Capitolo 5

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Leanna

"Gabriel, sarà la tua rovina".

Ero andata a letto con quella frase, e quando mi svegliai la ritrovai ancora lì ad attendermi. Non ero riuscita a chiudere occhio, se non per un paio d'ore. Appena Ares pronunciò quelle parole rimasi in silenzio incapace di replicare, paralizzata davanti a quella realtà. Perché si, in qualche modo, sapevo che quella era la verità. Forse l'avevo anche sempre pensato, ma proprio come mi aveva accennato Ares non volevo ammetterlo neanche a me stessa. Quell'affermazione giaceva nascosta e l'avevo chiusa in un angolo senza darle mai ascolto. Non so dire perché sarebbe stata la mia rovina o perché ne fossi così convinta, sapevo solo che sarebbe accaduto. Attendevo quel giorno.

«Leanna!»

Sentii la voce possente di Ares arrivare da dietro la mia porta e quello mi riportò alla realtà. La guardai e subito dopo pochi secondi, vidi il suo sguardo su di me.

«Ah, sei già sveglia», mi scrutò con un'espressione sorpresa convinto che stessi ancora dormendo, e se così fosse stato, sarebbe stato decisamente meglio anche per me. Invece i pensieri e tutti quei dubbi, mi avevano impedito un bel sonno profondo e rigenerante. Ero anche più a pezzi del giorno prima.

«Non avevo sonno», tagliai corto.

Mi alzai e andai direttamente in bagno senza dargli modo di replicare. Non ero in forma non solo fisicamente, ma anche mentalmente. Il mio umore era decisamente a terra, sentendomi in un vortice nero, e in quel momento desideravo solo che la giornata terminasse al più presto. Entrai in doccia e mi lavai lasciandomi accarezzare dall'acqua bollente e facendo scivolare via ogni pensiero.

Era ovvio che quella frase mi aveva destabilizzata, ma non dovevo farmi condizionare così tanto da una presupposizione azzardata. Anche se pensavo che Gabriel in qualche modo sarebbe stata la mia rovina, sarei andata avanti lasciando solo al tempo la conferma di quell'affermazione. E decisi che avrei fatto così: mi sarei affidata al destino. Qualsiasi cosa sarebbe accaduta, l'avrei affrontata in futuro quando sarebbe arrivato il momento.

Uscii dalla doccia e mi asciugai velocemente i capelli lasciandoli ricci e legandoli in una coda alta. Tornai nella stanza notando che Ares era andato via e presi i vestiti dall'armadio: un pantaloncino nero con una canotta dello stesso colore e le mie solite scarpe. Una volta pronta, scesi in cucina e bevvi il caffè già pronto sul tavolo. Guardai l'orologio e vidi che erano appena le quattro di mattina, roteai gli occhi non entusiasta e andai fuori nel bosco: l'allenamento stava per iniziare.

Ares si alzò dal tronco appena mi vide uscire dalla porta. Lo guardai e iniziai a correre, sapendo che saremmo andati alla cascata, e d'altronde non c'era nessun altro posto dove potessimo andare. Dovevo rimanere nascosta e quello riusciva solo ad alterarmi di più.

«Oggi sei silenziosa», Ares mi venne vicino scrutandomi attentamente. Continuai a correre e mi voltai a guardarlo di sfuggita.
«Sono concentrata». Non avevo voglia di parlare, volevo allenarmi e pensare solo a quello.
«A correre?!» Sorrise.
Lo guardai e vidi che corrugò la fronte studiando il mio strano comportamento.
«Si, se non mi concentro potrei anche farmi male», alzai gli occhi al cielo e sorrisi, prendendomi gioco di quella situazione e cercando di smussare un po' la tensione che mi accompagnava quel giorno.
«Un immortale concentrato a correre perché potrebbe farsi male cadendo?! Interessante. Non ho mai sentito una storia del genere... davvero elettrizzante», ironizzò e mi fece l'occhiolino.

Risi davvero divertita dalle sue parole. Aveva notato che qualcosa in me non andava, lo aveva praticamente intuito da quando aveva aperto la porta della mia camera, e in un modo veramente bizzarro e infantile era riuscito a farmi stare meglio. Mi aveva strappato quel sorriso che tanto stava cercando, e dal suo sguardo soddisfatto potevo intuire che era riuscito nel suo intento.

Dentro l'infernoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora