SASCIA
29 anni
«Vai a prendere il medico e portalo a casa, subito!»
La mia voce è un ringhio nel cuore della notte, un ordine che non ammette esitazioni.
Non c’è bisogno che gli dia spiegazioni, Rick sa che quando urlo in quel modo è troppo tardi per le domande.
Metto giù, certo che sta volando a prendere Rainold mentre io sto per perdere la testa.
Le luci della strada lampeggiano a intermittenza, il Cayenne divora l’asfalto con rabbia, ogni lampione un flash negli occhi vitrei, ogni ombra un mostro che mi sfida.
Non ripeterò lo stesso errore, non lascerò che la mia Lilith mi scivoli dalle mani.
Mio fratello mi ha fatto perdere il controllo quando ha provato a uccidersi, così ho distolto lo sguardo da lei, ed eccoci qua.
Con lei che trema tra le mie braccia e che sta male. Con lei che sta pagando il prezzo del mio allontanamento.
Dovevo proteggerla e invece l’ho lasciata a quel pezzo di merda, e Miro ha fatto esattamente quello che temevo.
Mi ha fregato, e non me ne sono accorto.
Nemmeno dopo aver capito che era colluso con l’Associazione e ho deciso comunque di lasciarla in quella casa, convinto che la distanza fosse l’unica cosa giusta per entrambi. Il mio cervello mi urlava che tenerla vicina significava spezzarmi e diventare un’altra versione di me stesso, una in cui non ero ancora pronto.
Volevo tenerla lontana ma è stato tutto inutile, perché il ricordo di quella notte, quella in cui mi ha implorato di farla mia, è ficcato nella mia testa.
È stato un errore sprofondare dentro di lei e marchiarla, perché ora sono un fottuto tossico, e la paura di perderla mi fa impazzire.
Stringo il manubrio fino a far sbiancare le nocche, le vene gonfie sotto la pelle, un battito che mi esplode nei polsi.
Mi sono convinto di poterla proteggere standole lontano. Mi sono illuso che osservarla da lontano bastasse.
Ma è stato tutto uno schifo di bugia.
Lei è sempre stata mia, e ora sto correndo contro il tempo per riprendermela.
Allungo la mano e le sfioro il viso, la pelle bollente, il sudore che le scivola lungo la tempia, le labbra screpolate che si aprono appena in un gemito soffocato.
Ha bisogno di me.
Spingo il piede sull’acceleratore e faccio un’altra chiamata, stavolta al bunker, mentre la lancetta sul cruscotto sfiora i centosessanta.
«Vi avevo detto di controllare ogni cazzo di dettaglio della vita di Lilith! Ogni sua mossa, ogni suo dannato respiro!»
Le mie grida si confondono con il ruggito del motore e con la paura che mi sta avvelenando il sangue.
La voce di Joy traballa. «Signore… noi abbiamo…»
«Signore?» Il mio tono diventa piatto. «Qual è la parola che vi ripeto sempre?»
Un silenzio viene seguito da un respiro strozzato.
«Lealtà, signore.»
«Lealtà.» Ripeto quella cazzo di parola come se potessi sputargliela in faccia. «Che bella parola, vero?» Prendo un respiro profondo. «Joy, trovami il traditore. Trova la falla nel sistema. Fai il cazzo che ti pare, ma risolvi questa merda, e sappi che da domani mia sorella Alys sarà a capo della squadra.»
Attacco, non c’è niente altro da dire.
Spingo sull’acceleratore, la macchina ruggisce mentre la mia rabbia diventa asfalto divorato sotto le ruote.
Supero i miei uomini all’entrata della casa di campagna, sfreccio sul brecciolino e inchiodo davanti alla porta.
Lilith tremava tra le mie braccia quando l’ho presa, ora trema di più.
Non va bene.
Salgo le scale due a due e la porto nella mia camera, perché è quello il suo posto.
Il suo corpo è un groviglio di spasmi sotto le lenzuola, la sua voce si rompe in un lamento.
«Per favore, aiutami…»
«Ci sono io. Tranquilla.» Il suo dolore mi spezza in due.
Marisol si affaccia alla porta con gli occhi spalancati, non mi ha mai visto portare una donna nel mio mondo.
«Porta dell’acqua.» Le parole mi escono dure, spezzate e la mia voce non sembra nemmeno mia.
Mi inginocchio accanto a Lilith, le passo un panno umido sulla fronte, cerco di calmarla, di darle sollievo, di farle capire che adesso è al sicuro.
Non smetto di accarezzarla, non posso.
Passano venti minuti e poi la porta si spalanca.
«Ho fatto il prima possibile.» Rick entra accompagnato dal medico.
Rainold mi fissa. «Fuori. Adesso.»
Lo fulmino con lo sguardo perché non ho nessuna intenzione di muovermi.
Lilith è mia. Mia da proteggere, mia da tenere al sicuro, mia da non lasciare mai più.
Ma poi la osservo rannicchiata nel suo dolore, piccola e indifesa, in guerra contro il suo stesso corpo e capisco che Ray ha ragione.
Capisco che al momento, per la prima volta in vita mia, non sono io la soluzione.
Esito un solo secondo e poi esco dalla stanza. Premo la fronte contro la porta di legno, gli occhi chiusi, il respiro sospeso.
Sento il corpo pesante, il sangue che scorre lento, consapevole che Lilith è lì dentro, distesa su quel letto e la colpa è solo mia.
Rick mi poggia una mano sulla spalla.
«Papà.» La sua voce è calma, ma ha dentro qualcosa che conosco troppo bene. Preoccupazione. «Si riprenderà, stai tranquillo.»
Tranquillo.
Non so nemmeno cosa significhi più quella parola.
Scuoto la testa. «È la seconda volta che fallisco.»
Prima Alys, ora lei.
Le mie mani sfiorano il legno della porta, come se potessero attraversarlo, come se potessi toccarla senza essere lì e il calore della mia pelle potesse raggiungerla e dirle che non è sola, e che non lo sarà mai più.
«Sei arrivato in tempo.» Rick stringe la presa sulla mia spalla. «E adesso è qui. Con te.»
Annuisco, ma non mi sento meglio.
Qualcuno ci sta fottendo e finché non lo troverò, finché non gli strapperò il cuore dal petto con le mie mani, non avrò pace.
«Come sta Alys?» Cambio discorso, perché se continuo a pensare a Lilith in quello stato finirò per distruggere qualcosa.
Anche lei è a pezzi. Il messicano di cui si è innamorata l’ha lasciata con niente tra le mani, e io odio vederla soffrire. Odio sapere che il mio sangue, la mia famiglia, sta andando in pezzi mentre io sono qui, incapace di rimettere insieme i cocci.
Rick abbassa lo sguardo. «Ce la farà.» Fa una pausa. «Ma non si dimenticherà di Elyas.» C’è qualcosa di strano nel suo tono.
Gli sollevo il mento, lo costringo a guardarmi negli occhi.
«Richard.» Lo sento nel suo respiro irregolare, nel modo in cui serra la mascella. «Tu e io conosciamo il motivo per cui ti sei legato così tanto a mia sorella.» I suoi occhi brillano di emozioni che non vuole lasciare uscire. «Ma Alys non è lei.»
Rick chiude gli occhi, lascia cadere la testa contro la mia. «Lo so, papà.» La sua voce è un soffio. «Non so cosa avrei fatto senza di te.»
«Sei mio figlio, cazzo. Farei di tutto per te ma cavolo, hai baciato tua zia! Datti una regolata bello» lo sfotto, un lieve sorriso si affaccia dalle sue labbra.
«Fanculo pa’, non abbiamo lo stesso sangue. Smettila di farmi sentire in colpa.»
Gli passo una mano tra i capelli, li spettino, e poi stringo il suo collo con un caloroso abbraccio.
Il suo profumo è sempre lo stesso. Non è mio figlio di sangue, ma è mio.
E la mia anima e la sua sono fatte della stessa dannata pasta.
«Quando le dirai che sei l’uomo che l’ha comprata e salvata?»
Rick mi riporta a Lilith, dall’altra parte della porta, e dall’altra parte del mio cuore.
Sospiro, la mia mano scivola sul pomello d’ottone. «Non glielo dirò.»
«Lo scoprirà.» Ha ragione, e quando succederà, mi odierà. Rick scuote la testa. «Non ha alcun senso portarla qui e non dirle chi sei. Non resterà.»
Lo so, ma Lilith è ancora devota al suo Padrone, l’ho visto nei suoi occhi, nei suoi silenzi, nel modo in cui parla di lui, e la cosa peggiore è che questo mi rende fottutamente orgoglioso.
La sua lealtà è la cosa più preziosa, ma sono stato un mostro con lei e non riesco a smettere di esserlo.
Vorrei solo che questa sensazione di dolore, questo vuoto al centro del petto, smettesse di premere così forte.
Vorrei solo poter respirare senza sentirla sotto pelle, senza aver bisogno di vederla ogni giorno per non impazzire.
«Resterà, non ha scelta.»
Rick solleva un sopracciglio. «Che intenzioni hai?»
Il mio sguardo è di ferro. «Di legarla a me. Per sempre.»
Lui non risponde. Sa che quando decido qualcosa, non c’è niente e nessuno che possa fermarmi.
Prenderò il suo cuore e lo marchierò con il mio nome anche se dovrò trascinarla con me all’inferno, ma quando la porta della camera si apre, la realtà mi travolge.
Rainold è lì, con il viso stanco, gli occhi che mi analizzano.
«Sta bene. È sedata.»
La tensione si scioglie appena, ma non basta.
«Che cosa le hanno dato?»
Spero che mi dica qualcosa che possa tranquillizzarmi.
«Non lo so.» La sua voce è bassa e pesante. «È una nuova sostanza che gira, molto più forte di quella che le hanno dato da ragazzina per cancellarle la memoria.» Il mio respiro si ferma. «Ci abbiamo messo pochissimo a disintossicarla allora, ma adesso…»
Si interrompe e il cuore mi si ferma nel petto. «Adesso cosa, Rey?»
Segue un attimo di silenzio prima che riprende a parlare.
«Ci vorranno mesi e non sarà facile ripulirla da quella merda.»
L’aria diventa pesante come piombo nei polmoni, poi il mondo si oscura e un pugno parte contro il muro. Una volta, due volte, tre volte.
Il dolore esplode nelle mie nocche, il sangue macchia la parete, ma non basta a placare la rabbia.
Rick mi trattiene. «Papà, ce la faremo.»
Ma io voglio dare fuoco al mondo.
Rainold mi guarda. «Ci saranno momenti in cui dovremo legarla.»
Le uniche volte in cui dovrei legare Lilith sono quelle con le mie mani attorno ai suoi polsi, con il mio corpo sopra il suo.
Non così, mai così.
«Va bene» mi limito a rispondere ma non va affatto bene.
Marisol alle nostre spalle resta in silenzio, non mi ero accorto nemmeno che fosse tornata.
«Andate a riposare figlioli, ci penso io a lei» ci dice con un filo di voce, ma io non riesco a lasciarla andare.
«Resto io» rispondo con tono calmo e il mio sguardo basta per far intendere non cambierò idea «domani chiama i miei fratelli e organizza tutto. Dobbiamo capire da dove viene questa nuova sostanza e perché la stavano testando su Lilith» guardo Rick con gli occhi stanchi quasi quanto i miei.
«Bugs Bunny» la voce di Rainold è fitta, acuta.
Le nostre teste voltano nella sua direzione in attesa che continui a parlare.
«È una sostanza che stanno vendendo sul dark web, ma non chiedetemi altro perché non capisco nulla di quella roba. So solo che un mio paziente in ospedale ci è rimasto secco per un’overdose. Ne ho sentito parlare all’obitorio, due tizi in giacca e cravatta erano in combutta con il medico legale e volevano insabbiare tutto. Mi sono fatto gli affari miei, Sascia. Lo sai che in questa merda non ho voglia di entrarci, sei l’unico per il quale metto a rischio la mia professione e sempre lo farò» ci spiega Rainold, so che posso fidarmi di lui.
«D’accordo Ray tranquillo. Aiutami solo a disintossicare lei, al resto ci pensiamo noi. Tu tieni solo le orecchie aperte e aggiornami se senti altre voci in merito.»
«Va bene» annuisce «passo domani per darle la dose di metadone e vedere come sta. Chiamatemi per qualsiasi cosa.»
«Ti aspetta una macchina al cancello» gli dico e lui ci saluta con un cenno del capo e il viso avvolto dalla stanchezza.
Si passa una mano sulla giacca e si ricompone scendendo le scale che lo conducono all’ingresso della villa, dove un mio uomo lo aspetta per riportarlo a casa.
«Andate» mi rivolgo a Rick e Marisol che non provano nemmeno a farmi cambiare idea, non servirebbe a niente.
La notte è silenziosa quando entro nella stanza.
La luce lunare accarezza il viso di Lilith, le ciglia che sfiorano la pelle chiara, il respiro lento, il battito debole ma costante.
Mi siedo accanto a lei.
Le passo il panno umido sulle labbra spaccate, rimuovo il sangue secco e ripulisco la sua pelle con gesti lenti, delicati, come se potessi rimetterla insieme.
Le sfioro la guancia con le labbra. «Ti riprenderai.» Mi chino su di lei. «E non ti lascerò mai più.»
La mia Lilith.
Mia.
STAI LEGGENDO
𝖂𝖊 𝕬𝖗𝖊 𝕮𝖍𝖆𝖔𝖘 - 𝕾𝖆𝖘𝖍𝖆 - 𝖛𝖔𝖑. 3
RomanceMolti pensano che io sia il diavolo in persona, per questo in tribunale mi faccio chiamare Michail come il demone di un famoso poema romantico della letteratura russa. Non sanno che mi faccio chiamare così perché, proprio come quel demone, penso di...
