Questo è un periodo che sto provando a rispondere alle diverse domande che mi fate, ne ho diverse ancora accumulate, e oggi proverò a dare una risposta ad un quesito e ad uno scenario molto interessante delle neuroscienze, di cui tanti mi avete chiesto un parere. Oggi parleremo di persone altamente sensibili (PAS). Si tratta di individui che presentano una caratteristica della loro mente che fornisce loro una maggiore suscettibilità e anche reattività agli stimoli dell'ambiente intorno a loro. In senso esteso, direi che addirittura nell'intorno socio ambientale questo tratto è ampiamente studiato dalla psicologia. La psicologa e ricercatrice Elaine Aron ha iniziato a parlare di alta sensibilità durante gli anni '90. Questa autrice ha scritto un libro nel 2010, dal titolo Psychotherapy and the Highly Sensitive Person, un libro piuttosto interessante nel quale si intercetta un bisogno latente, una ricerca di senso in molte persone, anche molti terapeuti, perché questo tratto dell'alta sensibilità probabilmente è qualcosa che ronzava nella testa sia nelle persone che sono riconosciute in questa descrizione, ma anche in coloro che lavoravano a contatto con la salute mentale. Esiste un pregiudizio per il quale essere sensibile significherebbe essere timidi, introversi, deboli e addirittura sbagliati, ma la stessa Elaine sottolinea che l'ipersensibilità è un segno di valorizzazione. Questo termine indica una sensibilità superiore alla media in modo temporaneo o in modo permanente. Le premesse scientifiche si basano su una combinazione di fattori genetici e ambientali che interagiscono tra loro. Ci sono analisi attuate mediante la risonanza magnetica funzionale che suggerirebbero una differenza tra questo tratto di personalità e altre condizioni che potrebbero originare indirettamente caratteristiche simili alla condizione dell'alta sensibilità, come lo spettro autistico, il disturbo da stress post traumatico, anche la schizofrenia in alcuni casi. Abbiamo anche studi su varianti polimorfiche del trasportatore della serotonina che potrebbe essere implicato in una base biologica del tratto dell'alta sensibilità e rendere anche ragione delle dimensioni di ereditarietà genetica. E' stato analizzato che il 20% della popolazione è affetto da questo tratto psicologico. Ma, come si riconoscono queste persone ad elevata sensibilità? Ebbene, si distinguono per delle caratteristiche peculiari: sono più sensibili alle sfumature e alle sfaccettature dell'ambiente che li circonda, come i suoni, le luci, elementi architettonici. Sono elementi che possono distrarli e, addirittura, sopraffarli: possono essere facilmente soverchiati da molti stimoli presenti nell'ambiente o da situazioni emotivamente intense. Possono avere difficoltà estreme ad entrare in contatto e a sostenere la loro presenza in un ambiente in cui ci sono persone che urlano, che litigano, che stanno attuando un confronto acceso. Queste cose le mettono in un forte stato di panico e di ansia: percepiscono in modo più intenso le emozioni proprie e quelle degli altri. Quindi, il loro faro dell'attenzione è rivolto in ambedue le direzioni: verso l'interno e verso l'esterno. Sono più attente ai dettagli, perché hanno una maggiore capacità di cogliere le sottili sfumature artistiche della poesia, dunque del linguaggio, della prosodia, della musica, delle interazioni con le altre persone. Sono caratteristiche che potrebbero rappresentare competenze personali per alcuni tipi di attività lavorative, ad esempio come diventare artisti, detective, medici, filosofi. Anche se l'ipersensibilità non è una patologia o un disturbo, risulta spesso che ci sia un disadattamento agli stimoli: si sentono fuori dal mondo e affaticati. L'affaticamento è spesso un problema, proprio perché hanno un'eccessiva stimolazione ambientale che poi indica la necessità di avere dei tempi di recupero: hanno bisogno di dormire di più, di spegnersi, di isolarsi un po' in alcuni periodi per staccare. Sul piano epidemiologico questo fenomeno si troverebbe nella medesima proporzione tra maschi e femmine e sarebbe anche indipendente da altre variabili di personalità (timidezza, introversione, neuroticismo). Sempre secondo le ricerche di Elaine e del marito Arthur, un neurologo, questi soggetti si contraddistinguono per caratteristiche che possono essere ricordate dall'acronimo DAS (Death of processing), cioè il processamento più profondo delle informazioni che gli ipersensibili sono in grado di scorporare per analizzarle meglio e renderle più accurate. Sono, dunque, soggetti a sovrastimolazione e a sovraccarico cronico, hanno maggiore responsività emotiva ed empatia, hanno una percezione più "sottile", precisa dell'ambiente e delle relazioni sociali. Mostrano, indubbiamente, alcuni vantaggi che riguardano la profondità di elaborazione dei problemi, la predisposizione a trovare molteplici soluzioni, anche più creative, e ad essere più efficaci nella mediazione tra le persone. Inoltre, sono ubiquitarie, cioè che riescono ad adattarsi e trovarsi in ogni luogo. Va ribattuto che l'ipersensibilità non è una diagnosi medica, è semplicemente una caratteristica psicologica, che in alcuni casi rappresenta una fragilità. Molto spesso, sono soggetti che prima di conoscere un nuovo contesto, tendono a studiare le persone e analizzare il territorio circostante. Nella mente altamente sensibile succede questo ogni giorno:
"Usciamo di casa e già osservando le persone che vanno a lavoro abbiamo una certa idea di quello che stanno pensando e provando. Entriamo nel posto in cui lavoriamo e, appena varcata la soglia, già percepiamo l'atmosfera: un malumore del partner, i non detti, le mezze verità, le manipolazioni bastano a rovinarci la giornata e a rimuginarci per giorni. Contemporaneamente ci preoccupiamo per i nostri animali, per i nostri genitori, per il dolore che sta provando la nostra amica, per la tristezza che sta provando quel collega di lavoro e per quello che succede nel mondo. Sentiamo sulla nostra pelle tutte queste emozioni come fossero nostre. Quindi, una giornata già di per sé difficile, viene complicata ulteriormente da tutto quello che ci aggiungiamo noi, senza poter mai mettere il cervello in pausa. La conseguenza di tutto questo è che ci ritroviamo con la batteria al ventidue percento già alle undici di mattina. Ecco perché abbiamo più bisogno degli altri di momenti in cui riposarci, di momenti in cui stare da soli e ricaricarci. Momenti in cui elaboriamo tutto ciò che abbiamo provato e sentito durante la giornata."
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APPESI AL FILO DELLA FOLLIA
Non-FictionIl libro racconta la storia di una psicologa, di cui si disconosce il nome, che aiutando i vari pazienti, anch'essi saranno ignoti, analizzerà i vari casi clinici approfondendo la loro patologia in maniera dettagliata. La parte "scientifica" dei var...