Capitolo 27

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ANASTASYA

Oggi


Sono finita di nuovo all’inferno.
Non c’è altra spiegazione per il dolore che mi squarcia lo stomaco, fitte dilanianti che sembrano artigli affondati nella carne. Il mio corpo è un campo di battaglia, ogni respiro è un colpo che mi fracassa i polmoni.
Cazzo.
Ero quasi riuscita a scappare, avevo sfiorato la libertà con la punta delle dita prima che due uomini mi raggiungessero e mi scaraventassero a terra. Mi hanno bloccata con la forza di due bestie, le ginocchia piantate nella mia schiena, la faccia schiacciata contro il pavimento gelido e sudicio.
La testa mi pulsa, un dolore sordo che rimbomba nel cranio. Sento qualcosa di freddo scorrermi lungo la guancia. Alzo una mano, la porto al viso e le mi dita tremano mentre sfiorano il liquido denso e appiccicoso.
Sangue.
Ma il problema è quella sensazione familiare e subdola, che mi striscia nelle vene come un veleno.
Mi hanno drogata di nuovo, e la mia mente annega nel panico mentre il terrore mi attanaglia il petto.
No, non posso permettere che accada di nuovo. Non posso perdere tutto un’altra volta.
Sascia sta arrivando, me lo ripeto come un mantra, e cerco di afferrarmi a questa certezza con le unghie, ma c’è un’altra voce nella mia testa che sussurra qualcosa di più oscuro.
E se lo torturassero fino a spezzarlo?
Lui è forte, lo è sempre stato, ma so cosa significa essere spezzati.

Sono sdraiata su una brandina lurida, il materasso è logoro, impregnato di umidità e paura. Stavolta non ci sono catene, non ce n’è bisogno. Sono già prigioniera del mio stesso corpo che è diventato la mia gabbia.
Cerco di muovermi, ma il mio equilibrio è andato a puttane. La stanza oscilla e una nausea viscida mi sale in gola.
Non voglio dimenticare la parte del passato che ho recuperato. Anche se brevi, quei frammenti mi danno la speranza che un giorno io possa ritrovare la mia sorellina.
Mi aggrappo al muro, cerco di alzarmi, ma le gambe non reggono, così cado a terra, le ginocchia sbattono sul cemento e il dolore mi trafigge come coltelli roventi.
Mi rannicchio, tiro le gambe al petto con il cuore che batte impazzito e la voglia di strapparmi le vene per tirare fuori quel lurido veleno.
La porta si apre con un cigolio sinistro.
Non ho la forza di sollevare la testa, ma il mio corpo si tende, anche non riesce a reagire e in quel momento, quando le forze mi stanno abbandonando del tutto, sento una voce.
«Lilith.»
Il mio cuore si ferma smette di battere, forse sto delirando. Stringo le palpebre e cerco di allontanare quei pensieri carichi di nostalgia.
«Piccola, che cazzo ti hanno fatto?»
E poi due braccia forti mi avvolgono, e il mio corpo lo riconosce prima ancora della mia mente. Il suo calore, il suo odore, e mi aggrappo a Sascia con la disperazione di chi è stata sull’orlo del baratro troppo a lungo.
«Sei davvero tu?» la mia voce è un sussurro spezzato.
Le sue mani mi accarezzano, il suo respiro è irregolare mentre mi scruta, alla ricerca di ferite.
«Sono qui, te lo avevo promesso.»
«È tardi, Sascia. Mi hanno dato di nuovo quella merda e stavolta non ce la faccio. Non riesco a superarla.»
Le lacrime mi bruciano gli occhi, il viso si bagna di disperazione. Sento il suo corpo irrigidirsi, la sua furia scorrergli sotto la pelle come un incendio pronto a esplodere.
«Cazzo, non parlare così.» Digrigna i denti, mi bacia la guancia, come se potesse assorbire il mio dolore. «Ci sono io, è finita.»
Scuoto la testa.
«Niente è finito.» Il respiro mi si spezza. «Loro ti stanno aspettando, è stata Marisol, Sascia. Mi ha tradita. Mi ha drogata, e poi…» la voce mi si strozza in gola. «C’è mio padre. E quella donna, Sascia. Chi cazzo è?»
Lui si irrigidisce. Sento i suoi muscoli tendersi come corde pronte a spezzarsi.
«Piccola, ti racconterò tutto. Ma ora dobbiamo andarcene.»
Ma nel frattempo arriva un’altra voce, fredda e stridula.
«Questo non posso permetterlo.»
Alzo la testa di scatto.
Sascia si volta, il suo corpo si tende come una bestia in gabbia, mentre il suo respiro si trasforma in un ringhio. «Tu, lurida puttana.» La sua voce è un tuono, un fottuto terremoto che fa tremare le pareti. «Sei una donna morta.» Estrae la pistola, la punta contro di lei. «Ti ucciderò solo per aver osato guardare mia moglie.»
Ma quella stronza sorride e non sembra per nulla preoccupata.
«Oh, vacci piano con le parole, amore mio.» Ridacchia. «Sai bene che tu appartieni a me.»
Alle sue spalle, due uomini emergono dall’ombra.
Sascia mi fa da scudo con il corpo ancora inginocchiato accanto al mio.
«Di che cazzo parli?» ringhia, il dito fermo sul grilletto della pistola pronto a premerlo.
Lei si lecca le labbra con un sorriso sprezzante.
«Rick cambierà idea quando saremo a capo dell’Associazione. Tutti e tre, come una vera famiglia.»
Famiglia.
Quella parola detta da lei mi fa venire voglia di vomitare.
Sascia si irrigidisce trattenendomi dietro di lui.

«Rick è già la MIA famiglia. E non serve avere lo stesso sangue per esserlo, Agata. Tu morirai, e sarà per mano sua.»
La donna inclina la testa, divertita. Poi, con un sorriso velenoso, pronuncia le parole che ci strappano via l’ossigeno dall’aria.

«Rick possiede anche il tuo stesso sangue.»
Un silenzio assordante rimbalza tra le pareti della stanza e il mondo smette di esistere.
Sascia trema.
«Calmati, per favore» Gli stringo il braccio, in questo momento sono arrabbiata con lui per non avermi mai parlato del suo passato che lo perseguita, ma sono anche preoccupata perché so cosa succede quando sta in questo stato.
Lui scuote la testa.
«Non può essere, Lilith.» Il suo respiro si fa affannoso, il viso sbianca. «Avevo dodici anni quando questa donna mi ha legato e… e…»
Mi si spezza il cuore.
No. Dio, no, non voglio saperlo.
Sascia ha subito un abuso, proprio come tutti noi in quella cazzo di scuola.
«Me lo ricordo ancora quanto eri duro per me.» Gracchia la donna, ma subito dopo il suono di uno sparo squarcia l’aria.
Sascia ha premuto il grilletto, la sua mano trema e il colpo ha mancato Agata per pochi centimetri.
Tre uomini gli saltano addosso in un baleno strappandolo via da me.
«Sascia!»
Lui si dimena, ma è come se fosse prigioniero del suo stesso inferno.
«Verrò con voi, ma lasciate andare mia moglie.» La sua voce è spezzata.
Agata ride.
«Lei ora appartiene a suo padre.» Quelle parole tuonano come una sentenza.
«Lei appartiene a me! Lilith, amore mio, sistemerò tutto! Aspettami!» Grida, la sua voce è rabbia pura mentre lo trascinano via.
«Ti aspetterò sempre!» Urlo.
Ma Sascia è già sparito nell’ombra e io mi frantumo in mille pezzi.

Sto impazzendo.
Non c’è altra spiegazione per il vortice che mi travolge, per il caos che mi ribolle nel petto, per il buio che mi scivola dentro gli occhi, prendendo il sopravvento.

Dove cazzo sono Rick e il resto della famiglia? Perché nessuno è ancora arrivato?
Mi raggomitolo contro il muro, le mani nei capelli, le unghie affondate nel cuoio capelluto. Devo tenermi attaccata alla realtà, devo resistere.
Ma questa merda che mi hanno iniettato mi sta strappando via i pensieri, sfilacciandoli come un tessuto logoro. Il mio stomaco si contorce, la nausea sale come un’onda di veleno, la testa mi martella tanto forte che sento il cranio spaccarsi.
Il mondo oscilla, le pareti si restringono. Cazzo, non posso perdere il controllo. Non adesso.
L’eco dei miei stessi pensieri è un rumore assordante che mi perfora le tempie. Vorrei sbattere la testa contro il muro, farmi male, sentire qualcosa di reale per contrastare il caos che mi sta inghiottendo.
Stringo i denti, mi mordo l’interno della guancia fino a sentire il sapore del sangue. Non devo perdermi di nuovo.
Poi la porta cigola e io resto immobile, non so nemmeno quanto tempo sia passato da quando hanno portato via Sascia, lasciandomi da sola in questo inferno.
Il cuore mi si blocca nel petto, quando mi rendo conto che quel suono non fa parte della mia immaginazione.
Sento passi avanzare verso di me, lenti, attenti, e poi odo la voce sottile di una donna sconosciuta.
«Ana? Sei tu?»
Segue un’imprecazione, poi il rumore sordo di scarponi che si fermano proprio davanti a me.
Alzo la testa con un movimento lento, il mio corpo troppo debole per reagire in fretta.
Davanti a me c’è una ragazza dai capelli color miele e occhi di ghiaccio. La sua espressione si deforma in un misto di preoccupazione e urgenza.
Mi prende tra le braccia e mi stringe con forza, il suo calore penetra attraverso i miei vestiti.
«Porca puttana, sei bollente» borbotta. Poi infila una mano in tasca e tira fuori delle pillole. «Devi prendere queste.»
Le sue dita si allungano verso la mia bocca, ma io mi scosto con uno scatto brusco, barcollando.
«No.» La mia voce è roca, tremante. «Non mi fido.»
«Ana, ascoltami. Sono qui per aiutarti.» Il suo tono è basso, rassicurante, ma la mia mente è troppo annebbiata per crederle. «Mi ha mandato tuo marito, ma dobbiamo fare in fretta. Queste pillole ti aiuteranno a smaltire la merda che ti hanno dato.»
Scuoto la testa, il sudore mi cola lungo la tempia, la vista mi si annebbia.
«Come faccio a sapere che non vuoi drogarmi di nuovo?»
Lei mi osserva per un lungo istante, poi le sue labbra si incurvano in un sorriso appena accennato.
«Piccolo demone della tempesta.»
Mi si ferma il cuore al suono di quel nome.
Solo Sascia mi chiama così, e a parte noi due e Rick, nessuno lo sa.

Annuisco debolmente e prendo le pillole dalla sua mano, facendole scivolare in bocca senza pensarci troppo. Lei mi porge una bottiglia, mi aiuta a bere, e l’acqua fredda è un sollievo che mi attraversa il petto, riportandomi indietro, alla realtà.
«Mi chiamo Sena» mormora, mentre mi sostiene per farmi alzare in piedi.
Le mie gambe sono ancora molli, ma almeno riesco a reggermi.
Mi appoggio a lei mentre mi trascina fuori dalla stanza, lungo un corridoio oscuro e angusto. I muri sembrano stringersi attorno a noi, l’aria è densa, carica dell’odore metallico del sangue e della muffa.
Camminiamo a passo rapido, i miei piedi scalzi che sfiorano il cemento gelido, e non so quanto tempo passi.
Minuti? Ore?
L’unica cosa che conta è che, quando finalmente oltrepassiamo l’ultima porta, la luce della luna mi esplode negli occhi, e finalmente respiro.
Per la prima volta da quando mi hanno drogata, respiro davvero.
L’aria fredda mi riempie i polmoni, il vento mi sfiora il viso, e il cielo sopra di noi è nero e infinito.
Avanziamo attraverso un bosco fitto, e con ogni passo che faccio il mio corpo sembra recuperare un po’ di forza.
Poi Sena rallenta, e io sento un altro paio di braccia stringermi.
Rick.
Mi butto contro di lui, il mio corpo tremante, i miei singhiozzi che mi scuotono il petto.
«Piccola, calmati. È tutto finito.»
Stringo i pugni contro la sua giacca.
«Non è finito niente.» Alzo il viso verso di lui, il mio sguardo pieno di disperazione. «Tuo padre è ancora lì dentro, c’è una donna con lui che sostiene di essere tua madre, e gli farà del male.» Ma non gli dico che Sascia è il suo vero padre, non sarò io a dagli quella notizia.
Lui mi accarezza i capelli, la sua voce bassa, rassicurante.
«Shh, lo so, tranquilla, ma non è da solo, Ana. Ci siamo noi con lui.»
Seguo il suo sguardo.
Di fianco a noi c’è un uomo vestito da motociclista, con una giacca di pelle e i capelli castani legati dietro la testa.

«Lui è il marito di Alys» dice Rick.
Alys è sposata, mi si stringe il petto.
Ho passato anni a rimandare l’incontro con lei, non ho voluto sapere nulla dopo che Rick mi aveva raccontato della sua sofferenza. Sono stata così egoista, invece queste persone sono tutte qui per me, e adesso mi sembra di aver sprecato troppo tempo.
Poi un’altra figura emerge dall’ombra, è un ragazzo dai capelli color della luna, gli stessi di Alys.
Inspiro bruscamente, l’ho già visto.
Lui mi osserva per un istante, poi stringe la mia mano tra le sue, e sento le sue dita tremare.
«Io sono Artem, il gemello di Alys.» La sua voce è roca. «Il fratello di Sascia e…» si blocca come se qualcosa gli impedisse di continuare a parlare. Un altro pezzo della loro famiglia.
Rick lo guarda scuotendo la testa, come se volesse impedirgli di finire quella frase. «Dobbiamo andare.»
Il nodo che ho in gola diventa più stretto mentre Rick mi stringe ancora un attimo, poi mi lascia.
«Resta con loro» dice con voce sicura. «Tra poco l’antidoto farà effetto. Ti sentirai meglio.»
Gli occhi di Richard sono identici a quelli di Sascia. Il suo stesso colore, la stessa intensità, come abbiamo fatto a non capirlo?
«Mi dispiace per quella donna» sussurro, forse ho parlato troppo, magari non sapeva nulla, ma da come non mi ha corretto poco fa ho capito che almeno di quella parte ne era a conoscenza.
Scuote la testa con un sorriso storto. «Appena torniamo a casa, farò firmare a mio padre delle carte per farti diventare mia madre a tutti gli effetti.»
Gli lancio un’occhiataccia.
«Idiota, abbiamo due anni di differenza.»
Lui ride piano, ma poi il suo sguardo si fa serio.
«Quella donna non è niente per me. Non lo sarà mai. Invece tu sei una madre per me più di quanto immagini.»
Una lacrima mi bagna il viso, le sue parole mi colpiscono nel centro del petto.
«Riportamelo, per favore.» Poi gli do un bacio sulla guancia e scivolo via dalle sue braccia mentre osservo lui e il ragazzo biondo addentrarsi nel fitto bosco.
Il mio corpo ancora troppo debole per sostenersi da solo barcolla, e Sena mi riprende al volo, stringendomi con fermezza.
Il calore del suo abbraccio mi tiene ancorata alla realtà mentre il mio respiro resta incerto, spezzato dall’ansia che mi stringe il petto come un cappio.

Sascia è ancora lì dentro.
Non riesco a smettere di ripeterlo nella mia testa, come se il pensiero potesse incidersi nella carne e farmi sentire ancora più impotente.
Sena avvicina le labbra al mio orecchio e sussurra con dolcezza: «Piano, piccolo demone. Ancora devono fare effetto i medicinali.» Ci sediamo in terra.
Vorrei risponderle che non ho tempo di aspettare, che non posso permettermi di stare qui ferma mentre Sascia è là dentro, in balia di quella puttana e di mio padre, ma il mio corpo non mi ascolta.
Le gambe mi tremano, il cuore mi martella nelle costole, il sudore mi incolla i capelli alla fronte.
Una voce maschile si aggiunge alla nostra conversazione, calma ma carica di sottintesi.
«Alys non vede l’ora di abbracciarti, Ana.»
Alzo lo sguardo verso l’uomo che ha parlato: il marito di Alys.
Mi studia per un istante, poi si accovaccia a terra e inizia a battere le dita sulla tastiera di un laptop, i suoi occhi che brillano alla luce fredda dello schermo.
«Cerca di riprenderti alla svelta» aggiunge con un sorriso accennato. «Anche perché non è l’unica che ti sta aspettando.»
Qualcosa nel suo tono mi fa rabbrividire.
Chi altro? Chi diavolo sta aspettando me?
Mi mordo l’interno della guancia, troppo debole per pensarci adesso.
C’è solo una domanda che mi preme sulle labbra, una che mi sta consumando dall’interno, e che non posso più trattenere.

«Ce la farà?» borbotto, la voce ridotta a un soffio, non so nemmeno se voglio sentire la risposta.
Sena mi stringe ancora un po’, come se sapesse esattamente cosa sto provando.
«Oh, senza alcun dubbio, Ana» risponde con sicurezza. «C’è anche mio marito con lui, e ti giuro che non uscirà di lì senza avertelo riportato.»
Le sue parole dovrebbero rassicurarmi, e darmi sollievo, ma non ci riescono.
Perché dentro di me qualcosa urla e si contorce in un nodo di paura e rabbia, qualcosa che non si calmerà finché non avrò Sascia tra le mie braccia, finché non potrò sentire il battito del suo cuore sotto le mie dita, finché non potrò guardarlo negli occhi e sapere che è vivo.
Vorrei tanto credere a Sena e allontanare questa morsa che mi brucia lo stomaco.
Ma l’unica cosa che posso fare e che mi resta, è aspettare.

Sascia, ti prego. Torna da me.

𝖂𝖊 𝕬𝖗𝖊 𝕮𝖍𝖆𝖔𝖘 - 𝕾𝖆𝖘𝖍𝖆 - 𝖛𝖔𝖑. 3Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora