MOMENTO DI RIFLESSIONE

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Quante persone sono affette da disturbi e quante invece sono sane? Questa è la vera domanda che tutti si pongono. Ci sono talmente tanti disturbi che è difficile trovare una persona "normale". Ogni atteggiamento, ogni gesto, ogni parola pronunciata, possono essere sintomo di qualcosa. Riflettiamo bene su cosa possa danneggiare veramente il nostro organismo e cosa non. Quasi ogni giorno, ricevo telefonate di genitori ansiosi e troppo protettivi verso i propri figli che per qualunque comportamento il bambino o il ragazzo assuma, questi hanno paura per la loro incolumità. Questa è la chiamata:

"Buongiorno, vorrei fissare un appuntamento per mio figlio"

"Benissimo. Mi dica, che tipo di disagio o difficoltà riscontra nel proprio figlio? Così, cerchiamo fin da subito di capire cosa poter fare"

Poi, nel momento in cui il soggetto in questione viene allo studio, io invito anche i genitori a partecipare ai colloqui. Ma la risposta che mi viene data è:

"No, perché è mio figlio che ha il problema, non sono io"

Ed io, da un lato mi trovo disarmata, perché mi chiedo il motivo per il quale questo genitore delega ad un estraneo, in questo caso me, un problema anche grave che magari affligge il proprio figlio, ma non è disposto ad entrarci. In secondo luogo, mi chiedo anche quante risorse vengono tolte nel processo di cura a questo bambino, nel momento in cui i genitori non sono disponibili a sedersi accanto a lui per cercare di aiutarlo ad affrontare la sua preoccupazione. Quindi, di fatto, mi viene quasi da dire che questo è parte stesso del problema. Cioè, molte volte una sintomatologia che è presentata da un minore, è una sintomatologia relazionale. Dunque, se il contesto stesso non è disposto a mettersi in gioco, diventa, a mio avviso, parte del problema. Molte sindromi, come abbiamo potuto notare in precedenza, possono essere conseguenza di una tipica famiglia anaffettiva: incapace di esprimere emozioni e, spesso anche di trovare queste emozioni. Sono due cose diverse, l'espressione delle emozioni e la loro percezione. La famiglia anaffettiva è un nucleo familiare nel quale si sono sviluppati dei meccanismi di difesa che permettono di tenere, al più basso livello possibile, l'intensità delle emozioni. Quindi, è una famiglia che non manifesta, non ha gesti, parole, atteggiamenti che possano far pensare ad un calore emotivo, ad una trasmissione delle emozioni. Chi nasce e cresce in questo ambiente ha come una sorta di mancanza, di carenza dentro sé perché le emozioni di affetto e di amore, di supporto e di empatia, non gli sono state comunicate. Queste persone, diventando adulte hanno difficoltà con le loro emozioni. Il secondo aspetto, invece, riguarda l'annullamento delle emozioni stesse che, proprio in virtù di questi meccanismi di difesa, portano ad una riduzione sostanziale della capacità di provare emozioni. Quindi, la persona anaffettiva tende ad avere dei meccanismi di spegnimento, di anestesia, e non reagisce. Molte volte, questa famiglia può essere anche ipercritica, la quale utilizza la critica stessa come surrogato della manifestazione d'affetto: può criticare perché è preoccupata, perché ci tiene che si facciano le cose bene. Oppure, possono essere dei genitori, come abbiamo detto prima, sempre nei paraggi perché tendono ad avere degli standard prestazionali verso i propri figli, tali per cui viene dato per scontato il raggiungimento di un ottimo livello di performance, mentre non c'è la capacità di premiare con delle esternazioni affettive i successi che i membri della famiglia ottengono. Questa assenza di emotività può essere espressa attraverso i silenzi, oppure paradossalmente con i fiumi di parole: in ogni caso è portata sempre a razionalizzare le cose o a intellettualizzarle, perché privilegia sempre a livello cognitivo. Predomina la gerarchia: ci sono degli adulti che impongono ai propri figli i propri punti di vista solo perché sono i genitori, senza argomentarli e senza comunicare in maniera empatica le proprie intenzioni o le proprie modalità di vivere le esperienze che li riguardano, bensì si creano dei ruoli a cui bisogna obbedire. I valori a cui attingono possono essere materiali (il denaro, il successo economico) oppure culturali, per cui viene trasmessa l'importanza prioritaria della gratificazione culturale, della prestazione di saper argomentare quella tematica particolare con un registro alto, in modo tale poi da poter essere valutato da ciascun membro della famiglia. Qualsiasi siano i valori, ritorna sempre e costantemente l'elemento della prestazione. Inoltre, la famiglia anaffettiva può essere anche punitiva, cioè che non riuscendo a sintonizzarsi con gli stati d'animo del figlio ricorre alle punizioni severe, con le quali stigmatizzare e reprimere i comportamenti considerati sbagliati. Appunto perché nella punizione c'è una sorta di passaggio all'atto dove il disagio viene soppresso a vantaggio di una strategia che impone delle correzioni autoritarie. Naturalmente, questi elementi che abbiamo descritto non sono esaustivi o assoluti: una famiglia può essere autoritaria e anche affettiva allo stesso tempo, può essere portata alla critica o all'ipercritica in alcuni suoi componenti ma poi avere anche delle modalità diverse più colorate per esprimere delle emozioni. Esiste anche il caso della cosìdetta famiglia arrabbiata: la rabbia è un'emozione difensiva. Quando un membro della famiglia ha paura, prova tristezza o vergogna, si sente debole e tende a non accettare questo stato trasformandolo in un'emozione più energica, ossia la rabbia. Attraverso questa, la famiglia mantiene  un elevato livello di attivazione fisica e psicologica, in modo da non percepire il senso di annichilimento che deriverebbe da emozioni come la paura, la tristezza, la vergogna, la colpa. La responsabilità del malessere viene proiettata sull'altro, che diventa quindi il bersaglio da attaccare o da intimorire. Così facendo, i membri della famiglia arrabbiata costruiscono un codice emotivo, un linguaggio di parole e comportamenti attraverso il quale si instaurano meccanismi competitivi o gerarchici. I rapporti interpersonali tendono a svolgersi con un copione che prevede un soggetto dominante e uno sottomesso, e la rabbia è lo strumento emotivo con cui vengono definiti i ruoli. Infine, abbiamo la famiglia ansiosa, la quale tende ad esprimere uno stato di allarme causato da percezioni negative dell'ambiente esterno e delle esperienze personali. Il mondo viene considerato pericoloso, gli stimoli provenienti dall'esterno minacciosi, di conseguenza la famiglia ansiosa non incoraggia l'esplorazione, non promuove l'autonomia. Le esperienze nuove, le situazioni non previste, i contesti che devono essere affrontati fuori dalla zona di sicurezza conosciuta e familiare vengono prevalentemente evitati, per la paura di subire un danno o di non essere preparati. Il messaggio che viene trasmesso è improntato a una prudenza generalizzata ed eccessiva, che può diventare una forma di sfiducia pervasiva. Le strategie messe in atto sono conservative o evitanti, cercano cioè di garantire la protezione sacrificando però la possibilità di affrontare le esperienze della vita con energia e curiosità.

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