IL LIBRO DEI RICORDI

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Io stessa quando mi trovo ad ascoltare una canzone mi sento completamente catturata, quasi come se io fossi la protagonista del racconto cantato. Questo avviene perché nella scrittura delle canzoni, per far arrivare un concetto che sia sentimentale o sociale, bisogna estremizzare le parole. Perché è difficile far arrivare lo stesso pensiero e la stessa emozione in tre minuti di canzone. E quando si riesce a sintetizzare un intero concetto in una sola frase, la melodia e il testo stesso restano nella parte mnemonica del cervello come se fosse un tormentone e quelle parole, quelle emozioni e quei sentimenti prendono possesso della tua mente. Questo vuol dire, secondo me, l'estasiarsi. Per poter scrivere un libro o una canzone o una poesia, come anche disegnare, dipingere, scolpire un qualcosa idealizzato da noi, serve tanta creatività ed immaginazione. Ci si può ispirare a grandi artisti di talento, oppure si può creare qualcosa partendo da zero. Io, ad esempio, sono partita da zero: mi sono trasferita in un'altra città, ho cambiato lavoro e ho cominciato una nuova vita. Il mio passato è qualcosa da dimenticare. Quando sogno, la notte ancora riesco a ricordare i momenti belli e brutti che ho vissuto, come se stessi sfogliando un libro dei ricordi. La verità è che quando ero più giovane su molte cose ero ancora ingenua, non mi rendevo conto della gravità della situazione. Invece adesso, ho capito che quella persona non ero io, ero un oggetto idealizzato e creato dal mio ex marito.
Come me ne sono resa conto, vi starete chiedendo voi. Ho notato che da quando ho iniziato a dubitare sul suo essere perfetto, lui ha rizzato i capelli più per l'aver analizzato i suoi difetti che per il discorso in sé. Una persona narcisista crede nel suo ego e non si fa scrupoli.
La mia vita adesso va a gonfie vele: la mia passione è diventata la mia professione e la mia serenità è gratificata dalla mia libertà. Sentirsi liberi è la miglior medicina di ogni male. È tarda sera e mi ritrovo sdraiata sul letto con il notebook poggiato sulle mie gambe, la lampada a led bianca accesa sopra il ripiano in legno chiaro e una tazza di tisana fumante alla rosa canina. Mentre leggo i commenti sotto al mio ultimo blog della giornata, scruto da lontano con la coda dell'occhio un libro.
Mi alzo e mi avvicino verso la cassapanca di legno dove è riposto il libro dalla copertina verde e oro. Lo sfoglio e mi accorgo che è un album di fotografie: siamo io ed il mio ex.
Non è possibile, io questo l'avevo lasciato nella vecchia casa. Come è arrivato fino a qui? L'avrà messo lui di proposito?
Sono tutte foto scattate nell'arco di un anno: il primo anno da fidanzati. In ogni immagine, però, lui ha uno sguardo diverso, sempre più cupo e misterioso. Non l'avevo mai notato. Poi, osservo che dietro ad una in particolare c'è un mio paziente con una bambina accanto. È quello che sembra un serial killer che si sogna una voce femminile la notte!
Ma per quel che so, lui ha solo un figlio maschio, chi può essere quella bambina?
Inizio a guardare attentamente tutte le foto, dalla prima all'ultima, per cercare un altro indizio. Esaminandole una ad una, solo adesso con occhio clinico riesco a distinguere i vari volti: il problema che mi turbava fin dall'inizio non erano le persone, ma la loro malattia. È proprio così. Mi accorgo dei piccoli dettagli come la mano tremante del mio ex, mentre alle sue spalle si intravede un vecchio dal volto morente. Oppure, quando lui mi guardava negli occhi non era innamorato, ma stava raffigurando sé stesso, quasi come se fosse un narcisista. Ed effettivamente lo è: io con lui mi sentivo come fossi parte integrante della sua giornata, per questo pensavo fossimo una coppia, ma col tempo mi sono resa conto che il suo era solo un modo per tenermi sempre accanto a lui, in ogni sommossa. Se ridevo, mi chiedeva il perché di tanta felicità in un mondo così bizzarro e inquietante. Se piangevo, mi ridicolizzava dicendomi che sembro una bambina, che le lacrime sono sintomo di debolezza e fragilità e l'essere cagionevoli è una malattia. Se uscivo da sola e tornavo a casa tardi mi rimproverava come se fossi una bambina da accudire, che doveva stare sempre accanto ai propri genitori, altrimenti sarei stata in una situazione di pericolo. Se volevo andare al cinema a vedermi un film romantico con lui, mi rideva in faccia, come se gli stessi dicendo una barzelletta, perché per lui questo genere di film rappresenta un sentimento frivolo ed insignificante. Per lui l'amore non era come quello dei film, quello è solo finzione. Lui affermava che nella realtà, l'amore non esiste, o almeno non esiste la coppia perfetta raffigurata nell'amore generalizzato. Per lui, ogni coppia aveva i suoi panni sporchi da lavare nel privato: la donna è bella da esibire in pubblico, per puro vanto maschile, ma in casa diventa uno straccio da lavare, perché comunque difetta sempre. Quindi, facendole notare i suoi difetti, la corregge per trasformarla nella donna perfetta. Di fatto, il disturbo prevede che la persona affetta tenda a oggettivizzare qualsiasi relazione egli abbia, facendo diventare il rapporto una tossico-dipendenza affettiva. I miei pensieri, le mie idee, la mia immaginazione in quel periodo non erano miei. Credevo fosse la mia mente a parlare e a suggerirmi quello che era giusto per me, ma non era così. Ero convinta che il mio vecchio lavoro mi piacesse, che ero innamorata di lui, che mi piacevo io in quel modo. Ma erano solo le sue convinzioni impresse nella mia testa. Ho osservato me stessa ed anche nelle foto non ero io. Avevo uno sguardo spento, il viso pallido e una totale assenza di personalità. Ebbene sì, quando io provavo a ragionare con il mio intelletto, qualunque cosa pronunciassi era sempre sbagliata. Il mio non poter fantasticare lo associo proprio alla sindrome, perché di fatto sono stata sempre io a scegliere di obbedire alla personalità altrui e non il contrario. Le mie azioni, le mie scelte di vita mi hanno condotta fino a quel punto: restare nell'anonimato, diventare lo specchio di qualcun altro. Quando andavamo, ad esempio, al cinema guardavamo sempre film thriller, perché era il suo genere preferito. Non mi dispiaceva condividere con lui delle passioni, fino a quando, a poco a poco, si è preso ogni parte di me. Viaggiavamo spesso e tutto quello che io notavo, che per me erano opere d'arte, lui le raffigurava con un altro giudizio, totalmente differente dal mio. Io volevo visitare le chiese, le cattedrali, i musei, i quadri, i parchi archeologici ecc. Insomma, tutto quello che rappresentasse la storia di quel luogo. Lui, invece, mi portava a visitare i ristoranti, le piazze, le persone dell'alta società (a suo dire), i teatri e le accademie di prestigio. Anch'esse sono arte, è vero, mi deliziava ammirarle, ma il mio interesse era altro. Io volevo inebriarmi nella bellezza dei paesaggi, invece mi sono ritrovata sempre a stare chiusa nei locali.
Ricordare, far riemergere vecchi pensieri alla mente, esaminandoli più attentamente, ti fa comprendere quanto una relazione tossica possa far diventare tossiche anche le vittime. E, di conseguenza, da vittima ci si diventa carnefice. Come se fosse una simulazione, un'imitazione. Non ha importanza chi era lui, chi ero io, chi era quel vecchio dietro: sono tutti riflessi della follia umana.
Io potevo essere una sociopatica, una psicopatica, un'afantasica, una persone affetta dalla sindrome di Cotard, qualsiasi cosa lui volesse che io diventassi. Se io provassi ad immaginarmi adesso come se fossi un'altra persona che mi guardasse, so perfettamente quale identità ella avrebbe, a quale posto nel mondo ella apparterrebbe. E con queste riflessioni, fantasticando nella mia mente, mi addormento in un sonno profondo.
È l'alba di un nuovo giorno, adesso ammiro nuovamente casa mia, alla luce del mattino, con un sole talmente accecante da far illuminare anche le stanze meno colpite e più all'ombra. Questo è il mio posto, il mio percorso di vita. Il libro dei ricordi si può gettare e bruciare dentro il fuoco di un camino.

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