NEW YORK - 1882

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Irving Hall

Union Square

Le luci si spensero. Un canto sommesso iniziò a diffondersi fra le pareti del teatro, dapprima lieve poi sempre più forte. Le voci dei membri della loggia risuonarono all'unisono nel buio più totale.

Si scopron le tombe, si levano i morti

i martiri nostri son tutti risorti:

Le spade nel pugno, gli allori alle chiome,

la fiamma ed il nome d'Italia nel cor.

Sien mute le lingue, sien pronte le braccia

Soltanto al nemico volgiamo la faccia

E tosto oltre i monti n'andrà lo straniero

Se tutta un pensiero l'Italia sarà.

Non basta il trionfo le barbare spoglie

Si chiudano ai ladri d'Italia le soglie:

le genti d'Italia son tutte una sola,

son tutte una sola le cento città

Infine calò il silenzio. Finito il canto, le luci si riaccesero, stavolta puntate sul Gran Maestro, Attilio Massabo, in piedi su una pedana al centro della sala. Era vestito con una tunica azzurra sulla quale spiccava un collare dotato di un gioiello con due aste incrociate e teneva il bastone cerimoniale davanti a sé impugnandolo con la mano destra sopra quella sinistra, a simboleggiare colui che sa indicare il cammino.

In cerchio tutto intorno erano presenti i confratelli della Loggia Garibaldi N.542.

Il Gran Maestro batté per tre volte il bastone a terra, segnalando l'inizio della cerimonia. Quindi la sua voce risuonò forte fra le spesse pareti del teatro.

«Fratelli, datevi la mano per unirvi, finiamo questo lavoro col giocondo suono di giubilo. Questa catena circondi come questo sacro luogo pure tutto il globo terrestre.

Onorare la virtù e l'umanità, insegnare a sé stesso e agli altri l'amore sia sempre il nostro dovere. Allora affluisce la Luce non soltanto a ovest ma anche a sud e a est.»

Tutti si alzarono e volsero lo sguardo verso l'alto. Poi insieme pronunciarono le frasi di rito.

Per la fé che in Te poniamo;

Per il simbol misterioso,

Architetto in Te fidiamo.

E così sia.

Si rimisero a sedere.

«Fratelli» esordì Attilio Massabo, «oggi siamo qua riuniti per celebrare la morte dell'Eroe dei due Mondi, passato all'Oriente eterno il 2 giugno scorso. Giuseppe Garibaldi, l'uomo che non solo ha lottato per unire la nostra patria d'origine in un sol paese, ma che ha sempre combattuto per gli indifesi e per le cause dei più deboli in ogni angolo del globo. L'uomo le cui gesta hanno raggiunto una gloria simile a quella di George Washington. Se oggi siamo qui e se esiste questa loggia, lo dobbiamo a lui.»

Tutti si alzarono iniziando a battere i piedi per terra, poi, a un cenno del Maestro, cessarono.

L'enorme sala della Irving Hall ripiombò nel silenzio. Le illuminarono il volto di Massabo. «Ma non è solo questo il motivo del nostro incontro» riprese il Maestro mentre la sua voce risuonava calda e modulare, come un canto «ci siamo riuniti in questa seduta per fare anche un solenne giuramento: ritrovare le Memorie di Giuseppe Garibaldi.»

Tutti annuirono.

«Sappiamo che il Generale, durante gli ultimi mesi trascorsi nella sua amata Caprera, aveva iniziato a scrivere un diario. Un resoconto, per la verità, riguardante gli avvenimenti più importanti della sua vita, e dove pare abbia messo nero su bianco le scottanti verità e gli accordi segreti perpetrati da Cavour e Vittorio Emanuele II durante gli anni che hanno portato all'unificazione d'Italia.

Se siamo venuti a conoscenza di tutto ciò lo dobbiamo solamente all'intervento del nostro confratello Menotti, figlio maggiore del Generale, che qua ringrazio pubblicamente.»

Tutti si voltarono verso l'uomo impettito che stava seduto quasi di fronte al Gran Maestro.

«Qualcuno di voi si starà chiedendo perché è importante quello scritto» riprese Massabo «e perché dobbiamo giurare, qui e adesso, di ritrovarlo.» Fece una pausa, come a calcare le parole che avrebbe detto subito dopo. «Perché è stato un vile inganno per gli italiani, perché lo stesso Garibaldi ne è stato vittima e perché il mondo ha il diritto di sapere qual è stata la vera causa di quella rivoluzione.»

Un mormorio si diffuse per la sala. Non tutti erano a conoscenza di quella storia e molti dei presenti la sentivano adesso per la prima volta. Il Gran Maestro continuò, sicuro di aver catturato la loro attenzione. «La nostra loggia ha occhi e orecchie dappertutto, come ben sapete, soprattutto oltreoceano. E ciò che ci è giunto da quei paesi ha sconvolto i nostri cuori.

Per molto tempo abbiamo cercato le prove dei nostri sospetti, ma senza risultato almeno fino a quando non ci è giunta notizia del diario.

Purtroppo il nostro confratello Menotti non ha potuto assistere alla morte di suo padre e di conseguenza non è potuto entrare in possesso di quell'oggetto che pare sia stata nascosto per volere dello stesso Generale.

Ma vorrei rassicuravi e dirvi che siamo comunque confidenti di poterlo recuperare in altro modo. L'importante, per noi, è che non finisca nella mani sbagliate. Il rischio che venga distrutto sarebbe un prezzo troppo alto.

Dobbiamo agire subito e velocemente. Questo sarà il nostro compito, questo il nostro solenne giuramento.»

Ci fu un'altra pausa.

«Alzate la mano destra» riprese Massabo con voce altisonante «e pronunciate le parole che sanciranno l'impegno di ognuno di voi nel mantenere fede alla parola data.»

Tutti obbedirono.

«Con il nostro cuore, con la nostra mente, con la nostra forza» dissero all'unisono «l'impegno è dato, il giuramento è sacro.»

Il Gran Maestro sorrise e batté il bastone due volte per terra. Poi con gli occhi puntati su Menotti Garibaldi proseguì. «Una volta che il diario sarà in nostro possesso decideremo quando renderlo pubblico nel rispetto delle ultime volontà del nostro grande Generale e di suo padre.»

Lui annuì ben sapendo cosa il Gran Maestro volesse dire.

Massabo attese qualche istante, in silenzio, quindi batté il bastone altre tre volte in terra impugnandolo stavolta con la mano sinistra sopra quella destra, in un gesto che rappresentava la chiusura della cerimonia.

Tutti si alzarono e le luci si spensero.

Un nuovo canto si levò fra le mura del teatro, dapprima sommesso poi sempre più forte mentre le voci dei confratelli si fondevano in una sola melodiosa litania.

Se ancora dell'Alpi tentasser gli spaldi,

il grido d'allarmi darà Garibaldi,

e s'arma allo squillo che vien da Caprera

dei Mille la schiera che l'Etna assaltò.

Son l'Alpi e i due mari d'Italia i confini,
col carro di fuoco rompiam gli Appennini:
distrutto ogni segno di vecchia frontiera,
la nostra bandiera per tutto innalziam.

Contenta del regno, fra l'isole e i monti,

soltanto ai tiranni minaccia le fronti:

dovunque le genti percuota un tiranno,

suoi figli usciranno per terra e per mar!

Il prezzo dell'ingannoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora