36° Capitolo

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Uscito da casa vagai per la città senza meta per quasi un'ora. Non sapevo dove andare. Non sapevo cosa fare. Non sapevo cosa provare. Se disperazione. Se rabbia. Se delusione.
Ogni tanto mi fermavo ad ascoltare i discorsi della gente per strada. Sentivo quanto fosse dura lo loro vita. Sentivo come si preoccupavano per i debiti di scuola. Per il motorino. Per la crisi. Per quanto fosse stronza la ragazza della porta affianco. Per quanto fossero sfortunati a non avere l'iPhone 6.
Più tempo passava e peggio mi sentivo. Mi sentivo irritato da quei discorsi. Quei discorsi così seri per cose così futili.
Passai davanti la mia nuova scuola, davanti alla quale c'era un gruppetto di ragazzi che stavano parlando tra di loro.
"Ehi, tu."
Disse uno dei ragazzi.
"Guarda che dico a te."
Continuò quando vide che non gli risposi.
"Che c'è? Sei anche sordo oltre che finocchio?"
Continuò ancora.
"Forse è giù di morale perché il fidanzatino lo ha lasciato. Chissà con chi si inculerà adesso?"
Disse un altro.
Mi fermai, mi voltai e li guardai mentre ridevano a crepa pelle.
"Sapete, io potrò anche essere malato, come dite voi. Potrei anche essere un finocchio, una checca o qualunque cosa che volete. Ma non vi permetto e ve lo ripeto. Io non vi permetto di insultare Andrea. Sono arci stufo degli stronzi come voi che insultano gli altri senza pensarci due volte. Forse non ci arrivate da soli, ma dispregiare gli altri non ti rende più etero, ma solo meno uomo. Ed in più quello che faccio o non faccio con il mio fid...... Il mio ex fidanzato non sono affari vostri."
Dissi loro urlando, prima di voltarmi di nuovo ed andarmene.
"Si, bravo. Scappa via."
Disse uno dei ragazzi, mentre gli altri bisbigliavano tra di loro sconvolti.
Continuai il mio cammino verso qualcosa di ignoto. Verso qualcosa di migliore di questo mondo.
All'improvviso mi ritrovai davanti a al palazzo dove abitava Angela. Un palazzo di 15 piani, con una facciata bianca e dei balconi poco sporgenti, a parte quello dell'ultimo piano.
Decisi di salire e suonai al campanello di Angela.
"Chi è?"
Chiese dal citofono.
"Sono io. Luca."
Le risposi.
"Cosa ci fai qui?"
"Ad essere sincero non lo so, ma so che dovevo venire. Per scusarmi."
Le dissi.
"Sali."
Mi disse, prima di aprire il cancello.
"Aspetta."
Le dissi.
"Promettimi che se dovessi vedere Andrea gli dirai che l'ho sempre amato e che lo amerò sempre."
La fermai prima che potesse riagganciare.
"Perché glielo dovrei dire io?"
Mi chiese.
"Tu prometti. Ti prego."
Continuai.
"Te lo prometto."
Disse dopo averci pensato un po', per poi riagganciare.
Aprì il cancello ed entrai nell'ascensore. Premetti il bottone ed iniziai a salire.
L'ascensore era piccolo, stretto e completamente grigio. Ad ogni piano faceva un piccolo balzo.
Vedevo i bottoni illuminarsi ad ogni piano, in una danza di luci a senso unico.
L'ascensore si fermò e si aprirono le porte. Scesi dall'ascensore e salì le scale affianco.
In cima alle scale c'era una porta rossa, l'aprì e vi passai dentro.
Mi ritrovai sul tetto del palazzo.
Era bellissimo. Vedevo stagliarsi davanti a me l'intera città, ma l'unica cosa che volevo vedere non c'era. Non riuscivo a vedere Andrea.
Anche da così in alto non lo vedevo.
All'improvviso mi apparve di fronte una figura nera che piano piano iniziò a prendere le sembianze di Andrea.
Credevo di impazzire. Ogni volta che tentai di toccarlo la mia mano gli passava attraverso.
All'improvviso iniziai a sentire delle voci. Voci di mia madre, dei miei amici, delle persone che erano per strada. Voci che dicevano che ero un errore. Più le ascoltavo e più Andrea si allontanava. Allungo la mano e camminai verso di lui fino a che arrivai sul cornicione.
"Perché mi hai lasciato?"
Continuava a ripetere esasperatamente.
Le voci si fecero sempre più forti e sempre più dolorose.
Risentì più volte le stesse frasi, fino a quando risentì la frase di mia madre *io non voglio un figlio gay* e subito dopo Andrea che mi diceva di raggiungerlo.
All'improvviso chiusi gli occhi e sentì una folata di vento su tutta la faccia e sui capelli. Riaprì gli occhi e vidi Angela che stava urlando disperatamente, aggrappata alla ringhiera del 5° piano, ma non sentivo quello che diceva.
Poco dopo sentì un leggero dolore alla testa, vidi le nuvole librarsi nel cielo e poi.......... Poi il nulla.››»

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