Isaac Newton è forse lo scienziato più famoso della storia. Fu il primo a spiegare le orbite dei pianeti, il moto dei corpi in acqua o aria, le maree, la propagazione del suono e altro ancora. Ma la verità è un'altra: i famosi esperimenti effettuati non erano il fine, ma solo il mezzo per scoprire la religione, l'esoterismo, l'alchimia. Newton era un uomo del suo tempo profondamente intriso di fede e religiosità. Da un lato, la sua eccezionale intelligenza lo spingeva a cercare la spiegazione di ogni cosa; dall’altro, la sua fede profondamente puritana lo spingeva a credere che la spiegazione ultima di ogni cosa fosse Dio, e che le leggi fisiche del mondo visibile fossero legate, e causate, da leggi più misteriose e arcane. Newton provò ad applicare l’approccio scientifico alla teologia, confrontando i testi sacri. Così imparò l'ebraico. Si dice che:
"Un filosofo è un cieco che cerca in una stanza buia un gatto nero che non c’è. Un teologo è l’uomo che dice di aver trovato il gatto."
Secondo la teoria di Newton, tutti gli dèi dell’antichità erano in realtà sempre gli stessi personaggi biblici, dodici di numero, adorati con nomi diversi a seconda del luogo e dell’epoca storica. Noè era diventato il dio Saturno; come Noè, anche Saturno aveva tre figli. Uno dei figli di Noè (Cam) era diventato uno dei figli di Saturno (Zeus), poi Giove, Hammon eccetera. Perché gli dèi erano proprio dodici? Il numero dodici corrispondeva ai sette pianeti allora noti, più i quattro elementi di Aristotele (terra, aria, acqua e fuoco), più la quintessenza. La vera Religione, quindi era collegata direttamente alla Natura, un’altra evidenza, per Newton, che religione e scienza fossero collegate. Trovò che un’altra caratteristica comune a tutte le antiche religioni era l’avere un tempio con un fuoco che bruciava perennemente, come quello delle Vestali nell’antica Roma. Questo tempio doveva imitare la Natura, perché era un riflesso di Dio. Conoscere la struttura del Tempio voleva dire conoscere la struttura dell’Universo. Trovò infine una disciplina che sembrava poter riunire al meglio esperimenti pratici e studi esoterici per rivelare verità profonde: l’alchimia. L’alchimia nacque, sembra, subito dopo la nascita di Cristo, in Egitto. Secondo gli alchimisti i primi testi furono scritti direttamente dal dio egizio Thoth, chiamato poi in greco Ermete Trismegisto. Con la caduta dell’Impero Romano, l’avvento del Cristianesimo e la distruzione della biblioteca di Alessandria tutti i testi antichi andarono persi, e la conoscenza dell’alchimia scomparve nel mondo occidentale rimanendo però viva in quello arabo che la ritrasmise, nel medioevo, agli studiosi europei. Gli alchimisti si concentravano sull’uso di sette metalli, tanti quanti erano i pianeti conosciuti: oro, argento, ferro, stagno, mercurio, piombo e rame. L’elemento principe di ogni trattamento era il mercurio, l’unico metallo a essere liquido a temperatura ambiente, considerato quindi speciale. Il mercurio metallico (quello dei termometri) non è particolarmente tossico perché è assorbito poco dalla pelle. Se riscaldato o combinato con altri elementi, invece, genera vapori altamente velenosi che penetrano nel corpo attraverso la pelle o i polmoni, bloccando l’azione di alcuni enzimi. I possibili effetti sono prurito, formicolio, arrossamento e squamazione della pelle, perdita di capelli, denti e unghie e danni permanenti alla vista, all’udito e ai muscoli. Una scoperta molto eccitante per gli alchimisti fu quella che una miscela di acido cloridrico e nitrico era così potente da poter dissolvere persino l’oro. Questa miscela fu per questo chiamata acqua regia, e la usiamo ancora oggi in laboratorio per rimuovere alcuni tipi di sporco ostinato. La soluzione ottenuta col trattamento acido era poi distillata in alambicchi. Si aggiungeva poi un ossidante, nitrato di potassio. La miscela così ottenuta era altamente esplosiva; si pensa che la polvere da sparo fu scoperta proprio a causa di qualche esperimento alchemico. Infine, si chiudeva il tutto in un contenitore “ermetico” e si riscaldava pian piano. Il risultato era una poltiglia di composizione variabile, che poteva essere bianca oppure rossa. Il malloppo era il costituente base della pietra filosofale ma, inevitabilmente, con grande delusione dei poveri alchimisti, non tramutò mai neanche un grammo di metallo in oro. Ognuno dei sette metalli era citato usando il simbolo del pianeta corrispondente:
Oro = Sole
Argento = Luna
Rame = Venere
Ferro = Marte
Stagno = Giove
Mercurio = Mercurio
Piombo = Saturno
Tutto questo miscuglio di significati chimici ed esoterici rendeva impossibile qualsiasi tipo di progresso scientifico. Newton raccolse e studiò decine di testi sull’Alchimia: alla sua morte la sua biblioteca conteneva almeno 175 libri. Questi testi sono elenchi affascinanti di nomi astrusi, che spaziano dalla chimica, all’astrologia, alla mitologia. Una tipica descrizione di un reagente poteva essere così:
"Magnesia, o leone verde. È chiamata Prometeo o Camaleonte. Anche Androgino, e terra vergine verdeggiante, nella quale il Sole non ha mai fatto penetrare i suoi raggi, benché egli sia suo padre e la luna sua madre."
Si scelse, come molti alchimisti, un nome in codice segreto: Jeova Sanctus Unus (Dio santo e uno), che rispecchiava le sue idee religiose e che era anche un anagramma del suo nome in latino (Isacuus Neuutonus). Non avendo nessun tipo di strumento d’analisi, Newton testava molti prodotti dei suoi esperimenti assaggiandoli. Un’analisi fatta in tempi moderni ha misurato concentrazioni di mercurio decine di volte superiori alla media nei capelli di Newton. Le ricerche di Newton sull’alchimia durarono più di trent’anni senza ottenere, com’era prevedibile, nessun risultato pratico. La pietra filosofale era impossibile da realizzare. Il problema peggiore dell’alchimia era proprio ciò che la rendeva così attraente: l’alone di mistero che la circondava, e la passione degli alchimisti per un linguaggio ermetico la facevano apparire affascinante, ma bloccavano qualsiasi tipo di confronto sistematico tra diversi esperimenti. Gli alchimisti usavano termini difficili, linguaggi in codice e metodi da cospiratori, dando l’impressione di custodire chissà quale antica sapienza. Ma, alla fine dei conti, quello che facevano era mescolare, cuocere e distillare inutili poltiglie. Fu un altro grande scienziato ed economista, John Maynard Keynes, a recuperare gli appunti segreti di Newton e mostrare al mondo il lato più segreto, e nascosto, del genio. La cosa paradossale è che Newton si giudicò un fallito. Le grandi scoperte che a noi sembrano un successo di dimensioni colossali erano per lui, invece, solo un piccolo passo verso un obiettivo ancora lontano. Egli si vedeva così:
"Non so come posso apparire al mondo; a me sembra di essere stato solo come un bambino che gioca sulla spiaggia, divertendosi nel trovare un sasso più liscio del solito, o una conchiglia più bella…mentre il grande oceano della verità si estendeva, inesplorato, di fronte a me."

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APPESI AL FILO DELLA FOLLIA
Non-FictionIl libro racconta la storia di una psicologa, di cui si disconosce il nome, che aiutando i vari pazienti, anch'essi saranno ignoti, analizzerà i vari casi clinici approfondendo la loro patologia in maniera dettagliata. La parte "scientifica" dei var...