ANASTASYA
Oggi
Voglio essere sincera, dopo tutto l’addestramento con Sascia e Rick, pensavo di essere pronta a difendermi.
Pronta a uccidere, ma non in questo modo così brutale come se lo avessi già fatto.
L’adrenalina mi esplode nel petto, mi scorre lungo le gambe mentre le attorciglio intorno al collo dello stronzo che mi ha slegato per portarmi in bagno.
Il suo respiro si trasforma in un rantolo strozzato, poi sgrana gli occhi con le mani che si agitano inutilmente nell’aria. Si dimena, cerca di divincolarsi, ma stringo le cosce con ancora più forza e lo sento cedere.
Le vene del suo collo pulsano sotto la mia presa, i capillari nei suoi occhi scoppiano mentre lotta per l’ultimo filo d’aria.
In appena venti secondi è morto e il suo corpo si affloscia sotto di me con un suono sordo.
Dovrebbe ringraziarmi per averlo ucciso in così poco tempo.
Mi stacco da lui con il fiato corto e il cuore che martella nel petto, poi gli tiro un calcio nelle palle, solo per sicurezza.
Figlio di puttana.
Mi sfilo il resto delle catene dai polsi e dalle caviglie, ignorando il bruciore della pelle graffiata dal metallo, ma il battito nel petto è fuori controllo.
Mi avvicino alla porta di metallo e appoggio la mano alla maniglia, tendendo l’orecchio. Sembra che ci sia silenzio, per cui sguscio fuori.
L’aria è densa di umidità, carica dell’odore pungente di ruggine e muffa. Il corridoio è stretto, soffocante, illuminato solo dalle luci al neon che tremolano sopra la mia testa.
Le pareti sono di cemento grezzo, fredde e impregnate di un’umidità che si infila nelle ossa.
È un bunker sottoterra, dannazione.
Indosso ancora il vestito che mi ha dato Sascia, un raso leggero e aderente che ora mi sembra solo un ostacolo. I piedi scalzi calpestano il cemento ghiacciato mentre mi muovo, leggera come un’ombra.
Devo trovare una via di fuga, oppure un cazzo di telefono.
Striscio lungo il muro con le spalle incollate alla superficie ruvida, ogni angolo di questo posto sembra un labirinto infinito.
Ma poi sento un ronzio.
Svolto l’angolo e mi trovo davanti a una stanza rivestita di lamiere di metallo arrugginito. Una scrivania è appoggiata al muro, immersa in una penombra sinistra, e sopra di essa c’è un telefono.
Il cuore mi balza in gola mentre mi avvicino, con i muscoli tesi.
I brividi mi corrono lungo la schiena quando allungo la mano verso la cornetta.
Le dita tremano mentre sollevo la cornetta e digito il numero di Sascia.
Dopo appena due squilli sento la sua voce rassicurante come una carezza calda. Mi sfugge una lacrima che asciugo con il palmo della mano, non permetterò a nessuno di strapparmi via questa nuova vita, anche se spesso fatico a respirare. Ma senza mio marito, preferirei smettere di vivere per sempre.
«Lilith, dimmi che sei tu.» Chiudo gli occhi, sentendo il dolore nella sua voce.
«Sono io, sto bene.»
Sascia respira forte dall’altra parte.
«Ti hanno fatto del male?»
«Non ancora.»
I miei occhi si muovono veloci nella stanza, sto sprecando secondi preziosi.
«So dove sei, piccola.» La sua voce è più stabile, ma ancora carica di tensione. «Stiamo arrivando. Mantieni il controllo e metti in pratica tutto quello che sai.»
Passano alcuni secondi di silenzio mentre un'altra lacrima mi rotola sul viso.
Poi aggiunge: «Torneremo a casa insieme, e avrai il più bel regalo della tua vita.»
Non so come diavolo faccia a pensare di darmi un regalo in questo momento, perché l’unica cosa che farò appena lo vedrò, sarà strappargli tutti i capelli finché non sputa fuori la verità suo passato.
«Sss.» Lo zittisco. «C’è mio padre qui.» La rabbia mi si attorciglia nello stomaco «e una donna che dice di essere appartenuta a te, Sascia.» La mia voce è veleno.
«Non credere a una sola parola che esce dalla bocca di quella donna.» Il suo tono cambia in un ringhio basso ma più profondo. «Tu sei sempre stata l’unica per me, Lilith. E non esiste inferno, paradiso o cazzo di angolo del mondo in cui tu sia, dove non ci sia anch’io.»
Le lacrime mi bruciano gli occhi.
Dannazione.
Riesce sempre a trovarmi, sempre a raggiungermi, e ad affondare nel mio cuore.
«Dimmi che hai capito.»
Non rispondo, perché se apro bocca, la mia voce tradirà le emozioni che sto provando.
«Dimmi che hai capito, Lilith!»
«Ho capito!» rispondo, strozzata. Poi stringo i denti. «Ma avremo un discorso serio quando torniamo a casa, e mi dirai ogni cazzo di cosa, Sascia.»
Lui espira forte, lo sento.
«Tutto quello che vuoi, piccola.» Poi la sua voce si incrina di nuovo. «Nasconditi. Ti prego. Non farti prendere, oppure impazzisco.»
Mi mordo il labbro.
«Stai attento per favore, è una trappola. Stanno cercando anche te.»
«Lo so.» Il suo fiato è corto.
«Ti amo.» È l’ultima cosa che riesco a die prima di attaccare, perché non voglio dargli il tempo di rispondere e di sentire il dolore nella sua voce, è troppo da sopportare.
E se Sascia crolla, io crollo con lui.
Mi asciugo le lacrime con il dorso della mano e torno a muovermi come un fantasma.
I miei piedi nudi sfiorano il cemento mentre striscio lungo il corridoio, ma non vedo nessuna uscita, e nessuna finestra che mi dia speranza in questo buco.
Solo muri e ombre, ma un improvviso ronzio di voci mi fa trasalire.
Forse mi porteranno a un’uscita, o alla mia fottuta morte, ma non mi fermo e prima di seguire verso quel suono, torno nella stanza del telefono e strappo il filo dal muro.
Avvolgo la corda nella mano, perché se non trovo un’arma, me la creo.
A passo lento ripercorro il corridoio di poco fa che mi conduce all’ingresso di una stanza illuminata da neon traballanti.
«Quel diavolo starà qui a momenti.» Uno dei due uomini all’interno, ridacchia. «Ci divertiremo con lui.»
Quelle parole mi fanno scattare di riflesso, senza pensare alle conseguenze. Non permetterò a nessuno di fare del male a Sascia, prima devono passare sul mio cadavere.
Entro dentro con le mani nascoste dietro la schiena, e i due si girano di scatto.
L’uomo barbuto stringe i pugni. «Tu!»
L’altro sorride appena, quasi compiaciuto che io sia lì, mentre quello al suo fianco resta sull’attenti.
«Come cazzo hai fatto a fuggire?»
Sorrido. «Semplice.» Li fisso, con il fuoco negli occhi «Ho ucciso il vostro amico.»
E che l’inferno abbia inizio.
Mi guardano con gli occhi ridotti a due fessure, poi ridono.
Una risata sguaiata, sporca, come se fossi uno scherzo.
«Sarai pure la moglie di quel diavolo,» ridacchia quello magro, «ma non vali nemmeno un’unghia delle sue.»
Stringo i denti e mi limito a guardarlo di traverso, ma il sangue mi ribolle nelle vene.
Figlio di puttana, tu non hai idea di cosa io sia capace.
«Vero,» sussurro, inclinando appena il capo. «Non sarò mai come mio marito.»
E poi mi muovo rapida scattando sull’uomo grasso prima che possa reagire.
La corda che avevo nascosto dietro la schiena si stringe intorno al suo collo in un secondo.
Lui si dimena, gli occhi che si spalancano nel terrore, mentre il magro scatta verso di me.
Gli tiro un calcio volante, lo colpisco dritto nello sterno e il suo corpo viene scaraventato all’indietro, sbattendo contro la parete di cemento con un tonfo seguito da un grugnito.
Tiro la corda più forte, l’uomo grasso gorgoglia, le mani che graffiano il nodo improvvisato intorno alla sua gola.
Il suo volto si gonfia, gli occhi diventano rossi, la lingua che si protende inutilmente verso l’aria che non può più raggiungere.
Non gli concedo pietà, e continuo a tirare finché sento il suo corpo perdere forza e smettere di lottare. Lascio andare la corda e lui cade a terra come un sacco vuoto, poi mi giro verso l’altro che è già in piedi mentre sputa sangue e si asciuga la bocca con il palmo della mano.
Poi ringhia. «Brutta puttana.» E mi salta addosso.
Cadiamo a terra in un groviglio di arti e odio.
Il cemento freddo mi brucia la pelle, le sue mani afferrano i miei polsi e il suo peso mi schiaccia.
Merda, questo stronzo è più forte di quanto sembri.
Lo colpisco al fianco con il ginocchio, ma lui incassa senza arretrare.
Affondo le unghie nella sua pelle, graffio, mordo, cerco qualsiasi punto debole.
Lui mi blocca e la sua testa si abbatte sulla mia.
Un dolore esplosivo mi scoppia nel naso, e le stelle esplodono nella mia vista.
Il sangue caldo mi cola sulle labbra, il sapore metallico mi invade la bocca.
Lo vedo sorridere quando le sue mani scivolano intorno alla mia gola e stringe forte, inizia a mancarmi l’aria.
Il mio petto si solleva in un rantolo disperato, il mio cuore martella nelle tempie.
Il suo volto è sfocato sopra di me, ma vedo il ghigno.
Sente che mi sta uccidendo, e gli piace.
«Mi hanno chiesto di lasciarti in vita,» sputa, «ma non me ne frega un cazzo.»
I suoi occhi brillano di crudeltà mentre stringe ancora, sto per morire.
La mia vista si oscura.
No, non può finire così.
Le mie dita si muovono a tentoni, cercano disperatamente un punto di appoggio.
Pensa, Ana.
Pensa, cazzo.
Il ricordo della voce di Sascia mi arriva da lontano, come un sussurro nella nebbia.
“Ti amo, Lilith.”
Un brivido mi scuote.
No, non muoio oggi.
Il mio corpo si rilassa di colpo, fingo di cedere, di essere alla fine, e l’uomo abbassa la guardia come previsto.
Sollevo le ginocchia con un ultimo spasmo e gli sfondo i coglioni.
Il suo grido mi lacera i timpani ma le sue mani mollano la presa dalla mia gola.
Respiro e mi sollevo scagliandomi su di lui.
Rotoliamo sul pavimento, i nostri corpi che sbattono contro gli spigoli ruvidi delle pareti.
Lui cerca di rialzarsi, ma io gli pianto il gomito sul viso, poi mi acciuffa per i capelli e mi tira giù con sé, ma sono più veloce.
Gli afferro il collo con entrambe le mani e lo sbatto sul cemento.
Una.
Due.
Tre volte.
Le sue dita artigliano le mie braccia ma lo stringo forte, fino a sentire le sue ossa cedere sotto la mia presa.
Fino a quando il suo ultimo respiro si dissolve nell’aria e lo lascio andare.
Mi tiro su, il fiato corto, le mani sporche del suo sangue.
Ce l’ho fatta, ma non è finita.
Mi alzo barcollando con il corpo dolorante e il sangue che continua a colarmi dal naso.
Poi sento un suono, è un rumore di passi troppo vicini.
Mi giro di scatto, ma è troppo tardi perché qualcosa mi colpisce la testa e perdo l’equilibrio.
Rotolo su me stessa, il dolore che esplode in ogni nervo.
Poi, silenzio.
L’ultimo suono che sento sono altri passi pesanti che si avvicinano.
Un’ombra si allunga sul pavimento accanto a me e mi inietta qualcosa nelle vene.
Sono fottuta.
A quanto pare, la nostra Lilith, è diventata davvero un piccolo demone della tempesta.
E tutto questo grazie a Sascia.
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𝖂𝖊 𝕬𝖗𝖊 𝕮𝖍𝖆𝖔𝖘 - 𝕾𝖆𝖘𝖍𝖆 - 𝖛𝖔𝖑. 3
RomanceMolti pensano che io sia il diavolo in persona, per questo in tribunale mi faccio chiamare Michail come il demone di un famoso poema romantico della letteratura russa. Non sanno che mi faccio chiamare così perché, proprio come quel demone, penso di...
