ISOLA DI CAPRERA - GIUGNO 1882

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Casa Garibaldi

Giuseppe Garibaldi avvertì che la fine si stava avvicinando. Il respiro si era fatto più affannato e la vista ormai era quasi del tutto annebbiata. Poteva quasi sentire le forze che abbandonavano lentamente il suo corpo.

Ma non era triste.

Giorni prima aveva finito di scrivere le Memorie, un piccolo diario in cui aveva messo per iscritto ogni aspetto della sua vita. Dalle guerre a cui aveva partecipato, agli amori che lo avevano conquistato, dalle amicizie che lo avevano sorretto nei momenti difficili, alle cospirazioni, agli inganni e alle bugie che aveva dovuto subire.

Era tutto narrato con semplicità, ogni verità impressa in quelle pagine come in una sorta di ultima confessione personale che avrebbe lasciato alle generazioni future.

Il mondo doveva sapere.

Non adesso, però, non era ancora il momento.

Quel che gli premeva adesso era solamente una cosa: che non finisse nelle mani sbagliate perché il rischio che venisse distrutto era fin troppo alto.

Ora che la vita lo stava lasciando era in grado di vedere con estrema chiarezza ogni aspetto del suo passato, anche quelli più nebulosi e si sentiva profondamente amareggiato per come era stato manovrato soprattutto in quella che riteneva essere stata l'impresa più importante della sua carriera: l'unificazione d'Italia.

Era stato un burattino in mano altrui fin dall'inizio e tutta l'operazione non era stata altro che una beffa, un inganno mascherato da guerra di liberazione.

Più ci pensava, più si rendeva conto dell'errore che aveva commesso nel fidarsi del Re e di Cavour e questo rappresentava il suo cruccio più grande, la ferita che più di tutte lo aveva tormentato durante gli ultimi anni trascorsi a Caprera.

E continuava a farlo.

Per questo lo sforzo che aveva profuso nello scrivere la verità sulla spedizione dei mille non doveva andare sprecato.

Fece un profondo respiro, quindi, con aria sfinita, gettò uno sguardo languido verso la sua amata Francesca e l'adorata figlia Clelia, che, instancabilmente, gli erano rimaste al capezzale senza lasciarlo mai da solo.

Sapeva di consegnare la sua eredità in buone mani.

Ne avevano discusso a lungo durante i mesi precedenti, in vista del giorno in cui non ci sarebbe stato più.

Garibaldi mosse piano la testa, cercando di fare una specie di cenno in direzione della moglie, come per comunicarle che era arrivato il momento.

Francesca, con le lacrime agli occhi, gli prese la mano e annuì, poi si mosse verso lo scrittoio tirando fuori dal cassetto il diario e una grossa chiave di bronzo. Infine, in silenzio, uscì dalla stanza.

Il Generale fissò allora sua figlia, con gli occhi pieni di amore.

Clelia era una ragazza molto più matura della sua età, perfettamente consapevole del peso che stava per gravare sulle sue spalle. E lui si fidava di lei, ciecamente.

Per questo l'aveva coinvolta, perché sapeva che avrebbe mantenuto il segreto fino al momento opportuno, esattamente come sua madre.

Le fece cenno di avvicinarsi.

Clelia annuì, piangendo e gli strinse le mani fissando l'uomo che aveva combattuto in ogni angolo del mondo, che aveva affrontato pericoli, malattie, rivoluzioni e che adesso giaceva immobile, sul punto di spegnersi.

Fuori il sole stava ancora gettando i suoi caldi raggi sulla superficie del mare e sopra le rocce dell'isola, mentre una leggera brezza smuoveva le fronde degli alberi.

Garibaldi socchiuse leggermente gli occhi, come infastidito dalla luce che filtrava dalla finestra di fronte al letto, anche se il tepore che portava con sé andava riscaldando le sue fredde membra.

All'improvviso si sentì bene.

Felice e appagato.

Come se il cerchio della sua vita si fosse finalmente concluso e ogni cosa avesse trovato la giusta collocazione.

Sentì la presa sulla sua mano allentarsi. Non riusciva quasi più a percepire la presenza della figlia che invece continuava a tenere le dita ben strette.

Si lasciò andare. Chiuse piano gli occhi e lentamente spirò.

Il prezzo dell'ingannoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora