Capitolo 1 (parte due)

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Leanna

«È una bugia», sussurrai totalmente in crisi. Li guardai: «state mentendo!» Gridai contro di loro sentendo la rabbia divampare, proprio perché dentro, nel profondo, sapevo che quella era la verità e non volevo accettarlo.

Non potevo farlo.

Cercai di trattenere le lacrime che spingevano di uscire. Tutto aveva un senso: lei era un angelo e lui uno schiavo, stavano insieme e si amavano... ero esattamente l'unione di quell'amore: due esistenze in un solo corpo.

Come potevo non credere che fossero davvero i miei veri genitori?

Riuscivo a spiegare la mia esistenza solo con quella rivelazione. Però mia madre non avrebbe mai potuto mentirmi per tutto quel tempo, non lo avrebbe fatto. Se veramente fossi stata adottata, me lo avrebbe detto. Mi sentii a pezzi, totalmente in confusione, perché tutto ciò in cui avevo creduto da sempre era appena crollato.

La mia vita era tutta una farsa e dovevo rimettere a posto ogni pezzo del puzzle, ma era come se avessi perso le forze e la voglia. Forse, non desideravo più sapere. Volevo solo tornare a mesi prima, alla mia vita normale, insensata e più piatta di qualsiasi altro umano.

Volevo tornare a quando non esistevano angeli, schiavi, bugie e addii.

Sarebbe stato più semplice, avrei vissuto normalmente e non avrei dovuto vivere con il pensiero di poter essere ammazzata ogni secondo. Però, anche se l'idea di una vita tranquilla era stuzzicante, non lo avrei mai fatto. Non sarei mai tornata indietro perché quello voleva dire rinunciare a Gabriel, e a lui proprio non potevo rinunciare.

Stavo solo scappando, evitando di affrontare le sofferenze e le difficoltà che già avevo messo in conto, ed era inutile perché era quella la vita che mi ero scelta e dovevo solo essere forte.

Sentii di colpo girare la testa vertiginosamente e cercai di aggrapparmi al divano, ma era distante da me.

«Leanna!»

Sentii la voce allarmata dello schiavo e i suoi passi avanzare con velocità, poi, buio totale.

***

Mi svegliai per la seconda volta disorientata e ancora sul divano. Mi misi a sedere e guardai confusa Moon, che a quanto pare era mia madre. Era seduta sempre su quella poltrona e mi fissava sorridendomi. Mentre Ares, che appunto era mio padre, mi sorrideva in piedi vicino alla finestra.

Loro erano felici e io completamente scombussolata.

«Ti senti meglio?» Chiese Moon sorridendomi. Annuii semplicemente e la fissai.

«Cos'è successo?»

«Ti sei accasciata di colpo a terra perdendo i sensi, Ares ha capito subito cosa stesse per accadere e ti ha presa»

Mi voltai a fissarlo intensamente: «Quindi, sono vostra figlia?» Andai diretta pronta ad affrontare quel discorso. Ed era anche ovvia la risposta, o per lo meno da quanto avevano detto loro, ma non seppi cosa dire; ero in difficoltà, impreparata ad una cosa del genere.

«Si, e non puoi immaginare come siamo felici di saperti viva! Non hai idea di quanto eravamo così preoccupati per te!» Moon rispose senza prendere aria e appena terminò le lacrime scesero dai suoi occhi.

«Preoccupati per me?! Non mi sembra, visto che mi avete abbandonata!» Tolsi lo sguardo dallo schiavo e la guardai, sentendo dentro la rabbia mangiarmi viva per colpa delle sue parole, perché alla fine era la verità dei fatti: loro mi avevano abbandonata.

«Assolutamente no, Lea! Non devi pensare minimamente a una cosa del genere!» Ares si avvicinò subito e si mise a sedere accanto a me, «non ti abbiamo mai voluta abbandonare, siamo stati costretti per poterti proteggere e per tenerti in vita», mi guardò intensamente negli occhi, e solo in quel momento notai che il suo sguardo era tagliente e aggressivo da far paura a chiunque, ma con anche una scintilla di luce innocente.

Dentro l'infernoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora