Capitolo 2

274 13 0
                                        


ANASTASYA

19 anni


Dare un senso alle cose è impossibile. E lo è ancora di più quando metà della tua vita è un buco nero.
Ti svegli ogni mattina con frammenti di ricordi che si muovono senza logica, immagini spezzate che non si incastrano mai. E quel senso di nausea costante, quel groppo alla gola che inghiotti ogni volta, sperando che smetta di soffocarti.

Mi piego sul lavello del Roger Bar con le mani fredde contro l’acciaio e il respiro irregolare. L’acqua scivola sulla mia pelle, ma non lava via niente e non toglie il vuoto.
Lavoro qui da un anno perché non ho terminato gli studi, nonostante mi piacesse da morire andare a scuola. Ma come posso finire qualcosa se non ho ancora iniziato a capire chi cazzo sono? Io rivoglio il mio passato e sapere chi ero prima di diventare un guscio vuoto.
E soprattutto voglio ritrovare lei, mia sorella. Perché il mio cuore lo sa che è viva.
Ti voglio bene, Stixy, mi diceva.
Sei la mia piccola libellula, le rispondevo.
Ma poi il ricordo si spezza in un’ombra che si allarga e niente torna al suo posto.

A volte mi convinco che sia tutto nella mia testa, che non sia mai esistita, e che non sia esistito niente prima di oggi.
Mi asciugo il viso con uno strofinaccio e torno al bancone.

«Stai bene?»
La voce di Giulia mi riporta alla realtà. Lei è la mia unica amica, e non so nemmeno perché lo sia diventata, forse perché è rotta quanto me.

Non è curiosa, non mi tempesta di domande e porta dentro di sé un dolore che la tiene lontana dal mio, per questo riesco a sopportarla.
Ma non è sempre stato così.
Una volta avevo anche un’altra amica: Alys.
Lei c’è ancora, so dov’è, ma non riesco ad avvicinarmi. Andare da lei significherebbe tornare indietro dove tutto è cominciato, e io non posso permetterlo.
Perché se ci torno, se mi avvicino troppo a quel confine, i miei mostri mi inghiottiranno.
Non importa quanto cerchi di sfuggirgli, loro mi trovano sempre.
Il cervello è un bastardo. Ti lascia dimenticare le cose importanti, ma si aggrappa a quelle che vorresti strapparti di dosso.
Io non voglio ricordare.
Non voglio sentire di nuovo quelle mani su di me, quei sussurri viscidi all’orecchio e il peso dei loro corpi che mi schiaccia contro il materasso.

Ma il ricordo è lì, incatenato nella carne e quando chiudo gli occhi, torna sempre lo stesso incubo.
Il bosco.
Le foglie umide sotto i piedi nudi.
Il respiro che mi si spezza nei polmoni mentre corro.
Mi nascondo dietro un albero, le mani che scavano nella terra, le unghie che si rompono e il sangue che cola sulle dita mentre scavo più forte.
E poi, quando la buca è abbastanza grande, mi ci lascio cadere dentro.
Ma la terra non aspetta e finisce su di me, mi seppellisce viva.
Mi soffoca.
Mi ingoia.
E io non vedo più niente, non esisto più.
Un brivido mi scuote, mi sfrego le braccia, cercando di cancellare il gelo che mi ha penetrato la pelle, ma non va mai via.
I mostri non se ne vanno mai.
Aspettano solo che abbassi la guardia per poi attaccare di nuovo.

«Sto bene, Giu, grazie.» parlo con lei ma al momento il suo sguardo è puntato oltre, verso il tavolo tre, verso di lui.
Sento i suoi occhi su di me ancora prima di alzare lo sguardo, mi fissano, mi trafiggono e mi possiedono facendomi scorrere un brivido lungo la schiena.

Di lui non so quasi nulla, solo quello che si dice in giro. Un avvocato potente, pericoloso, avvolto da un’ombra che lo segue ovunque.
Ma ciò che mi tiene incollata a lui non è la sua fama, è il modo in cui mi guarda.
Quegli occhi blu come un oceano senza fondo che mi divorano e mi trascinano giù.
Mi sento attratta da lui in un modo che non riesco a spiegare. Non è normale. Non è un desiderio comune, non è il semplice batticuore di una ragazza davanti a un uomo attraente, è qualcosa di più oscuro che mi brucia dentro.

L’ho provato una sola volta nella mia vita, con il mio Padrone.
Se fosse qui, mi ucciderebbe solo per aver guardato un altro uomo.

«Ana, ci sei? Smettila di fissarlo.»
La gomitata di Giulia mi fa sussultare.
Ana.
L’unica parte del mio nome che ricordo.
Forse mi chiamo Anabel. O Hanna. O qualcosa che non saprò mai.
Forse nemmeno quello è vero.

«Non posso farci nulla, mi sento…» La frase mi muore in gola mentre Giulia afferra il mio gomito e mi costringe ad abbassarmi verso di lei.

«Hai una strana fissazione per i maniaci» sussurra, e il suo sguardo si vela di paura. «Ma stavolta stai puntando il diavolo della California. Sta lontana da lui.»

Le sue parole mi arrivano ovattate, perché io non voglio starne lontana, e i miei occhi tornano a cercarlo, anche se non dovrebbero.

«Non osare paragonarlo a lui
Il ricordo del mio Padrone mi esplode nella mente.

Il dolore e il piacere, il modo in cui mi ha distrutta e ricostruita con le sue mani.

Giulia stringe i denti. «Ana, quell’uomo di cui tanto sei innamorata, ti ha stuprata.»
No, non è così.
Ho raccontato a Giulia ciò che è successo la sera del mio diciottesimo compleanno. Le ho detto cosa mi ha fatto, omettendo alcune parti.

«Sono stata io a chiederglielo, Giù.» La mia voce si abbassa, quasi un sussurro. «Volevo che mi facesse tutte quelle cose. E vorrei che tornasse da me.» lo ammetto ad alta voce e il senso di vergogna mi brucia la pelle.
Giulia sbatte le palpebre, incredula.

«Per l’amor del cielo, amica mia.» Si avvicina. «Quell’uomo ti ha manipolata. Ti ha usata. Ti ha…» Si guarda intorno, abbassa la voce. «Ti ha tolto la verginità e non sai nemmeno come sia fatto.»
«L’ho implorato io.»

Mi vergogno a dire che le sue parole mi ossessionano ancora. Che quella notte, tra le lenzuola, sono state le sue frasi crude e feroci a farmi venire.

Ti spezzerò, mia Lilith. E quando avrò finito di strapparti anche l’anima, non avrai più voglia di prendere il cazzo di nessun altro uomo.
Ogni giorno ti sentirai persa, perché sarò io quello che cercherai per tutta la vita.

Giulia incrocia le braccia.
«Oh, questa è bella. Rispondimi allora: ti ha baciata?» Resto in silenzio. «Sai chi non viene baciata quando si scopa, Ana?» Aspetta e mi uccide con gli occhi. «Le puttane non vengono baciate.»
Il suo tono è una lama che mi squarcia dentro mentre abbasso lo sguardo consapevole di non poterlo negare.

Mi ha trattata come una puttana, e come tutti gli uomini della scuola cattolica.
Ma cosa potevo aspettarmi?
Mi ha comprata e ora se n’è andato, proprio come tutti i mostri della mia vita.

Giulia si irrigidisce, il respiro si accorcia. Qualcosa in lei cambia e lo vedo nei suoi occhi, nel modo in cui le mani si stringono in due pugni bianchi.

«Come conosci quell’uomo? Perché hai così tanta paura di lui?» sussurro, inclinando la testa verso di lei.
Non risponde subito. Il suo sguardo oscilla tra me e il tavolo tre, dove lui è seduto, valutando se può fidarsi.

Poi sbuffa, allontanandosi appena e nei suoi occhi non c’è solo paura. C’è odio.
La seguo mentre si posiziona in un angolo dove nessuno ci può ascoltare.

«Perché è l’avvocato che mi ha fatto finire sull’orlo del precipizio.» Si blocca. «È per colpa sua se sono stata costretta a…» Si interrompe di nuovo e la frase le muore sulle labbra.

«Giù.» Le sfioro il braccio con delicatezza, come se potessi strapparle via un pezzo di dolore. «Puoi fidarti di me.»
Lei trattiene il respiro. Lo sento spezzarsi nel suo petto e poi, con un filo di voce, lascia cadere la verità tra noi come una lama affilata.

«Ho denunciato suo figlio per stupro.»
Il mondo si ferma, il rumore del locale svanisce, il respiro mi si inceppa nei polmoni. Le sue parole sono una scossa elettrica che mi attraversa la pelle.

«Tu… tu cosa?» balbetto, incapace di pensare, incapace di processare.
Ma Giulia non mi lascia il tempo di riprendermi. Scatta in avanti, mi mette una mano sulla bocca e i suoi occhi sono terrore puro.

«Ssshhh, cazzo, se mi riconosce sono una donna morta!» Mi trascina nel retro, lontano dagli occhi indiscreti, lontano da lui e quando siamo abbastanza isolate, il racconto le esplode fuori come un veleno che non può più tenere dentro.

Mi parla di Rick, del figlio adottivo dell’avvocato, e ogni parola che esce dalla sua bocca è un colpo, un chiodo piantato nella mia carne. Una verità che non volevo conoscere.

Ma è quando pronuncia il nome completo dell’uomo al tavolo tre che il sangue mi si gela nelle vene.
Sascia Michail Kovalenko, l’avvocato che non mi toglie gli occhi di dosso.
Il predatore silenzioso che da mesi si nutre della mia esistenza senza che io sappia perché, è il fratello di Alys.

Porca puttana, avrei dovuto capirlo prima.
Quegli occhi. Quelle iridi blu come il ghiaccio, uguali alle sue.
Ma un’altra verità si insinua nella mia testa come un’ombra che mi sfiora il collo con dita gelide.
Sascia ha un figlio.
E non so perché, ma questo pensiero mi stringe le viscere in una morsa dolorosa.
Mi fa male in un modo che non capisco e mi fa venire voglia di vomitare.
Non so perché mi sconvolge così tanto, finché Giulia non sputa fuori l’ultimo pezzo del puzzle.

«Rick Kovalenko non è suo figlio biologico. L’ha adottato.»
Il sollievo che mi attraversa è così improvviso da farmi vacillare. Il mio respiro riprende a scorrere nei polmoni.

Se fosse lui l’uomo che mi ha marchiata?
Se fosse lui la voce nelle mie notti insonni, quella che sussurra nella mia testa da anni?

Spiegherebbe tante cose, troppe.
Ma non posso permettermi di crederlo, Sascia è il fratello di Alys, l’uomo che l’ha salvata e non può essere come loro, non può essere parte dell’Associazione.

Mi rifiuto di pensarlo, eppure, il dubbio mi striscia addosso come un serpente.
Perché ogni volta che lo guardo, ogni volta che i suoi occhi mi incatenano…
No, non è lui, il fratello di Alys, non è l’uomo che ha partecipato all’asta.

Sei mia, Lilith. Ovunque andrai, ti troverò.

Dove sei?

La nostra Anastasya ha ricordi molto confusi della sua infanzia, ma non della notte del suo diciottesimo compleanno.

Cos'è successo??

𝖂𝖊 𝕬𝖗𝖊 𝕮𝖍𝖆𝖔𝖘 - 𝕾𝖆𝖘𝖍𝖆 - 𝖛𝖔𝖑. 3Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora