PROLOGO - MAGGIO 1860

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Monastero di San Michele in Bosco

Vittorio Emanuele II di Savoia, si aggirava inquieto nella stanza. L'incontro imminente, il cui esito era cruciale per la sopravvivenza del Regno, lo opprimeva con un peso insostenibile.

L'idea del fallimento era inconcepibile.

Camminava avanti e indietro, sfiorando ripetutamente i suoi lunghi baffi, gesto che lo accompagnava nelle ore di profonda riflessione. Come era potuto giungere a quel punto critico? Come era possibile che il Regno di Sardegna fosse stato condotto sull'orlo del baratro finanziario?

Il turbamento lo pervadeva, mentre la mente era assediata da un turbine di domande e dubbi. Guerre, invasioni, tasse, debiti: un intricato labirinto che il popolo ignorava completamente, tenuto all'oscuro per evitare la condanna del suo operato negli ultimi anni.

Ma fino a quando avrebbe potuto mantenere l'illusione? Quanto ancora sarebbe riuscito a nascondere il tracollo economico? La tensione lo logorava, mentre si sforzava di preservare il segreto con ogni mezzo possibile, anche a costo di vite umane, nell'arduo tentativo di una rinascita imminente.

Tuttavia, il tempo stringeva e l'incognita del futuro lo angosciava. Se anche solo un sospetto si fosse insinuato nella mente di qualcuno, quale sarebbe stato il destino del Regno e della sua stessa vita?

Non poteva permettersi nessuna risposta. La pressione lo soffocava, minando la sua resistenza e il suo coraggio di fronte alle sfide imminenti.

Se solo potessi trovare un'altra via d'uscita, rifletté con un profondo sospiro interiore. Ma purtroppo, non c'era alcuna alternativa. La politica belligerante della sua casata aveva prosciugato le finanze sardo-piemontesi a vantaggio delle banche dei Rothschild, e la recente guerra di Crimea aveva rappresentato il colpo di grazia. Il rischio di bancarotta era imminente, e la tensione gli stringeva la testa, provocando un battito insistente alla tempia.

Bevve un sorso d'acqua nel tentativo di placare i nervi, mentre le parole del deputato Carlo Boggio, pronunciate soltanto due mesi prima durante una seduta parlamentare, gli tornavano alla mente: «Il Piemonte non può permettersi di indugiare. Perché? Perché la bancarotta è imminente. La pace, ora, significherebbe il completo fallimento economico del Piemonte.»

Aveva assolutamente ragione.

Con un colpo di pugno sul tavolo, si rese conto che non c'era altra soluzione.

Il tempo era scaduto.

Più rifletteva, più si convinceva della sua scelta. Quello che aveva concordato con il Presidente del Consiglio, nonostante avesse suscitato dissenso e conflitti a corte, rappresentava l'unica via d'uscita dal baratro in cui si era trovato.

Almeno stavolta non sono solo, pensò sommessamente, come se ciò potesse offrirgli qualche conforto. Anche Cavour, infatti, si trovava nella stessa situazione, aggravata dal fatto che le casse quasi vuote appartenevano alla Banca Nazionale degli Stati Sardi, un istituto che il Conte aveva contribuito a sostenere con un disegno di legge del 1851, trasformandolo in una vera e propria Tesoreria di Stato.

Per Cavour, l'intera questione stava assumendo toni personali estremamente drammatici. Questo avrebbe dovuto agevolare la conversazione che stava per affrontare, ma più ci pensava, più ne dubitava.

Il Conte era noto per essere poco accomodante, con un carattere forte e riflessivo, poco incline a compromessi che non favorissero i suoi interessi, e dotato di una sottile astuzia diplomatica.

Non era un caso se aveva dominato la scena politica degli ultimi dieci anni, come ministro del Regno e successivamente come Presidente del Consiglio. Doveva stare molto attento affinché tutto procedesse secondo i piani, poiché ogni aspetto era stato analizzato nei minimi dettagli e ogni pedina era stata posizionata correttamente sulla scacchiera.

Il prezzo dell'ingannoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora