Capitolo 28

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SASCIA

Oggi



Agire d’impulso non è mai stato nei miei piani. Mai nella mia fottuta vita ho fatto cazzate di questo genere. Ho sempre calcolato ogni mossa e studiato ogni possibilità prima di agire, perché nel mio mondo un solo errore può costarti tutto. Ma questa volta è stato diverso, la ragione è finita nel cesso, il controllo è andato a puttane e la furia mi ha ingoiato per intero, proprio come mi aveva detto Aras.

Quando ho visto Lilith in quello stato, il sangue mi si è incendiato nelle vene, il cuore mi è esploso nel petto, e quella confessione su Richard mi ha destabilizzato, così ho premuto il grilletto mancando Agata di proposito. Non le avrei mai concesso il lusso di morire per mano mia, quel privilegio spetta a mio figlio.

Quante volte mi sono chiesto se fosse davvero mio? Quante volte ho desiderato che lo fosse? Ma la verità è che non c’è mai stato alcun dubbio dentro di me. Lui è il mio sangue, lo è sempre stato. Che lo dica il DNA o no, non conta un cazzo. È la mia creatura, il mio erede, il mio dannato orgoglio. Io l’ho cresciuto, io l’ho reso l’arma perfetta che è oggi. Lo sentivo nelle ossa, lo percepivo nelle viscere ogni volta che lo guardavo. E adesso che il dubbio non esiste più, che sappiamo la verità, niente potrà più scalfirlo, tranne la sua un’unica debolezza: Giulia Colombo. Ma non è una debolezza vera, e questo lo capirà con il tempo.
Sono così orgoglioso di lui, di noi e della nostra dannata famiglia.

L’unico pensiero che mi tormenta mentre i cani di Agata mi trascinano per le scale, è Lilith. Spero solo che la moglie di Aras l’abbia portata via in tempo, che stia ricevendo le cure di cui ha bisogno. Non vedo l’ora di riabbracciarla, di sussurrarle all’orecchio la verità che aspetta da anni, ma prima, c’è un’altra battaglia da combattere.

La stanza in cui mi portano puzza di morte e ruggine. Pareti di cemento, catene che penzolano dal soffitto, sangue secco incrostato sul pavimento. Conosco bene questo scenario perché è sempre lo stesso, in ogni dannato posto in cui ho vissuto l’inferno.
Tre uomini mi sbattono contro il muro, mi legano i polsi e mi strappano la camicia di dosso. Li lascio illudere di avere il controllo, di avere il potere su di me, mentre stanno solo firmando la loro condanna a morte con i loro cazzo di frustini in mano.
Perché nessuno tocca ciò che è mio, e nessuno tocca la mia famiglia.

Agata entra nella stanza con il passo lento di chi si crede una regina. Mi osserva come si guarda un animale in gabbia e come se potesse davvero domarmi.

«Se mi tocchi, dovrò infrangere la promessa che ho fatto a mio figlio»  sibilo tra i denti.
Una prima frustata mi squarcia il petto, e il dolore arriva, feroce, pungente, ma non faccio una piega.

Agata sorride, divertita. «E quale sarebbe?»
La fisso dritto negli occhi, lasciando che veda tutto l’odio che mi brucia dentro.

«Che sarà lui a ucciderti. Ma se provi a toccarmi, dovrò farlo prima io.»
Lei inclina la testa, e mi studia. «Piantala, Sascia, sappiamo che non sei venuto qui da solo. Ci hai preso per degli idioti?»
La seconda frustata, dritta sul petto, mi fa ancora il solletico, ma stringo i denti quando sento il sangue colare lungo l’addome.
«No. Ma credo che tu abbia preso me per un idiota.»

La terza frustata inizia a bruciare davvero. La carne si apre, la pelle pulsa.
Quando Agata schiocca le dita, la porta si apre e quattro gorilla trascinano dentro Artem e Rick, legati come pezzi di carne da macello.

Porca puttana.

La rabbia mi esplode nel petto e le mani si serrano in pugni così stretti che le unghie mi si piantano nei palmi.

La stronza fa due passi verso di me, il suo alito mi sfiora l’orecchio. «Hai solo una scelta, mio uomo.»

Mio uomo.
Io non sono suo, non lo sono mai stato.

Mentre la guardo le mie labbra si piegano in un sorriso tagliente. «Sei sicura di volermene dare solo una?»
A quanto pare non apprezza la mia domanda, perché si volta contrariata e fa un cenno verso l’uomo alle mie spalle.

La quarta frustata mi fa piegare, ma non è nulla in confronto al male che ho sopportato durante tutta la vita, e Agata dovrebbe saperlo meglio di chiunque altro.

Rick scatta avanti, furioso. «Tocca di nuovo mio padre e ti ammazzo!» La voce gli esce come un ringhio con gli occhi che bruciano di odio.

Agata lo ignora e continua a provocarmi. «Gliel’hai già detto che è il tuo vero figlio?»
Rick sgrana gli occhi, le sue iridi blu brillano e si proiettano su di me mentre lo fisso .
«Rick, a quanto pare sei davvero mio figlio.»
Un sorriso gli si stampa sulle labbra. Questa è la notizia migliore di sempre per noi due, Agata pensava di spezzarlo e invece non ha fatto altro che rinforzare il nostro legame.

«Non abbiamo mai avuto bisogno di un test del DNA per saperlo, stronza.» Il suo tono è puro veleno. «Lui è mio padre, e tu sei solo feccia che sta per morire.»
Artem ridacchia, Agata non mi toglie gli occhi di dosso.
Non so come si possa essere così freddi e crudeli davanti a un figlio, ma ormai non mi stupisce più nulla dopo quello che abbiamo vissuto.

«Se vuoi che tuo figlio viva, se vuoi che tuo fratello e la sua fidanzata incinta vivano…»
Artem la interrompe, ringhiandole contro. «Nomina ancora la mia dea e ti brucerò viva.»
Ma Agata non lo ascolta e continua a fissarmi.

«Mi sposerai, Sascia.» Mi accarezza la guancia con il pollice e l’unghia affilata.
Scrollo la testa e scoppio a ridere. «Che cazzo è, uno scherzo?»

«Affatto. Era questo il piano fin dall’inizio.» Deve essere davvero pazza. «Tu, io e nostro figlio. L’Associazione è nostra. Che ti piaccia o no, sei stato scelto da Dio.»
Il mio sorriso si spegne quando pronuncia il nome del suo fottuto dio.

«Siete malati.» La mia voce è un sibilo. «Meritate l’estinzione.»

Agata inclina la testa.
«Firma i documenti per il divorzio, Sascia. Oppure i tuoi ragazzi li faremo a pezzi.»
Stringo i pugni e il respiro mi si fa corto, non le importa nulla di Richard, è solo un mezzo per fare leva su di me.
Basta, ne ho le palle piene di questa merda.
Il sangue mi scorre addosso come pioggia sporca, gocce rosse che mi colano sul petto nudo, lungo i tagli aperti dalle frustate. Il dolore c’è, lo sento come un tamburo sordo che rimbomba sotto la pelle, ma è lontano, distante, come se non mi appartenesse davvero. L’ho già provato troppe volte, l’ho già sofferto in modi peggiori, tanto che è diventata un’abitudine procurarmelo per ricordarmi di essere vivo.
Questa puttana pensa davvero di spezzarmi con quattro colpi di frusta?
Continua a fissarmi con gli occhi avidi, bramosi di vedermi crollare, ma non succederà. Non qui, non ora.
«Firma il divorzio, Sascia.» La sua voce è un veleno, lo stesso che usa per ammaliare gli uomini prima di distruggerli. «Non te lo ripeto più.»

Mi slega una mano e mi allunga una penna stilo, il mio respiro si fa più pesante mentre mi rifiuto di firmare quella merda che tiene stretta in una cartellina nell’altra mano.
Col cazzo che lo farò.
Vorrei ridere, vorrei sputarle in faccia, ma so che non è il momento e devo guadagnare tempo.
«Lo farò.» Le parole mi escono lente, controllate, come se avessi davvero intenzione di assecondarla. «Ma prima rispondi alle mie domande.»

Lei mi guarda con un sopracciglio sollevato, incerta se darmi corda o ordinare un’altra frustata. Alla fine sospira, chiude la cartellina che ha tra le mani con uno schiocco secco e accorcia la distanza tra noi.

«Cosa vuoi sapere, mio uomo?»
Il suo tono è insopportabile, la sua finta dolcezza mi irrita più del dolore che mi brucia sulla pelle.
«Cosa c’entra mia moglie con tutto questo?»
Il suo sorriso si allarga, soddisfatto. Era questa la domanda che aspettava.
Odia mia moglie, l’unica che è riuscita a entrare nel mio cuore, e non vede l’ora di sbattermi in faccia la verità.

«Sei sempre stato così bello, Sascia.»
Trascina l’unghia sul mio petto, lungo un taglio fresco, e si ferma proprio sul punto in cui la pelle pulsa di dolore. Lo fa apposta, vuole vedermi reagire e cedere, ma non le darò questa soddisfazione.

«Parla.» Il mio tono è piatto, senza emozioni. Non voglio che capisca quanto sto bruciando dentro.
«Saresti dovuto appartenere a me.» Il suo sguardo si oscura, diventa qualcosa di malato e contorto. «Il nipote legittimo di Don Vadim, e io la figlia di Don Salvatore Gambino, destinati a unire le nostre famiglie. Ma poi è arrivata la tua sfuriata il giorno della purificazione, in seguito quella troia che ti sei portato a letto, e hai mandato tutto a puttane.»

Mi si gela il sangue, lo sapevo che i Gambino c’entrassero, perché questa storia è sempre stata più grande di quello che sembrava, e le coincidenze non esistono nel nostro mondo.
Questa merda è stata decisa molto prima che io nascessi, e mia sorella Alys era un'altra pedina del loro macabro gioco per unire le due famiglie.

«Ma non hai ancora risposto alla mia domanda.» Le parole mi escono fredde, pericolose, dovrei ucciderla all’istante solo per aver dato della troia a mia moglie, ma Agata fa una risata bassa, velenosa.

«Mi ero dimenticata di quella stronzetta.» Si passa il dito sulle labbra per assaporare il mio sangue.  «Romero Santana e Hugo Garcia avevano un accordo. Tuo suocero ha venduto la figlia, Sascia. L’ha venduta per il suo cazzo di orgoglio, non ha mai voluto riaverla. L’ha lasciata nelle mani dell’Associazione senza battere ciglio, perché tanto per lui non era altro che un corpo da vendere, un giocattolo da spezzare.»
Ogni parola è un chiodo piantato nella carne.
Vorrei strapparle la lingua, ficcarle le dita in gola e chiuderle la bocca per sempre.

«Perché vi siete accaniti con lei?»

«Anastasya era perfetta.» Si avvicina ancora, il suo respiro mi sfiora il viso. «Era la cavia ideale. E pensare che stava funzionando così bene, la droga le aveva già cancellato la memoria, il suo corpo era stato riprogrammato per diventare la nostra nuova miniera d’oro. Ma per fortuna siamo andati avanti anche senza di lei. I bambini dimenticheranno, e la droga ci assicurerà una buona entrata economica.»

Scatto in avanti, la catena mi blocca, ma è un attimo. Lei si sposta, ride, mi guarda come si guarda un cane rabbioso dietro le sbarre.

«Attenta a come parli di mia moglie.» La mia voce è un sibilo, il controllo è un filo sottile che potrebbe spezzarsi da un momento all’altro.
«Ora basta! Firma!» Torna a essere glaciale, letale.

Rick è ancora immobile, legato come un cane da combattimento prima di essere gettato nell’arena. Artem ha i pugni serrati dietro la schiena, le nocche bianche, lo sguardo che brucia come una fottuta fiamma viva.
La mia famiglia, la mia cazzo di vita.

«Non firmo un cazzo!»

Agata schiocca le dita.
Il gorilla al mio fianco estrae la frusta e si avvicina a Rick che stringe la mascella con gli occhi neri di rabbia pura. «Provaci e ti sventro.»

La frustata arriva come un lampo, il colpo squarcia la sua pelle giovane. Un rumore secco, la carne che si apre, il sangue che sgorga.
Rick non urla e non si muove.
Si limita a sollevare lo sguardo su Agata, e dentro quegli occhi c’è qualcosa che farebbe rabbrividire anche il diavolo.
Lei gli sorride e un altro colpo lo raggiunge.
Rick resta impassibile.
Ma io lo vedo, e sento il dolore gli sta strappando via qualcosa dall’anima, sta scavando dentro di lui come un coltello arrugginito. So che gli addestramenti nelle catacombe sono stati molto più brutali rispetto a questo, ma la situazione rende tutto insopportabile. Ha difronte a sé la donna che gli ha dato la vita e sta prendendo coscienza del fatto che sia la causa del nostro dolore, non è facile per lui. Non lo sarebbe per nessun figlio, e per quanto io gli abbia fatto sia da padre che da madre, donandogli una famiglia, dentro ha sempre sperato in un affetto materno. Proprio come lo speravo io, o Artem, o Alys.
Mi si contorce lo stomaco.
«Basta.» La mia voce è un sibilo basso, carico di una rabbia assassina.

Agata si volta verso Artem. «E tu? Vediamo quanto sei forte.»
Artem sputa a terra. «Sei già morta,
stronza.»

Le guardie lo tengono fermo. La frusta fischia nell’aria e si abbatte sulla sua pelle.
Una.
Due.
Tre volte.
I muscoli gli tremano, il respiro si fa corto, il sangue gli cola lungo la schiena come sudore mentre arriva ancora un colpo.
Il mio cuore batte all’impazzata, ogni frustata è una lama dritta nella mia carne.
Non ce la faccio, non posso stare fermo a guardare.

«Fermati.» La mia voce è più tagliente di qualsiasi coltello. «Fermati subito.»

Agata inclina la testa, soddisfatta.
«Firma, Sascia.» Poi estrae un coltello dal suo reggicalze e lo preme contro la gola di Artem che sfodera un sorriso di scherno, i denti macchiati di sangue.
Rick si dimena con gli occhi fuori dalle orbite. «Ti uccido, giuro sul diavolo che ti uccido!»
Ma prima che Agata possa dire un’altra parola, la porta si spalanca con un calcio secco.
Un rumore sordo contro il cemento e Aras entra, poi il tempo sembra fermarsi.
Il sangue mi pulsa nelle tempie, il dolore, la rabbia, la disperazione, tutto si fonde in un unico vortice nero come una tempesta che mi schiaccia il petto.
Eppure, appena incrocio il suo sguardo glaciale, so che la partita è cambiata.
Lui non è un uomo qualunque,  è la fottuta ombra che striscia tra le crepe del mondo, il fantasma che nessuno riesce mai a catturare, l’unico uomo che anche il diavolo teme di incontrare faccia a faccia.
Non porta pistole e non alza la voce, ma cammina con la calma di chi sa di avere già vinto.
Ha un coltellino svizzero tra le dita. Lo fa girare, lento, tra le mani, con lo sguardo annoiato di chi sta solo aspettando il momento giusto per dare l’ultimo colpo di grazia.
Agata si irrigidisce, e per la prima volta, le leggo il panico negli occhi.
«Fossi in te toglierei quel pugnale dalla gola del ragazzo.» La voce di Aras è profonda, priva di emozione.
Agata esita ma poi risponde a tono «E vorresti fermarmi con quel coltellino misero?» Dalla sua bocca esce una risata sguaiata.
Le guardie si muovono, pronte a reagire.
Aras alza una mano e quelle si bloccano, quasi come fosse lui a comandare.
Non ha un’arma, ma solo un tablet, lo accende e alcune immagini scorrono davanti agli occhi di tutti.
Fabbriche. Campi. Strutture. Chiese sconsacrate. Ettari di terra pieni di raccolti illegali. E poi… le foto che contano davvero.
Bambini.
Bambini abusati.
Bambini spezzati.
Ogni immagine è un’accusa. Ogni foto è una condanna a morte.
Agata sbianca.
«Queste…» La voce le trema appena. «Queste non provano nulla, sono minacce a vuoto.»
Aras sorride, lento, calmo.
«Queste sono certezze.» Poi preme un pulsante sul coltellino, le luci tremano e  in quel momento, capisco tutto. Ha appena fatto esplodere uno dei container di loro proprietà.
Agata vacilla. Il panico le brucia negli occhi, le mani le tremano, le unghie scattano sui fogli come artigli che non vogliono lasciare la presa.
Ha capito, sa di essere fottuta.
«Basta, smettila!» La sua voce si spezza, non è più quella donna di ghiaccio che ci credeva suoi prigionieri. Adesso è solo un animale braccato, un topo in trappola. «Cosa vuoi?»
Aras si umetta le labbra con calma assoluta, come se il tempo non lo riguardasse. Il coltellino svizzero gira ancora tra le dita in una danza lenta e ipnotica.
«I miei amici. Liberali. Subito.»
Agata deglutisce. I suoi occhi scivolano sulle guardie in piedi, poi su di noi, ancora sporchi di sangue e furia.
«E tu, ci lascerai in pace?» Cerca di mantenere la voce ferma, ma non ci riesce.
Aras le regala un sorriso appena accennato con un’espressione impenetrabile. «Certo.»
Mentire con quel livello di perfezione è un’arte e Agata non ha scelta. «Liberateli.»
Le guardie esitano, poi eseguono l’ordine. I ceppi si allentano, i polsi pulsano per le ferite lasciate dalle catene. Il sangue cola, il dolore esplode nelle ossa.
Ma niente di tutto questo conta, perché non appena siamo liberi, scattiamo verso i nostri carcerieri.
Rick è il primo.
Si catapulta su Agata con la furia di un animale nato per uccidere, le braccia che si stringono attorno al suo collo con la forza di un cappio d’acciaio.
«Ti avevo avvisata.» La sua voce è un ringhio, un sibilo velenoso. «Ti avevo detto di non toccare mio padre.»
Agata si dimena, le unghie graffiano la pelle di Rick, ma è solo un ultimo, patetico tentativo.
Il suono del collo che si spezza riecheggia nella stanza.
Un tonfo e il corpo di Agata cade a terra, gli occhi ancora spalancati, fissi nel vuoto.
Morti.
Sono morti tutti.
Il sangue scivola sul pavimento in rivoli scuri, il tanfo di morte si mischia all’odore del cemento umido. È finita.
Alcuni uomini entrano nella stanza con le pistole sono abbassate, ma l’aria che si portano dietro è carica di tensione e minacce silenziose  e i nostri corpi si tendono.
«Sono dei nostri.» La voce di Aras è un comando, un sigillo che chiude la battaglia.
Le mie spalle si rilassano di qualche millimetro, ma la guerra dentro di me non è finita.
No, non finché quel figlio di puttana respira ancora.
«Dov’è Romero Santana?» sputo fuori il suo nome come un veleno, come un morso carico di odio.
Aras si pulisce le dita con il fazzoletto bianco, con la noncuranza di chi ha appena finito un pranzo di lusso.
«Lo stanno portando alle catacombe, insieme agli uomini dell’Associazione, perlomeno quelli che siamo riusciti a catturare.»
Le catacombe, dove il vero inferno sta per cominciare.
Allungo una mano verso Aras, ci guardiamo.
Niente sorrisi, niente parole superflue. Solo uno sguardo e una stretta di mano.
«Sarà un vero piacere fare squadra con te.» Il rispetto è un patto non detto. «Ti devo la vita. La mia e quella della mia famiglia.»
Aras annuisce. «Mi basta che restiate al mio fianco in questa battaglia.» Il suo sguardo si oscura, le sue parole sono promesse avvelenate. «Ma vi avviso, non sarà facile. La merda che vi ha travolto è ovunque e io ho intenzione di estirparla finché avrò fiato in corpo.»
Rick si avvicina, ancora con il respiro pesante. Artem mi dà una pacca sulla spalla, ma io ho occhi solo per lui.
Mio figlio.
Lo afferro per la maglia strappata, lo trascino a me, il mio sangue che pulsa insieme al suo.
«L’ho sempre saputo.» La mia voce è roca, spezzata. «Dal profondo. Dal primo giorno. Sei mio figlio.»
Rick mi fissa, le pupille scure come la notte. «Papà… tu non mi odi perché sono suo…»
«Non pensarlo nemmeno, cazzo.» Lo prendo per il viso, stringo le sue guance tra le mani, costringendolo a guardarmi dritto negli occhi. «Ti amo più della mia stessa vita, Richard Kovalenko. E darei fuoco a questo mondo per te, proprio come per il resto della nostra famiglia.»
Lui deglutisce, il suo labbro trema appena.
«Non hai esitato a uccidere quel diavolo per me. E sappi che avrei fatto lo stesso.»
Rick si morde l’interno della guancia, annuisce. «L’avevo avvisata di non toccarti.»
«Lo so.»
Lo stringo ancora e i nostri cuori battono all’unisono. Richard ha sempre saputo dell’abuso che ho subito da parte di quella donna, non ho mai voluto nascondergli nulla. Era perfettamente in grado di gestire la cosa, aveva visto abbastanza per capire come andavano le cose nella scuola cattolica.
Artem ci guarda con un sorrisetto storto. «Sei sempre stato un Kovalenko, stronzetto.» Dà una pacca sulla spalla di Rick, poi ci trascina entrambi in un abbraccio feroce, il calore dei nostri corpi che cerca di scacciare via il gelo della battaglia appena conclusa.
Alle nostre spalle, Aras sbuffa.
«Se avete finito, ho una moglie che mi aspetta nel bel mezzo di un bosco, insieme alla donna che ha salvato.» Si sistema il bavero della giacca, gli occhi annoiati ma attenti.
Mi scappa da ridere. È incredibile quanto sia simile a me.

E ha ragione, non posso perdere altro tempo, mia moglie mi aspetta e non vedo l’ora di stringerla tra le mie braccia.
E di dirle che l’inferno che ci ha tormentati per anni, è appena bruciato fino alle fondamenta.

Beh, questa sì che è stata una sorpresa.

Ve lo aspettavate di Rick??

𝖂𝖊 𝕬𝖗𝖊 𝕮𝖍𝖆𝖔𝖘 - 𝕾𝖆𝖘𝖍𝖆 - 𝖛𝖔𝖑. 3Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora