CAPITOLO 7

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Cortona

7

Il colpo centrò in pieno la vetrata del salotto, frantumandola in mille schegge che tintinnarono sul pavimento di marmo. Un fragore assordante li investì, seguito dal grido di dolore di Marco.

Lapo si gettò a terra d'istinto, il cuore che gli martellava nel petto.

«Mi ha colpito...» senti dire da suo padre con una smorfia di dolore.

Gli si avvicinò muovendosi carponi sulle ginocchia.

«Fammi dare un'occhiata.»

Altri spari bersagliarono il salotto, i proiettili che si conficcavano nel legno massello del mobile alle loro spalle.

«Sta giù, papà!» gridò Lapo gettandosi sopra il suo corpo per proteggerlo. «Forza! Dobbiamo spostarci da qui.»

Lui annuì, il volto pallido.

Una chiazza di sangue si andava spandendo sotto la sua gamba.

«Aggrappati a me» Lapo lo aiutò a sollevarsi approfittando di un attimo di tregua e lo trascinò al riparo di un grosso divano.

Per il momento erano al sicuro.

Ma per quanto ancora?

Osservò la ferita. Non sembrava grave. «Credo che il proiettile sia uscito» gli mormorò. «Te la caverai, ma dobbiamo bloccare l'emorragia, subito.»

«Fallo!»

Un altro sibilo li fece trasalire. Un vaso cadde a terra frantumandosi in mille cocci.

«Si sta avvicinando. Fa in fretta...»

Lui si tolse il maglione e lo avvolse intorno alla gamba stringendo forte.

Sentì un gemito.

«Per adesso dovrebbe bastare, ma devo portarti in ospedale. Tieni» gli porse il cellulare. «Chiama un'ambulanza e la polizia. Io mi occupo dell'aggressore.»

Marco indicò un cassetto del mobile. «Là dentro ...» mormorò «dovrebbe esserci una pistola. Vai, svelto!»

Lapo strisciò verso il mobile, afferrò l'arma e si diresse verso la vetrata rotta, quella che dava sull'esterno, stando attento a non ferirsi con le schegge sparse per il pavimento.

Il cortile era deserto fatta eccezione per la macchina di suo padre, una BMW grigio perla.

Un altro sparo lo costrinse a terra.

Osservò con attenzione l'area intorno a sé. C'era un unico punto in cui l'aggressore poteva essersi nascosto.

Mi spiace papà, mormorò prima di sparare un colpo in direzione del finestrino della macchina.

Gli parve di notare un movimento. In quell'istante gli venne un'idea.

Alzò la pistola e svuotò il caricatore sul vetro anteriore della vettura cercando così di spingere il suo avversario verso la parte posteriore dell'auto.

Nel frattempo, coperto dal suo stesso fuoco, si mise a correre verso sinistra in direzione del capanno degli attrezzi.

L'ultimo proiettile uscì dalla canna della pistola proprio mentre raggiungeva la porta. Senza esitazione le diede una spallata ed entrò socchiudendola poi dietro di sé. Afferrò il fucile da caccia di suo padre e si avvicinò alla piccola finestra posta sopra l'ingresso. Da lì lo vide: era appostato accanto alla ruota posteriore, in procinto di correre verso il casale e indossava una divisa della polizia.

Sentì la rabbia montare

Caricò il fucile, spinse con la punta del piede la porta del capanno per creare una fessura da cui poteva osservare lo spazio di fronte a sé. Si trovava in linea diretta con l'auto, quindi il colpo era relativamente semplice.

Prese la mira e sparò. Il contraccolpo fu assordante mentre il proiettile volava dritto centrando il poliziotto alla gamba.

Udì un grido.

Il corpo dell'uomo sussultò e cadde a terra e la pistola gli scivolò dalla mano.

***

Lapo lasciò il capanno di corsa tenendo sempre il fucile ben teso in avanti. Raggiunse il poliziotto e con un calcio gettò la pistola lontano, prima che la potesse riafferrare.

Poi gli puntò l'arma al volto.

Voleva interrogarlo prima che arrivassero i veri agenti di polizia, ma non ne ebbe il tempo. Un istante dopo un rivolo di schiuma uscì dalla bocca dell'uomo, poi ci fu un fremito convulso e infine il corpo s'irrigidì.

Con una smorfia di rabbia, Lapo si chinò su di lui e gli tastò il polso.

Nessun battito.

Gli alzò allora la manica del cappotto. Il tatuaggio con l'aquila a due teste spiccava sulla pelle bianca.

Non aveva ancora idea del suo significato, ma avrebbe approfondito la questione più tardi, magari con l'aiuto di Rosa.

Stringendo i pugni per la rabbia, si voltò e tornò nel salotto.

Suo padre era a terra, il volto pallido e il maglione zuppo di sangue.

Si mise in ginocchio accanto a lui e gli prese la mano.

«Allora?» fece Marco con un filo di voce guardandolo in volto.

«Si è ucciso» gli rispose Lapo. «Non ho fatto in tempo a chiedergli nulla. Quando arriva l'ambulanza?»

«Mi hanno detto il prima possibile» digrignò i denti per il dolore. «Chiama Rosa nel frattempo ... lei .. » ma non finì la frase. I suoi occhi si chiusero e perse i sensi.

***

L'ambulanza era appena uscita dal cortile, ma la polizia ancora non era arrivata.

Lapo ne approfittò per fare il numero privato di Rosa Caruso.

Suo padre aveva ragione. Lei avrebbe potuto aiutarlo a sbrogliare quella matassa.

«E' già finita la licenza o è finito di nuovo nei guai?» esordì il capo del C.I.I. senza troppi preamboli.

«La seconda.»

«Che genere di problemi?»

Lapo le riassunse l'accaduto partendo dalla mattina del giorno prima quando si era recato a Villa Handersen. Non tralasciò alcun particolare, chiedendole infine delucidazioni in merito al tatuaggio del poliziotto.

«Farò qualche indagine, ma al momento non posso autorizzare alcuna operazione ufficiale. Lei mi capisce.»

«Comprendo. Ho ancora le mie settimane di licenza, cercherò di andare a fondo della vicenda da solo. Vorrei solo che facesse qualche ricerca sul collegamento con l'aquila a due teste e la storia di Garibaldi.»

«Vedrò cosa è possibile. Suo padre se la caverà, Lapo.»

«Grazie, sarà felice di sapere che una sua vecchia amica ha ancora a cuore la sua salute.»

«Si tenga comunque in contatto.»

Poi riattaccò.

Il prezzo dell'ingannoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora