che vada..

Il cuore mi sprofonda nel petto.

-Alex, aspetta.- Le prendo il polso e la costringo a guardarmi. Però non riesco a dire nulla. "È così bella anche quando è triste." Triste... per colpa mia? Cerca di liberarsi il braccio, ma non la lascio andare.

-Aspetta- sussurro.

-No, non aspetto.- Ha alzato la voce. -Ho aspettato troppo. E non posso darti colpa di nulla, perché neanche io ho avuto il coraggio di dirti che sono cinque anni che ti conosco e cinque anni che ti amo, okay? Ti amavo.

Le sue parole mi colpiscono e pesano come un macigno. -Mi amavi?

-Volevo lasciarmi il passato alle spalle e ricominciare, capisci? Volevo... dimenticarti, così che tu potessi essere felice. E adesso che ho lasciato tutto indietro tu mi dici queste cose? Adesso che anche io sto provando a essere felice? Sì, sono arrabbiata con te anche se non dovrei. Cazzo, io ti amo e voglio dimenticarti. E ci sto riuscendo.- Con uno strattone violento si libera il braccio. Mi alzo in piedi, standole vicino.

-Cosa stai...- La interrompo attaccando le mie labbra alle sue. Alex risponde al bacio, anche se sembrerebbe contro la sua volontà. È una sensazione così giusta. Anche se in mezzo c'è dello sbagliato, perché entrambi abbiamo un'altra persona.

Dura troppo poco. Alex mi spinge via con un sorriso triste e si asciuga le lacrime.

-Grazie. Grazie e scusa.- E corre via.

Un improvviso lampo di dolore mi attraversa il petto. Fa male. Vorrei non averlo mai fatto, o averlo fatto prima. Ecco cosa vuol dire avere dei veri sentimenti verso qualcuno. Si soffre e non si ottiene niente. Fa schifo. Fa talmente schifo che mi fa prendere a calci il palo della luce lì accanto. E poi andarmene.

A Love Like War || Jack Barakat/Josh FranceschiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora