Capitolo 18

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ANASTASYA

Presente
19 anni


Corro attraverso il tunnel, sul lato sinistro della caverna, e seguo le tracce rosse disegnate sul muro, certa che tra poco mi ritroverò all'esterno della villa.
Funzionava così anche nel maniero: di notte scappavamo, solo per poi renderci conto che ci avrebbero riportato sempre indietro, ma stavolta sarà diverso.
La luce lunare filtra dall'uscita della caverna e, come previsto, sono fuori in breve tempo.
Calpesto le foglie sul terreno umido e fuggo attraverso il fitto bosco.
Non ho la più pallida idea di dove sto andando, spero solo di trovare la strada giusta.

Di tanto in tanto mi fermo per guardarmi le spalle, ma non scorgo le guardie di Sascia. Le catene mi hanno fatto guadagnare tempo, anche se dubito possono resistere a lungo, e non passerà molto prima che lui se ne liberi.

Ho il fiato corto mentre cerco di mantenere l'equilibrio. Non mi sono ancora ripresa del tutto dalla tossicodipendenza e a volte la testa mi gira come se fossi dentro una centrifuga.

Dopo venti minuti di corsa sfrenata scorgo le luci della statale e tiro un sospiro di sollievo. Ma Sascia sarà già sulle mie tracce e non posso perdere tempo.
Il solo ricordo delle bugie che mi ha rifilato mi fa ribollire il sangue, e pensare che per lui avrei dato la mia vita.
Ma si è preso gioco di me, come tutti, del resto.
Volevo che mi facesse quelle cose solo per cancellare i miei incubi. L'ho desiderato davvero, ma ho voluto insinuargli il dubbio che non fosse così, perché quel momento doveva essere solo mio, non suo.

Mi è piaciuto il modo in cui mi ha presa,  sa sempre dove toccarmi, come se il mio corpo gli appartenesse.
E, proprio come quel giorno del mio diciottesimo compleanno, mi ha fatto a pezzi.

Lo odio con tutta me stessa, e odio il fatto di essere così dipendente da lui.
Non volevo crederci quando ho riconosciuto il suo tatuaggio, ma su una cosa ha ragione.
In cuor mio ho sempre saputo che lui e il mio Padrone fossero la stessa persona, però non cambia il modo in cui mi ha trattata, e questa storia del matrimonio proprio non mi va giù.

Non ho alcun dubbio che riesca a trovarmi, ma prima spero di essermi liberata dai mostri che continuano a perseguitarmi.

E, soprattutto, voglio smettere di paragonarlo a loro e a tutti quelli che mi hanno lasciata sola.
Non so nemmeno se ho più voglia di ritrovare il mio passato, o di stare con lui. Ora come ora, vorrei solo sparire, perché tutto questo è troppo da sopportare.
Afferro il cellulare nella tasca dei jeans e chiamo Giulia, l'unica che in questo momento può aiutarmi.

«Ana, finalmente, ero preoccupata per te!» grida nel microfono.
La gola mi si secca e cerco di trovare il fiato per risponderle.

«Facevi bene. Quel diavolo della California era l’uomo dei miei diciotto anni. Mi ha tenuto prigioniera in casa sua.» Premo la schiena contro la corteccia di un albero, giusto il tempo di fare un respiro profondo.

«Cosa?? Stai scherzando, vero?»

«Affatto. Ma ti prego, dammi una mano. Ho bisogno di aiuto e di sbarazzarmi del telefono. Sono scappata e a quest'ora mi starà già seguendo.»

Scatto con la testa a destra e a sinistra cercando di captare qualche rumore, per fortuna non vedo nessuno nei paraggi.

«Riesci a raggiungere il distributore sulla statale? Quello dove vendono i migliori hamburger di San Diego?»
Il suo tono è calmo, ma so che è spaventata almeno quanto me.

«Dovrei essere nei paraggi.» A occhio e croce, mi trovo a poche miglia di distanza.

«Ti mando una macchina. Intanto, butta il telefono e raggiungi il distributore.»

Faccio come dice. Distruggo il cellulare e riprendo a correre a tutta velocità.
Quando arrivo, una Mercedes nera dai vetri oscurati mi attende in un angolo del parcheggio, deve essere la macchina che Giulia ha mandato.

Spero solo di aver fatto bene a chiamarla e di non averle causato problemi con la sua famiglia. Non me lo perdonerei mai, ma non avevo scelta.
A parte Alys, Giulia è l'unica amica che ho, e non chiamerei mai la sorella dell'uomo che odio di più al mondo.
Santo cielo, come ho fatto a non capirlo subito?
Come ho fatto a non riconoscerlo?
Quei cazzo di occhi mi perseguitano da anni.
Mi sono lasciata manipolare come una marionetta e non riesco a capacitarmene.
Devo allontanarmi e disintossicarmi da lui, non merita niente di me, nonostante lo abbia supplicato più volte di portarmi via.
Pensavo che potesse darmi un futuro e aiutarmi a ricostruire il passato che non ho, ma ha solo peggiorato tutto.
Mi ha distrutta, il mio cuore non regge più e io non ce la faccio.
Questa vita mi ha stancato.
Salgo sull'auto e, non appena chiudo lo sportello, il conducente ingrana la marcia e imbocca la statale.
Dopo circa venti minuti entriamo in un viale sterrato e varchiamo un cancello che conduce a uno dei locali più lussuosi di San Diego.
Lo scopo non era certo quello di cercare divertimento, ma evidentemente Giulia è incastrata in una delle solite serate di famiglia.
È giovane, e di sicuro i suoi fratelli stanno già cercando un modo per sistemarla con qualche pezzo grosso della mafia.
Funziona così, nelle famiglie criminali, le tradizioni difficilmente vengono interrotte. Non so come faccia a sopportare tutto questo, mi viene voglia di prenderla e di fuggire insieme a lei nell'altro capo del mondo. Non ce lo meritiamo lo schifo che ci perseguita.
Giulia mi aspetta all'entrata e mi avvolge in un lungo abbraccio.

«Dimmi che stai bene... sei ferita?»
Le lacrime le rigano il viso mentre mi scruta da capo a piedi.

«Sto bene.» La rassicuro, ma sembra non credermi «dico sul serio.»
Sospira, rassegnata, e mi prende per mano.

«Vieni dentro.» Mi trascina all'interno del locale.

Le luci soffuse e la musica di sottofondo mi fanno barcollare, ma prima di portarmi con sé nel cuore della serata, mi accompagna in un camerino e mi porge degli abiti puliti dopo avermi fatta lavare. Provo a fare storie al riguardo ma è irremovibile, così le do retta perché senza di lei non sarei riuscita a nascondermi da Sascia. Ho ancora il cuore in gola mentre ripenso a come mi ha posseduta qualche ora fa.

Giulia mi sistema i capelli, mi passa un velo di mascara e di lucidalabbra, poi mi allunga un paio di décolleté.

«Non voglio mettere anche queste, per favore.» La supplico. Non sono abituata a questo genere di vestiti, né a frequentare certi posti. «Lasciami qui, ti aspetterò buona in un angolo.»

«Devo tornare al tavolo per forza, Ana. E non ho nessuna intenzione di lasciarti da sola.»

Giulia si morde il labbro, visibilmente a disagio. Perfino ora, mentre cerca di proteggermi.

«Permettimi almeno di indossare delle scarpe basse.» Già mi sento fuori luogo con questo mini abito, mettere i tacchi mi farebbe sentire ancora più ridicola.

«Non se ne parla. Non voglio che gli occhi di questa gente puntino su di te» mi lancia uno sguardo severo «i tuoi vestiti e le tue scarpe attirerebbero troppa attenzione, non lo permetterò.»

«Ma io…»

Mi blocca con un cenno della mano.

«Smettila e indossali. Sei bellissima.»
Allunga una mano verso il comò e mi spruzza addosso un po' di profumo, poi si posiziona alle mie spalle e mi fa voltare verso lo specchio.
L'abito rosso che indosso è aderente sul busto. La gonna, lunga fino al ginocchio, si apre quel tanto che basta a scoprire le mie gambe nude.
Mi porto una mano al ciondolo a forma di libellula e tiro un lungo sospiro.

«Lo vedi? Piace anche a te, questo vestito» mi stringe le spalle e mi rivolge un sorriso bellissimo.

«Non mi piace come mi sento.»
Tutto è successo troppo in fretta e mi gira la testa.
Volevo solo fuggire da Sascia, ma non immaginavo che la serata avrebbe preso questa piega.
Giulia mi versa del liquore in un bicchiere e me lo porge.

«Mandalo giù. Ti aiuterà. »

Lo ingoio ricambiando il sorriso mentre il liquido mi brucia l'esofago. Faccio una smorfia, ma non voglio rovinarle la serata.

«Promettimi che andremo via presto» le poso una mano sulla guancia «per favore.» Giulia non risponde, si limita ad annuire, indicando le décolleté accanto al comò.

Il tacco atterra morbido sul pavimento laminato mentre una guardia ci scorta fino al privé, dove tre divani in pelle sono disposti attorno a un tavolo colmo di cestelli di ghiaccio e champagne.
Quattro uomini in abiti firmati siedono davanti a noi, e le due donne con vestiti succinti mi osservano di sottecchi, mentre uno di loro mi rivolge un ampio sorriso: si tratta di Salvatore Colombo, il fratello di Giulia.
Lascia scivolare dalle sue ginocchia la bionda che lo stava intrattenendo e si avvicina.
«Ana, che piacere rivederti.» Mi prende la mano e mi sfiora le nocche con le labbra, senza mai distogliere gli occhi dai miei. «Non so cosa sia successo, ma qui sei al sicuro.» Poi si stacca da me e torna a sedersi.
Bofonchio un lieve «grazie».
Lui annuisce e si dedica di nuovo alla sua bionda, mentre io distolgo lo sguardo e mi siedo accanto a Giulia.
Indossa un vestito lungo che le esalta i fianchi e la sua figura esile. Le lentiggini risaltano sulla pelle chiara. È davvero molto bella e il suo modo di fare impacciato e timido è identico a quello di Alys da bambina.
«Non ti ha fatto del male, vero?»
«Sto bene. Per ora.» Continuo a guardarmi intorno, come se Sascia potesse sbucare da un momento all'altro mentre Giulia intreccia le dita alle mie, per infondermi coraggio.
«Raccontami tutto.»  Mi sussurra all'orecchio.
Segue un minuto di silenzio prima di lasciarmi andare in un lungo monologo che la fa restare a bocca aperta man mano che parlo.
«Cazzo, Ana. Quel diavolo non ti lascerà andare così facilmente» stringe la mia mano tremolante «ha ucciso più volte per te, non si fermerà mai.»
Mi si gela il sangue alle sue parole.
«Di chi parli?»
Tore solleva un braccio e mi versa dello champagne in un bicchiere, rivolgendomi dei sorrisetti di tanto in tanto. Sono sicura che se non ci fosse Sascia nella mia vita, sarei caduta tra le braccia di quest’uomo senza esitazione. A quanto pare sono attratta da gente poco raccomandabile.
«Non fare la finta tonta» continua Giulia  «il tizio morto nel bagno della tavola calda, quello trovato impiccato con la cravatta, non ti dice niente? »
Inarco un sopracciglio.
«Me lo ricordo, si è suicidato.»
Giulia sbuffa.
«Certo, come no» mi fissa con aria scettica «a volte sembri davvero ingenua. Sascia ha lasciato il suo fratellino a fare da vedetta, è andato nel bagno e ha ucciso quel ragazzo.» Le parole mi colpiscono in pieno petto. «Che guarda caso, ci aveva provato con te davanti ai suoi occhi» puntualizza.
«Perché avrebbe dovuto farlo?»
Giulia si appoggia allo schienale e beve un sorso di champagne.
«Succede, quando sei un criminale» la sua voce è bassa, quasi un sussurro. «Riconosco il tipo di uomo capace di fare una roba del genere.»
Forse ha ragione.
Ma se fosse così, perché ha aspettato un anno per portarmi via?
Perché mi ha spiata da lontano, prendendosela con chiunque si avvicinasse a me?
Ci sono molte cose che non mi tornano nella nostra storia ma non è questa la  domanda che voglio farle, perché c’è qualcosa che mi incuriosisce.
«Quindi quel biondino che stava con lui quel giorno, era suo fratello?»
Ho avuto a che fare solo con Rick nella villa, ma ho sentito spesso parlare di Artem, uno psicopatico, proprio come Sascia.
«Sì, il gemello di Alys. Si dice in giro che la sua fidanzata si sia ammazzata, e che lui sia impazzito.»
Rabbrividisco.
«È terribile, cazzo. Perché lo ha fatto?»
All'improvviso, sento un bisogno irrefrenabile di saperne di più, mentre Giulia tracanna altro alcol, come se servisse a placare il nostro nervoso.
«Brutta storia. Pare che da piccola vivesse in Spagna.»
«E allora?»
«Alcuni rapinatori hanno ucciso suo padre e violentato sua madre davanti ai suoi occhi. Quando uno di loro stava per fare lo stesso con lei, la ragazzina ha squartato quell’uomo con un uncino per le unghie, questa storia era su tutti i giornali.»
Mi si blocca il respiro.
Un uncino per le unghie, io ne porto sempre uno con me.
Giulia continua a parlare, ignara del vuoto che si sta aprendo sotto ai miei piedi. «Poi è arrivata la polizia. I rapinatori si sono dati alla fuga, ma prima di scappare si sono portati dietro sua sorella maggiore.»
Alla fine del racconto il senso di nausea mi schiaccia e mi aggrappo al bicchiere con le mani sudate, non riesco a deglutire.
«Scusami. Devo andare in bagno.» Mi alzo di scatto con una mano premuta sulla bocca.
«Tutto bene?» chiede confusa.
«Sì, torno subito.» Devo sciacquarmi la faccia e allontanare il nodo che mi stringe la gola impedendomi di respirare.
Scendo i gradini del privé, mentre gli occhi della gente mi seguono come lame sulla pelle e mi bruciano.
Entro nel bagno delle donne e mi appoggio con forza al lavandino di marmo.
L'acqua gelida scivola sulle braccia, ma non basta, il racconto di Giulia mi ha aperto il cuore in due al pensiero che anche io ho una sorella chissà dove. E se fosse morta anche lei?
Chiudo gli occhi e i ricordi si infilano nelle crepe della mia anima.
Trixy, ti voglio bene.
Non lasciarmi, sorella.
Mai, piccola libellula.
Una lacrima rotola sulla mia guancia, la scaccio con il palmo della mano.
Vorrei essere più forte.
Vorrei riuscire a superare questi momenti che mi stringono la gola come un cappio, ma non ce la faccio.
Non ho idea del perché quella storia mi abbia scossa così tanto.
Forse è solo lo stress della giornata, o forse è la stanchezza, o forse i ricordi del passato che non riesco a riportare a galla.
Mi asciugo gli occhi e respiro a fondo, poi torno nel locale con passo lento cercando di restare ancorata al presente.
Appena supero il corridoio, un ragazzo dagli occhi neri come la pece, mi blocca la strada.
Ha uno sguardo profondo, avvolto nell'ombra e il suo abito elegante non mi inganna, questo locale puzza di criminalità e lui non fa eccezione.
«Non ti ho mai visto qui» mi studia con aria curiosa «sei un'amica dei Colombo?»
Annuisco, senza dire una parola mentre mi tende la mano.
«Piacere, sono Salvo Gambino.» Me lo dice come se dovessi sapere chi è.
Lo squadro da capo a piedi.
Sembra un damerino, ma ha il ghigno di un uomo abituato ad avere sempre quello che vuole e non mi piace.
«Piacere, Ana.»
Gli stringo la mano per educazione, ma il mio corpo si irrigidisce al contatto.
Giulia mi vede da lontano e suoi occhi si spalancano come a volermi dire di fuggire da questa situazione.
Faccio per andarmene, ma Salvo mi afferra per un gomito con una presa troppo ferma.
«Non così in fretta, dolcezza. Fatti offrire da bere.» Mi strizza l'occhio e mi tira leggermente verso di lui.
Mi incupisco «Non ho voglia, grazie. Ora lasciami il braccio, altrimenti…»
L’istinto di prendere l’uncino mi blocca quando mi ricordo di non averlo con me.
«Altrimenti cosa?» Stringe le dita, i polpastrelli scavano nella carne.
Con la coda dell'occhio vedo Giulia alzarsi di scatto mentre i suoi fratelli non si sono accorti di nulla, e mi rendo conto solo ora di una cosa: questo posto è il luogo meno sicuro in cui potevo finire, ma una voce profonda e rassicurante vibra dietro di me.
«Altrimenti te lo spezzo.»
Sascia.
Merda, sapevo che mi avrebbe trovata.
«Anzi,» continua lui con una calma glaciale, «ho deciso di romperlo in ogni caso.»
Un attimo dopo, le sue mani si stringono sul braccio di Salvo e lo piegano con uno schiocco secco.
L'osso si spezza.
Le urla di Salvo rimbombano nel locale e la folla si accalca intorno a noi.
Giulia e i suoi fratelli corrono nella nostra direzione e il volto di Tore è una maschera di ghiaccio.
Il silenzio cade nella sala mentre Salvo continua a contorcersi, stringendosi il braccio spezzato.
Tore alza la pistola e la punta dritta contro Sascia, altri dieci uomini fanno lo stesso ma lui non si scompone.
Mi scivola un brivido lungo la schiena mentre vedo Tore digrignare i denti.
«Kovalenko, lascialo subito» tuona rabbioso «e come cazzo hai fatto a superare la sicurezza?»
Sascia stringe di più la presa su Salvo e sorride.
«Mi sottovaluti così, Colombo» il suo tono è calmo e inquietante «ritieniti fortunato che non abbia dato fuoco all'intero locale.»
Un brivido mi attraversa la pelle quando Tore non abbassa la pistola, e Sascia non abbassa lo sguardo.
«Avevamo un accordo», ringhia Tore. «Tu stavi lontano dai nostri locali, noi dai tuoi» inclina il capo «ma a quanto pare, il nostro avvocato non segue più le regole.»
«Le regole saltano,» mormora, «quando nei vostri locali c'è qualcosa che mi appartiene.»
I suoi occhi si posano su di me per poi tornare su Salvo.
«Nessuno ha toccato niente di tuo» Tore parla lentamente, con la canna della pistola ancora puntata su di lui «ora vattene, prima che ti faccia saltare il cervello.»
Altri uomini lo affiancano, pronti a sparare.
Sascia non batte ciglio, la sua faccia è impassibile come se non gliene fregasse niente, come se fosse lui a controllare la situazione.
E forse è proprio così perché sembra davvero sicuro di sé.
«Non prima di aver ripreso la mia futura sposa» la sua voce è gelida «e non prima di aver rotto qualche altro osso a questo pezzo di merda.»
Spinge Salvo che rotola a terra, con il braccio piegato in una posizione innaturale.
Tore inclina appena il capo.
«Sascia, ora basta» mi faccio avanti io con una mano sul suo braccio, sperando di calmarlo, ma lui non si muove, non mi guarda nemmeno. «Andiamo via, per favore. Non è successo nulla» continuo con la speranza di interrompere la tensione.
Giulia mi afferra per il polso, la sua presa è tremante, quasi disperata.
«Non ti lascio andare con lui» le sue parole mi trafiggono. «Non farlo, Ana. Ti prego» il suo viso è pallido.
«Attenta a come parli, signorina Colombo» la voce di Sascia taglia l’aria come un coltello mentre il suo sguardo severo si appunta verso Giulia. I suoi occhi sono due pezzi di ghiaccio mentre lei indietreggia di un passo. «L'ultima volta non ti è andata molto bene, ricordi?» Nel locale cala il gelo. «La tua famiglia prima ti ha gettata nella fossa,» continua Sascia, con la solita calma glaciale, «e poi ti ha lasciata lì.»
La mascella di Tore si tende e la presa sulla pistola si fa più stretta, ma non spara.
Sascia sorride, sa di aver colpito nel segno. «Come vedi, non siete migliori di me.»
Mormora quelle parole come una sentenza.
Qualcuno bisbiglia.
Altri si scambiano occhiate cariche di tensione.
Ma il vero silenzio è quello tra Sascia e Tore che si studiano annusandosi come due predatori, pronti a scatenare l'inferno, e io sono nel mezzo.
Tore rompe il silenzio per primo.
«Kovalenko, ora basta.»
Abbassa la pistola, e non perché abbia paura, ma perché ha capito che sparare ora significherebbe scatenare una guerra.
Si volta verso Salvo, ancora piegato in due dal dolore e gli posa una mano sulla spalla.
«Mi dispiace, mi dispiace» rantola lui con smorfie di dolore.
Sascia li fissa, impassibile.
«Non è con me che devi scusarti» Tore non batte ciglio, afferra il braccio sano di Salvo e lo tira su, obbligandolo ad alzarsi.
Poi gli posa una mano sul bancone del bar e si volta verso di me con uno sguardo severo.
«È questa la mano con cui ti ha toccata?»
Annuisco incapace di parlare.
Salvo balbetta qualcosa, ma non ha il tempo di finire la frase che Tore solleva la pistola e spara.
Il colpo esplode nella stanza.
Salvo urla e il sangue schizza sul legno scuro del bancone.
Il fiato mi si mozza in gola e la mia mano vola alla bocca, mentre le dita di Giulia si stringono sulle mie, forti, quasi a volermi trattenere, ma io non riesco a muovermi.
Salvo cade in ginocchio, stringendosi la mano devastata dal colpo.
La sua voce è un rantolo di dolore.
Tore si volta di nuovo verso di me e mi guarda dritto negli occhi.
«Se un giorno avrai bisogno di noi, saremo qui» mi sento soffocare «ma fino a quando non avrai risolto le cose con il tuo futuro marito...» fa una pausa mentre il suo sguardo si fa ancora più duro. «Tieni mia sorella fuori da questa storia.»
Ogni singola parola mi colpisce come un pugno nello stomaco.
Giulia singhiozza e si stringe a me.
«Mi dispiace,» sussurra contro la mia spalla. Le accarezzo la testa, il cuore che mi martella nel petto «mi dispiace davvero, Ana.»
Le stringo il viso tra le mani.
«Va tutto bene, Giù. Hai fatto anche troppo per me.»
Sascia mi afferra per il polso, la sua presa è ferma e sicura, un segnale chiaro che è ora di andare.
Dopo essermi rimessa i miei vestiti, usciamo dal locale con le voci che sussurrano intorno a noi.
Gli sguardi mi trafiggono la schiena e in questo momento mi sento nuda.
Sascia mi guida fino al parcheggio, la sua mano è ancora stretta attorno al mio polso, non mi sta trascinando.
Non ne ha bisogno, perché io non oppongo resistenza, ma quando raggiungiamo il Cayenne nero, mi blocco mentre mi apre la portiera.
Non salgo subito e resto ferma con il cuore in gola.
Lui mi osserva con gli occhi velati di nero, imperscrutabili, e mi studia in silenzio, come se aspettasse che dicessi qualcosa.
Ma non ho niente da dire, perché la verità è una sola: non c'è niente nella mia cazzo di vita che io riesca a controllare.

È tutto fuori posto.
E io mi sento morire.

Piccola Lilith, hai fatto male i conti.
Lui ti ritroverà sempre.

𝖂𝖊 𝕬𝖗𝖊 𝕮𝖍𝖆𝖔𝖘 - 𝕾𝖆𝖘𝖍𝖆 - 𝖛𝖔𝖑. 3Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora