Capitolo 8

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Leanna

«Sono tornata», sorrisi entusiasta.

Guardai quello che per diciannove anni era stato il mio posto nel mondo. Non riuscivo a spiegare l'emozione che sentivo, era come un turbine di amore e felicità mischiata con il dolore e la rabbia; un culmine di emozioni di quegli anni raggruppati in una sola. Avevo passato momenti tristi e felici per le strade su cui volavo, avevo passato momenti di lite, di solitudine e di amicizia.

Abby, pensai a lei.

Era martedì pomeriggio e sicuramente era alla gelateria Marshmallow. Andavamo tutti i martedì verso le quattro, prendevamo il frappé e restavamo per ore a parlare e a ridere. Uno dei nostri tanti momenti insieme. Il desiderio di passare davanti a quel posto fu talmente forte che dovetti resistere e cambiare rotta andando dalla parte opposta. Cercai di non pensare più a niente del mio passato e di focalizzarmi solo a trovare Gabriel.

Volai e senza accorgermene il mio cuore mi condusse proprio nel posto più importante per me: la mia casa. Era bianca e grande, con il porticato che evidenziava il suo fascino e la porta blu che le donava una particolare stravaganza. Il giardino era curato, l'unico in quel viale, proprio perché mio padre ci teneva molto e infatti era pieno di fiori bellissimi e di piante tenute in maniera impeccabile. Guardai attentamente ricordando ogni istante passato in quel luogo. Osservai la poltrona in vimini sul terrazzo di camera mia e sorrisi, pensando a quante ne aveva sentite. Tutte le mie paranoie, i miei pensieri manifestati ad alta voce, i pianti e le risate... il mio piccolo e confortevole angolo di sfogo.

Mi avvicinai e atterrai proprio davanti a quella sedia, la toccai e sentii una sensazione di tristezza: non l'avrei più potuta usare. Mi voltai verso la porta finestra e facendomi coraggio l'aprii entrando nella mia stanza. Era uguale a come l'avevo lasciata, solo estremamente pulita e completamente in ordine. La scrivania era colma di libri di scuola, fotografie e oggetti che mi erano stati regalati da amici e dai miei genitori. Presi il quadrifoglio in gomma: era stato un regalo che i miei genitori mi avevano donato al primo anno di liceo, proprio per augurarmi tanta fortuna per gli anni che avrei affrontato.

Ricordai che quel giorno ero preoccupata e ansiosa di dover affrontare il primo anno, e che mentre facevo colazione i miei genitori si misero accanto a me donandomi quel piccolo oggetto, dicendomi: "Lea, sei così forte e coraggiosa che saprai affrontare qualsiasi cosa. Sei una Ellis e la famiglia Ellis, non teme niente!".

Quanto avevano ragione.

Noi eravamo proprio una famiglia che non si spaventava di niente, affrontavamo qualsiasi cosa senza arrenderci mai. Asciugai una lacrima che cadde sulla mia guancia e continuai a rovistare tra le mie cose aprendo il cassetto. Trovai una piccola scatolina rossa con dentro un ciondolo: una freccia. Mi era stato regalato da Abby al mio tredicesimo compleanno, dicendomi che lei aveva l'arco e che l'uno senza l'altro non sarebbe potuto esistere, esattamente come la nostra amicizia. Per questo, i due ciondoli significavano in maniera concreta il nostro indissolubile legame. Sospirai al ricordo di quelle parole, chiusi il cassetto e andai verso il letto.

«Lea?»

Sentii la voce di mia madre bisbigliare il mio nome e i rumori dei suoi passi avvicinarsi alla porta. Uscii di scatto sul terrazzo e mi nascosi dietro il muro trattenendo il respiro.

«Lea, sei tu?»

La voce che conoscevo benissimo e che mi era mancata così tanto era sottile e tremante quasi stesse per piangere. Sbirciai guardandola e per un attimo diventai un vampiro: un corpo vivente con un cuore senza battito, morto. Non respirai e non perché volontariamente cercavo di trattenere l'aria, bensì per ciò che i miei occhi stavano vedendo.

Dentro l'infernoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora