Capitolo 15

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Leanna

Altri giorni passarono lentamente, sembrando secoli, e improvvisamente la mia vita sembrò non avere più senso. Ogni giorno e ogni notte tornavo indietro tra i ricordi, trovando in essi la mia unica via di fuga e rimanendone intrappolata.

Il tempo passava e rimanevo prigioniera di quelle mura, perdendo totalmente la cognizione del tempo.

Non avevo forze per alzarmi dal letto, non toccavo cibo da ormai settimane tanto d'aver quasi dimenticato anche il sapore di un semplice pezzo di pane, ma la cosa che più mi stupiva era che ancora respiravo. Ma alla fine, come spesso dimenticavo, ero immortale e potevo ridurre il mio corpo nei peggiori dei modi che tanto tornavo sempre come madre natura mia aveva creata.

Ero dimagrita e lo potevo notare da come il mio corpo spariva dentro alla grande maglietta di Gabriel. Mi ero lasciata andare, arrendendomi del tutto.

Non feci altro che dormire o guardare fuori dalle finestre, che vennero a sistemarle e a sbarrarle con delle ringhiere in ferro, chiusa in gabbia come se fossi una delle più crudeli assassine. Pensavo e ripensavo ad ogni cosa, non riuscivo a calmare l'angoscia che sentivo nel petto e la malinconia che si faceva sentire in ogni istante.

Non avevo nessuna arma per poter fuggire a quel destino, anche perché quello che di più potente avevo era sparito nel nulla, e senza poteri mi restava solo un'alternativa: combattere. Un'alternativa che non mi era stata poi così d'aiuto. Non volevo arrendermi, volevo continuare a lottare, trovando il modo per poter uscire da quel castello, ma purtroppo fuggire finora non mi aveva portata a niente, anzi le conseguenze erano state anche peggio: bloccata da sola in una stanza senza fare niente e con tanta di quella rabbia da poter soffocare.

Sapevo che prima o poi avrei ritrovato la forza di lottare e tornare da Gabriel, ma per il momento non riuscii a farlo e mi diedi il permesso di sprofondare giù negli abissi. Mi sarei concessa di starmene ferma, immobile a logorarmi il fegato e a martellarmi la testa di pensieri finché ne avrei avuto bisogno, fino a quando il mio tempo per reagire e capovolgere la situazione sarebbe arrivato.

Stavo vivendo un bruttissimo incubo dove non vedevo la porta che mi avrebbe portata alla libertà, a uscire da quell'oppressione che stavo realmente vivendo, ma sapevo che un giorno avrei trovato la chiave e sarei tornata al mio sogno, alla mia bellissima vita incasinata insieme a lui: l'altro pezzo del mio cuore che mi attendeva a casa.

Dopo aver dormito per una giornata intera, e senza aver voglia di alzarmi, decisi di rimanere a letto. Annusai la maglia di Gabriel e ovviamente non trovai il suo odore, era svanito esattamente come il suo ricordo. Pian piano la mia mente si stava annebbiando e sentivo solo quelle emozioni incontrollabili che letteralmente mi stavano annientando.

La porta si aprì e dopo qualche secondo vidi Raphael. Da quando avevamo litigato l'ultima volta, settimane prima, veniva a vedermi per due o tre volte a notte e restava qualche ora. Mi portava come al solito da mangiare e cercava di avere una conversazione, con pessimi risultati, ritrovandosi sempre a parlare da solo. Non gli rivolgevo parola, anche perché non avevo niente da dirgli e anche se alzava la voce e si infuriava, non lo guardavo e rimanevo in silenzio totalmente apatica.

Non capivo perché continuasse a comportarsi in quel modo e neanche perché fosse così disponibile e interessato a me.

Cercava di tirarmi fuori da quel baratro nero in cui mi ero rifugiata accasandomi, e lo faceva sia con le buone che con le cattive maniere, e anche se non ci riusciva, ritrovandosi davanti un muro indistruttibile, ci riprovava sempre senza mollare mai: almeno qualcuno non si arrendeva a differenza mia. Col passare del tempo, però, l'unica cosa di cui mi ero accorta era che la sua presenza non mi dispiaceva più di tanto, era diventata sopportabile.

Dentro l'infernoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora