Capitolo 10

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Sascia

Passato
16 anni

«Tu non sei come loro» mi dice Marisol, la perpetua dello zio che mi ha cresciuto «e nemmeno il tuo figlioccio» mi preme un bacio caldo sulla fronte. È l’unica persona adulta che rispetto nel maniero. Ha il viso spento, le occhiaie marcate e le gote paffute ormai rigate dai segni del tempo. Il suo abbraccio mi avvolge come una coperta calda, proprio come dovrebbe fare quello di una madre nei confronti di un figlio.

«Lo so» rispondo, ricambio il suo gesto con uno freddo, mentre un macigno mi buca lo stomaco.
Mi stacco da lei, scendo le scale e proseguo verso l’uscita del maniero. Inspiro l’aria e chiudo le palpebre per un istante.
Un lasso di tempo per pensare ancora un attimo.
Mi guardo intorno sperando di non dover tornare più in questo posto che è diventato il mio incubo peggiore.
Una macchina nera si ferma sul viale di ciottoli in attesa che io salga.
Resto fermo, urtando le gambe contro il terreno solo nel momento in cui il clacson suona un paio di volte, spronandomi a sbrigarmi.
Tre volte.
Quattro volte.

Inizio a provare una certa forma di piacere nel vedere qualcuno implorarmi, forse a furia di frustate e punizioni la mia mente sta cominciando a deviarsi.
Ma non nel modo in cui vogliono i preti e l’Associazione.

Nel modo in cui tra poco capovolgerò il loro fottuto mondo marcio. Pregano per scacciare il demonio, ci purificano per togliercelo dall’anima.

Quello che non sanno è che ne hanno creato uno che non avrà il minimo rimorso per quello che sta per fare.
Apro lo sportello della Mercedes nera con i vetri oscurati e sputo alle mie spalle assicurandomi di centrare il portone della chiesa con il crocifisso intagliato nel legno, non molto distante da dove mi trovo adesso.
Dopo due lunghe ore di tragitto arriviamo alle catacombe di San Diego. Il luogo dove avvengono i rituali e dove vengo addestrato al dolore. Mi rifiuto di chiamarla punizione divina. Perché quella merda è solo frutto della deviazione mentale di alcuni uomini.

All’esterno delle catacombe, oggi si celebrerà l’ennesimo rituale di purificazione al quale questa volta non sarò sottoposto io, ma il mio figlioccio.

Un nodo mi serra la gola in una morsa brutale e mi mordo la lingua fino a sentire un sapore metallico in bocca.
Richard è seduto in platea di fronte all’altare di pietra insieme ad altri dieci bambini della sua età. La sua testa è china, il corpo coperto da una tonaca bianca.

Stringo forte i pugni, le unghie mi si conficcano nella pelle tanto da far colare il sangue, che sento scivolare sulla carne goccia dopo goccia.

La rabbia è intensa e mi attraversa il cuore con una scarica che arriva fin dietro le orecchie.

Il fumo del fuoco al centro del bosco mi pizzica le narici, l’odore forte dell’incenso che fuoriesce dal turibolo mi fa venire il voltastomaco.

«Non voglio che Richard sia sottoposto a questa purificazione. Ha quattro anni, zio, prendete me.»

Mi ribolle il sangue al solo pensiero. Richard si avvicina e mi prende la mano. La stringe forte e lo sento tremare.

«È nostro Signore che lo chiede, Sascia. Conosci le leggi di Dio» lo zio se ne va e mi volta le spalle. La sua faccia è una maschera di gelo.

Le conosco le leggi di Dio, e mi fanno schifo. Non ho mai capito perché in una religione dove si predica la pace, debbano purificarci dal demonio in modi che il mio cervello non comprende. Voglio parlare con questo Dio, dirgli di palesarsi e affrontarmi perché ho deciso in questo fottuto istante di stare dalla parte di Lucifero e bruciare le anime dei preti qui presenti, in questa maledetta notte e in questo dannato bosco.

Richard mi tira il braccio facendomi chinare verso il suo viso pallido e inondato di lacrime. I suoi riccioli neri coprono le sue iridi di un blu intenso, quasi come le mie. Si stringe nelle spalle con uno sguardo rivolto ai suoi piedi scalzi e sporchi.

Potrei dire a tutti che si tratta di mio figlio biologico, per quanto mi assomiglia. Eppure è solo un orfanello lasciato sulla porta della cattedrale quattro anni fa, avvolto come un fagotto in una coperta di lana.

Sono stato io a trovarlo per primo. Sentivo le sue urla strazianti echeggiare per il cortile durante un temporale notturno, e quando l’ho preso tra le mie braccia e ha smesso di piangere, mi ha stretto il pollice con le sue piccole e fragili dita così forte che le sentivo spezzarsi.

Ma non erano le mie dita a rompersi, era il mio cuore che ho sentito battere nel mio petto per la prima volta fino a sfracassarmi la cassa toracica. Non pensavo di averne uno, ma l’arrivo di Richard ha cambiato ogni cosa.
Mi sono occupato di lui fin dai primi mesi della sua vita augurandomi che questo giorno non sarebbe mai arrivato.

«Ti prego, papà, non mandarmi lì sopra» indica con gli occhi gonfi l’altare di pietra «ho paura.»

È la prima volta che mi chiama papà. Sa di non essere mio figlio, conosce anche il più piccolo dettaglio della sua vita perché ho voluto fin da subito fagli conoscere l’importanza dell’essere onesti e leali. Non gli ho mai chiesto di chiamarmi in questo modo, sa che lo ritengo comunque un figlio a tutti gli effetti.
I legami di sangue sono insignificanti, l’ho imparato a mie spese da quando sono finito in questo lurido posto a soli tre anni.

Il mio tutore, lo zio Vadim, avrebbe dovuto occuparsi di me quando mio padre ha deciso di liberarsi del suo primogenito, spedendomi in California. Ancora non capisco come un padre possa fare questo a un figlio.
Io, per Richard, sarei disposto a gettarmi a capofitto nelle fiamme dell’inferno pur di vederlo sorridere, e nemmeno abbiamo lo stesso DNA.

Cazzo, non permetterò mai che gli facciano del male.

«Ti salverò, piccolo Rick. Perché è questo che fa un padre con suo figlio, si prende cura di lui.  E adesso guarda attentamente cosa accade quando qualcuno vuole fare del male a un membro della mia famiglia.»

Strofina il piccolo palmo della sua manina sugli occhi e annuisce.

«Mi porti via da qui?» mi domanda con la vocina tremolante, gli rispondo con un sorriso.

«Ti ricordi cosa ti ho insegnato in questi ultimi mesi?» bisbiglio nel suo orecchio,  lui mi fa sì con la testa «bene, è ora di fare pratica, figlio mio», gli strofino le nocche sul cuoio capelluto scompigliandogli i capelli.

Ricambia il sorriso e annuisce.

La sua tonaca bianca, lunga fin sotto al ginocchio, risalta le sue gambe chiare e lascia scoperti i piedini nudi graffiati, sporchi di terriccio. Solo per aver visto una goccia del suo sangue potrei dare fuoco al mondo.

Richard torna al suo posto e si siede in mezzo a due bambini della sua età che stanno per subire lo stesso processo di purificazione.

Mi alzo in piedi, raddrizzo la schiena e scrollo le spalle dimostrando disinvoltura agli occhi dei sacerdoti e dell’Associazione.

Sono vestiti con il solito saio – nero per i sacerdoti e grigio per gli uomini dell’Associazione – con un cappuccio nero a punta sulle loro teste. Le iridi dei loro occhi sono scoperte da un foro tagliato sul tessuto a forma di croce, e un lungo rosario di legno è appeso ai loro colli.

Nessuno di noi giovani sa chi si nasconde lì sotto, a meno che non si arrivi a far parte dell’Associazione stessa. Ma per quello ci vuole un lungo percorso. Un processo al quale mi sottoporrei volentieri solo per scoprire le teste di cazzo che si celano sotto quelle maschere, se solo non fosse per il fatto che sarei obbligato a infliggere a quei ragazzini le stesse torture a cui sono stato sottoposto io. E mi staccherei le palle con i denti piuttosto che fare una roba del genere.

Mi limiterò a rendere i miei omaggi all’Associazione restituendo loro trattamenti esclusivi.

L’organo della cappella alle nostre spalle suona una melodia graffiante. Mi tocco l’orecchio e stringo forte le palpebre che mi bruciano.

Arriccio il naso disgustato dal continuo fetore che emanano questi loschi individui e mi prometto che una volta raggiunto il mio obiettivo, questo odore nauseante non farà più parte della mia fottuta vita.

Quella che avrò insieme al mio figlioccio e ai miei fratelli che ancora non conosco. Per quanto ne so, avrebbero dovuto essere qui da un pezzo, ma a quanto pare Kovalenko Senior se la sta prendendo comoda per venire in California dalla Russia.
Deduco che sotto ci sia uno dei suoi sporchi interessi che includono trovare una via d’uscita qualora lo zio lo estromettesse dagli affari.

Don Vadim non è solo un sacerdote che fa parte dell’Associazione, è anche membro della Bratva californiana,  e non so quanto gli vada a genio mio padre. È a lui che dà la colpa per la morte della donna che mi ha messo al mondo, sua sorella.
Le dinamiche di quell’incidente avvenuto pochi anni dopo la mia nascita, sono ignote.
Ognuno di loro pagherà caro il prezzo della vita che mi hanno costretto a vivere.
E di quella della mamma.

La notte avvolge la radura come un sudario. L’aria sa di umidità, di cera bruciata e di peccato. L’odore di incenso si mescola al puzzo delle tonache sudate, alle voci roche che sussurrano preghiere in latino.
L’altare di marmo bianco è incastrato nel cuore della terra, un’isola sacra nel fango. Attorno, la lunga schiera di sacerdoti si muove lenta in un corteo macabro. L’organo si spegne e il silenzio diventa un rintocco assordante.

«Richard, vieni avanti. È il tuo turno.»
La voce del sacerdote rimbalza tra le pietre, raggela l’aria e il tempo.
Rick si volta e mi guarda con gli occhi lucidi, ma non c’è paura.

Gli faccio un cenno appena, un segnale che coglie al volo.

Rick annuisce e il bambino impaurito sparisce.
Al suo posto rimane solo la promessa di ciò che diventerà.
Avanza deciso a i piedi nudi sulle pietre appuntite e con un balzo, si arrampica sull’altare.

Il sacerdote si avvicina a lui, la sua ombra è lunga, il suo respiro è greve, l’eccitazione viscida gli cola addosso come sudore.
Solleva la tonaca di Rick, scoprendo la pelle bianca, immacolata, carne sacrificale esposta all’abisso.
Si inginocchia sopra di lui e si solleva la veste.

E nel momento in cui il suo corpo si piega sul bambino, la mia voce squarcia la notte.

«ORA!»

Rick scatta in un lampo, la piccola mano si stringe attorno al crocifisso e lo spinge sotto la gola dell’uomo.
Il legno affilato squarcia la carne e il sangue esplode.
Un fiotto caldo, denso, sporca il viso di Rick, imbratta il marmo, bagna le pietre sotto di lui mentre le sue pupille si dilatano.

Prima che il corpo privo di vita possa schiantarsi su di lui, lo afferro.
Lo sollevo con una sola mano, lo strappo dall’altare e lo porto via, lontano dal cadavere.

I sacerdoti gridano e invocano Cristo, ma non è lui che dovrebbero pregare.
Dovrebbero pregare me.

Perché solo io posso decidere chi vive e chi muore, stanotte.
La croce al mio collo scivola tra le dita e il metallo di una lama, nascosta nel legno, splende sotto la luna.
Con un solo movimento squarcio due gole e il sangue spruzza nell’aria.
Ma io ne voglio di più.

La furia che mi investe è un fiume in piena. Per troppo tempo ho aspettato, ho represso, ho trattenuto, e ora il veleno si riversa fuori, ogni colpo è un battito di odio, ogni goccia che cade è una preghiera spezzata.
Rick si stringe alla mia coscia, gli passo una mano tra i capelli sporchi di sangue.

«Guarda.» Voglio che ricordi ogni singolo momento, deve sapere cosa si prova a vendicare il proprio sangue.
Lo lascio in custodia ai quattro ragazzi che mi stanno aiutando in questa carneficina.

Ragazzi spezzati quanto me dalle preghiere di questi uomini malati.
L’ombra di Vadim si avvicina. «Smettila, Sascia, questo non sei tu. È il demonio che si è impossessato del tuo corpo, te ne libereremo, figliolo.»
Con uno scatto violento lo afferro per il colletto e lo scaravento lontano.
Vadim ruzzola sul terreno arido atterrando con un tonfo pesante.

Mi osserva sgozzare i suoi servi, uno per uno, con gli occhi vitrei, come se vedesse il demonio sulla terra.
Gli unici a restare in vita sono lui e il sacerdote che dà inizio ai rituali.
Ma qualcuno è riuscito a fuggire.
Il cremisi mi dipinge la pelle, macchia gli abiti eleganti distrutti dalla violenza che si è impossessata del mio corpo.
Tendo il braccio e le mie dita slittano sulla gola del sacerdote stringendosi intorno al collo.
Spalanca gli occhi, mi fissa con le pupille rosse  e dilatate. Il tremore su tutto il suo corpo mi eccita, ma preferirei vederlo reagire per potergli infliggere ancora più dolore.

«Osserva questo, zio» poso lo sguardo duro sul fratello di mia madre  «osserva la tua creatura e ricordati cosa succede quando qualcuno tocca un membro della mia famiglia» la mia voce è odio allo stato puro. Il rancore passa attraverso i tessuti dello stomaco fino a riversarsi nella gola.

«Sei mio nipote, Sascia. Sono io un membro della tua famiglia» la sua supplica mi fa venire un conato di vomito.

Si rimette in piedi e mi viene incontro.
Allunga una mano incoraggiandomi a prenderla, indietreggio con il sacerdote ancorato alle mie dita che lo stringono sempre di più, fino a fargli gonfiare le vene del collo.

«No» rido «tu non sei mai stato parte della mia famiglia. Rick lo è, i miei fratelli lo sono, perfino la tua perpetua Marisol fa parte della mia famiglia» continuo a ridergli in faccia, le mie unghie penetrano la carne dell’ostaggio che borbotta preghiere.

Sta iniziando a darmi fastidio «e tu smettila di pregare il tuo fottuto Dio. Non ti salverà» con la mano libera gli alzo la tonaca e gli pianto il crocifisso in mezzo alle palle tirando in alto, fino a strappargli l’uccello.

«Tu sei il figlio del demonio!» La voce di don Vadim mi graffia le orecchie.

«Oh, zio, ti sbagli di grosso. Io non sono il figlio del demonio. Io sono lui» premo i polpastrelli sulla gola del prete.

Ma quando apre le labbra cercando di prendere ossigeno, gli infilo il cazzo strappato in bocca e gli do il colpo di grazia.

Pianto il crocefisso con la lama di metallo affilata nel suo cuore.

Lascio la presa, il corpo del prete cade tra l’erba e la terra umida, creando una magnifica pozza di sangue. Chiudo le palpebre, respiro il profumo del cremisi che mi annebbia la vista. Mi passo la mano insanguinata sulle labbra e assaggio il sangue della vittima.
Un gesto istintivo, un impulso incontrollabile.

A passo lento raggiungo lo zio. Il cuore mi martella contro le costole, l’adrenalina schizza alle stelle.
Mi avvicino a un soffio dal suo viso.
Gli strofino sulla guancia il crocefisso insanguinato e incido una croce rovesciata sulla carne increspata e rossa. Le mie labbra si posano sul suo orecchio: «e faceva sì che a tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e servi, fosse posto un marchio sulla mano destra o sulla fronte.» Un’altra incisione identica alla prima sulla mano destra «e che nessuno potesse comprare o vendere se non chi avesse il marchio, cioè il nome della bestia o il numero del suo nome» apocalisse 13:16-18.
Il verso mi rimbomba nel cervello come un tamburo.
Strofino il pollice sulla ferita fresca e ripeto lo stesso processo.

Stavolta mi concentro sulla sua fronte. Grida isterico, come un capretto che sta per essere sgozzato mentre graffio la carne «compirò su di loro una grande vendetta con castighi furiosi, e riconosceranno che io sono l’Eterno quando compirò su di loro la mia vendetta.» Concludo, Ezechiele 25:17.
Un lieve vento si alza, un brivido improvviso mi sale dietro la nuca.
Inspiro, mi godo l’aria intrisa di sangue e vendetta.

«Da oggi in poi farai in modo che io sia il tuo successore al tavolo della Bratva. Mi presenterai come tuo erede mentre andrò a vivere con mio figlio e la perpetua, lontano dal maniero» la mia voce è una sentenza.

«Sei m-minorenne, Sascia.» Non riesce a trattenere le lacrime.
Sorrido, scrocchio il collo.

«Questo è un tuo cazzo di problema. Lo risolverai tu, facendo in modo che la perpetua sarà la nostra tutrice fino ai miei diciotto anni, e Richard diventerà mio figlio a tutti gli effetti. Sarò l’avvocato migliore della California, e tu obbedirai a ogni mio cazzo di ordine. Oppure darò fuoco a tutte le chiese di questo pianeta, ti crocifiggerò a testa in giù e mi disseterò con il tuo sangue.»

Dovrei ucciderlo seduta stante e liberarmi del suo cadavere, ma per arrivare in cima, mi serve vivo.

«Verrà tuo padre tra qualche anno, non se ne starà buono.» La minaccia velata mi fa prudere le palle.

Stando alle sue parole dovrei tremare per l’arrivo di Kovalenko Senior.
Le mie labbra si muovono per l’ultimo comando. «Ti occuperai di lui, io dei miei fratelli.»

Che la vendetta abbia inizio.

Questo capitolo è stato abbastanza forte ma ne arriveranno degli altri.
Tenetevi pronti.

𝖂𝖊 𝕬𝖗𝖊 𝕮𝖍𝖆𝖔𝖘 - 𝕾𝖆𝖘𝖍𝖆 - 𝖛𝖔𝖑. 3Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora