Capitolo 2

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Il ritorno a casa è sempre la parte più dolceamara della giornata. Dolce perché finalmente posso farmi una doccia. Amara perché è finito il divertimento.

Cammino lentamente lungo la via finché non raggiungo casa e giro la chiave nella toppa.

-Sono a casa!- grido. E come al solito non risponde nessuno. Butto il portafogli e le chiavi sul mobile mentre prendo il cellulare e compongo il numero di mio fratello. Risponde al terzo squillo.

-Pronto?

-Ehi Kells, dove sei?

-A casa di Kate, torno per cena.

Controllo l'orologio.

-Ma è ora di cena.

-Cazzo. Sto arrivando. Papá è già li?

-No. Però muoviti.

Riattacco e lancio il telefono sul mobile mentre vado in cucina a far bollire l'acqua per la pasta.

Se c'è una cosa che mi piace abbastanza è la mia famiglia. Vivo con mio papá e mio fratello Kellin, che ha due anni in più di me. Lui è sempre stato svampito, ma molto dolce. Sta cercando una casa, perché se ne vuole andare e vivere con la sua ragazza, Katelynne. Stanno insieme da tanto, ormai. Papá, invece, ha un carattere molto strano. Vuole davvero bene a me e mio fratello, e ce lo dimostra spesso. È molto severo su scuola e orari (cosa comprensibile), solo che a volte lo è troppo. Qualche volta tende a essere assillante. Una cosa buona, però, è che non si fa troppo gli affari miei. Mi lascia i miei spazi, e quando ho bisogno di parlare con lui, lui c'è sempre. Gestisce il ristorante dall'altra parte della città, è un lavoro abbastanza redditizio ma gli porta via un sacco di tempo.

Mamma non sta con noi perché lei e papà hanno divorziato quando avevo quattordici anni, e da allora lei non si fa più vedere. Non ho sofferto molto (anzi, per niente), perché negli ultimi anni prima della separazione lei si dimostrava fredda e insensibile con tutti, a volte non vedevo l'ora che se ne andasse, davvero. Comunque sia, il periodo è passato, e, no, non mi manca per niente.

Kellin torna cinque minuti dopo la telefonata, mentre io con il dito sto torturando una formica che ho trovato sul pavimento e che nel frattempo ho portato su un pezzo di carta sul tavolo.

-Ma che schifo, pulisci quel tavolo- mormora Kells storcendo la bocca e rabbrividendo. Non sopporta gli insetti.

-È su un pezzo di carta, scemo. Vai a lavarti le mani, piuttosto.

Lui sale di sopra scuotendo la testa. I capelli neri gli ricadono sulle spalle. Mi sembrano sempre troppo lunghi, ma alla fine ci sta bene e io mi faccio solo delle paranoie. Paranoie. Ecco cosa mi rovina l'esistenza. Le mie inutili paranoie. Decido all'istante che d'oggi in avanti smetterò di tormentarmi con problemi stupidi e cercherò di vivere senza troppe futili preoccupazioni. Se solo fosse così facile come sembra.

-Ciao, Alex- chiama mio papà dal salotto. Neanche mi ero accorta fosse entrato.

-Ehi, papo. Kells è di sopra, fra dieci minuti è tutto pronto.- Sorrido e torno a girarmi per mescolare la pasta.

-Com'è andata oggi?- chiede sedendosi a tavola.

"Cos'ho fatto oggi di speciale?" Mah, niente. Come al solito. -Bene. Siamo stati al parco divertimenti.

-Hai studiato?- Ignora la mia risposta. Alzo gli occhi al cielo. Siamo alle solite.

-Papá- dico duramente, presa da un improvviso attacco di rabbia. -Sai che io studio alla sera, dopo mangiato.

-Ehi, tranquilla. Era una domanda.

-Da quando vado in prima sai che studio di sera, e continui a chiedermelo.

È una ragione stupida, ma la stanchezza e la ripetitività di questa domanda mi portano le lacrime dalla rabbia.

-Vado a farmi una doccia- mormoro quando Kellin entra in cucina. Me ne vado prima che i miei familiari possano chiedermi se ho fame.

Entro in camera mia e prima di buttarmi sul letto accendo lo stereo con il primo cd che trovo sul comodino. Green Day. Alzo il volume e seppellisco la faccia nel cuscino. Inizio a pensare.

Ci sono volte in cui voglio andarmene da casa, ma purtroppo, per ora, il mio stipendio e la legge americana non mi permettono di trovare un'abitazione per conto mio. Appena sarò maggiorenne, potrò andarmene. Aspetto con ansia il momento.

Sospiro quando mi rendo conto che domani è lunedì. Ricomincia la routine: scuola, casa, lavoro, uscire, casa. È tutto così monotono che anche i miei pensieri sono diventati sempre gli stessi. Mi impongo di non lasciar correre la mente al di fuori di ciò che riguarda la situazione al momento ed entro nel mio bagno a farmi una lunga doccia. Riesco a concentrarmi sui testi delle canzoni senza divagare su altro finché Boulevard Of Broken Dreams non mi catapulta nella malinconia che cerco di reprimere nel mio stomaco.

Storco la bocca quando la mia mente corre all'"abbraccio" di oggi e cerco di cancellarlo per sempre dal cervello. Se potessi smettere di pensare quando voglio, la vita sarebbe migliore. Quando mi tolgo l'asciugamano di dosso e infilo la biancheria intima, mi guardo allo specchio e sospiro. "Oh, se potessi avere il corpo che desidero." Penso malinconicamente. L'unica cosa che mi piace di me è il tatuaggio a ghirigori sulla spalla destra. È abbastanza grande, ma ho scelto un punto in cui mio padre non l'avrebbe mai visto. Darebbe di matto se scoprisse che ho speso più di metà del mio stipendio di un mese per potermelo permettere.

Il resto è tutto sbagliato. Dal sedere troppo sporgente, al seno troppo piccolo, dalla vita troppo stretta agli occhi troppo grandi e troppo azzurri, dai capelli troppo crespi al naso troppo piccolo. Sbagliato.

Infilo una maglietta larga che uso per dormire e rimango in mutande, spengo lo stereo e mi infilo sotto le coperte.

La rabbia esplosa prima si è trasformata in atteggiamento di sfida verso mio padre. Vuoi che studio? Io non lo faccio. Non mi interessa. Andrà tutto bene comunque, non ho mai studiato sul serio e a scuola arrivo anche a prendere A basandomi solo sulla memoria, quindi poco importa. Mi concedo un'occhiata al cellulare, dove la scritta "Un nuovo messaggio da: 'Alex l'Omonimo'" lampeggia sullo schermo. Lo apro e leggo.

*Zack ha trovato la tua felpa incastrata alla zip del suo zaino, domani te la porto, okay?*

Al che rispondo:

*Quando vuoi. Grazie, me n'ero scordata.*

Spengo il cellulare e lo riappoggio al comodino. Mi chiedo, tristemente, come facciano i miei amici a sopportarmi. Mi rendo conto anche io di essere costantemente incazzata con qualcosa, e di essere forse troppo seria per la mia età, e io sinceramente non riuscirei a compatire una come me. Soffoco uno sbadiglio e mi tiro la coperta fin sopra le orecchie. Spengo la luce e cado all'istante in un sonno tranquillo.

A Love Like War || Jack Barakat/Josh FranceschiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora