Capitolo 14

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SASCIA

29 anni


Da quanto tempo sono diventato così dipendente da una donna?
Da quando l’ho vista per la prima cazzo di volta.

Ecco da quando.

Lotto con domande che ronzano fastidiose nella mia testa, domande a cui non so dare una risposta sensata mentre osservo le mie dita, quelle stesse dita che fino a qualche minuto fa erano immerse nella sua dolce fica. Posso ancora sentire il calore della sua pelle, il modo in cui si contraeva sotto il mio tocco, la sua umidità che mi gridava addosso che mi voleva. Il suo respiro spezzato, il suo corpo che si piegava contro di me, il gemito soffocato quando ho sfiorato il suo punto più sensibile.

E il suo dannato profumo.

Quella fragranza che mi intossica, che si incolla alla mia pelle come una maledizione, che non mi permette di pensare ad altro.
Sono stato fin troppo paziente, sono rimasto a distanza, ho cercato di darle il tempo di ricordare, di capirmi, ma è stato tutto inutile. Forse Rick ha ragione, forse dovrei dirle la verità e guardare il fuoco della rabbia incendiarle gli occhi. Ma non ci riesco.
Non voglio che mi veda come il suo padrone, non voglio essere solo l’ombra che l’ha marchiata nel passato. Voglio essere il suo cazzo di uomo, quello che la possiede per diritto, quello che la farà impazzire di piacere fino a farle dimenticare qualsiasi altro tocco. Voglio che mi odi quando scoprirà la verità, voglio che mi gridi in faccia tutto il suo dolore, voglio vederla in fiamme, distrutta, devastata, e poi voglio ricostruirla con le mie mani, plasmarla come voglio io, farla mia nel modo più assoluto.

E il pensiero di tutto questo mi fa pulsare il cazzo dentro i pantaloni.
Scuoto la testa con un ringhio frustrato e raccolgo il libro che ha lasciato cadere. Stringo il volume tra le mani e ripenso al modo in cui i suoi occhi brillavano mentre sfogliava le pagine, come se in quelle parole potesse trovare un pezzo di sé. Le piacciono i libri, ha sempre amato leggere, e l’idea che qualcuno abbia cercato di spezzarla, di toglierle anche questo, mi manda fuori di testa.

Sto per salire le scale quando la voce di Rick mi inchioda sul posto.

«Dovrò chiamarla mamma, una volta che vi siete sposati?»

Figlio di puttana.

Mi prende per il culo, lo fa perché sa che non faccio altro che tormentarlo per il bacio dato a mia sorella.
Mi volto e gli sorrido con sarcasmo.
«Va’ a dormire, sarà una lunga settimana.»

Mi guarda senza muoversi, la sua espressione è ombrosa, stanca. I suoi occhi parlano per lui.
Lo conosco troppo bene, così bene da sentire il peso di ciò che prova, il dolore che gli stringe il petto, la rabbia che cerca di reprimere, la frustrazione di non poter avere ciò che vuole.
E cazzo, lo capisco fin troppo bene.

«Togliti quell’espressione sconfitta dalla faccia» gli ordino, la voce bassa, tesa. «Te la riprenderai, proprio come sto facendo io.»

Rick annuisce, ma le sue labbra si serrano, i suoi pensieri si accavallano. E alla fine, apre bocca.

«Perché non vuoi che nessuno sia presente al matrimonio? Artem ed Alys ci resteranno male.»

Un’ombra di esitazione mi attraversa.
So che dovrei dare una risposta razionale, e spiegargli che è per la sicurezza di Lilith, che non voglio correre rischi, che fino a quando suo padre non verrà fuori, non possiamo permetterci di abbassare la guardia. Ma la verità è che non voglio condividerla con nessuno., almeno per il momento.

«Capiranno che lo sto facendo per lei.» Rick mi squadra, mi studia, cerca di leggere tra le righe. «Ci sono novità riguardo a quella cazzo di droga?» cambio discorso con un fastidio che mi ribolle nel petto.

Rick sospira. «Alys è brava, ma non abbastanza. C’è solo un uomo che conosco in grado di controllare il dark web e venirne a capo, ma non ci darà mai retta.»

Qualcosa nel suo tono mi fa indurire la mascella.

«Chi è?»

Rick esita, si passa una mano tra i capelli, incerto.

«Aras Di Laurentis.»

Fottuto bastardo.
So chi è. La sua fama lo precede, un fantasma che si muove tra il crimine e il terrore, un uomo che nessuno osa avvicinare senza una dannata ragione.

«Perché non dovrebbe aiutarci?»

Rick mi guarda negli occhi. «Vuole delle garanzie.»

«Che tipo di garanzie?»

La sua bocca si torce in una smorfia.

«Vogliono che qualcuno garantisca per noi. Si tratta di un hacker, e pretendono solo lui.»

Un nodo mi si stringe allo stomaco.
«Chi?»

Rick trattiene il fiato, poi lascia andare il nome che odio più di ogni altro.

«Elyas Garcia.»

Un lampo di furia mi attraversa, le mani si chiudono a pugno, il respiro diventa pesante.
Quel figlio di puttana.

«Non chiederò un cazzo a quello stronzo.» La mia voce è un ringhio mentre sbatto un pugno sul muro.
Rick non si scompone. «Papà, dovresti almeno provare a capire come sono andate le cose.» Mi fissa dritto negli occhi, senza paura. «Elyas sta perseguitando e uccidendo i mostri di Alys. Nemmeno noi siamo mai riusciti a scoprire tutti i loro volti, mentre lui ci riesce e li fa fuori uno a uno. Se non l’amasse sul serio, non lo farebbe.»
Serrando la mascella, scrollo la testa.

«Non può saperlo.»

Rick incrocia le braccia. «Non so come sia successo, ma lui è a conoscenza di quel segreto. Si sta vendicando. È tutto così chiaro, non lo vedi?»

Lo vedo, ma non voglio accettarlo.
Perché se è vero, se Elyas sta davvero facendo tutto questo per Alys, significa che ho sbagliato.

«Alys si stava togliendo la vita per quell’idiota.»
«Sì, è vero. Ma quella storia del tradimento e della fuga non mi ha mai convinto.»
Non convince nemmeno me.

«Tienilo d’occhio» sibilo tra i denti.
Poi mi volto e mi avvio verso la mia stanza, con la rabbia che mi divora vivo.




Passato
12 anni


Due mani fredde mi circondano le braccia mentre labbra rosso fuoco prendono possesso della mia bocca.
Odio i suoi baci e le sue sporche dita.
«Ti piace se mi muovo così, ragazzo? Il Signore mi ha mandato da te come dono, non sei felice?»
«No, lasciami in pace. Mi fai schifo!»
«Il tuo cazzo duro che mi sta scopando, dice il contrario.»
I suoi versi mi graffiano le orecchie.
Vorrei che il mio uccello la smettesse di essere così duro per questa donna che si prende ciò che vuole da me, ogni volta.
Mi sta togliendo la voglia di vivere.
Non riesco a muovermi, le catene sono troppo strette, i polsi mi fanno male.
Si china di nuovo su di me per divorarmi le labbra e la voglia di strappargliele dalla faccia prende il sopravvento.
Dovrei stare calmo, ma ho esaurito la pazienza.
Conto fino a cinque e poi decido, forse non sarà abbastanza e magari tornerà ancora a torturarmi, ma in questo momento ho solo bisogno di scacciarla lontano.
I miei denti mordono la carne con ferocia fino a sentirla stracciarsi.
Assaporo il sangue che cola sulla mia faccia.
È una sensazione bellissima.
«Maledetto, che cosa mi hai fatto?» Gli strilli della donna echeggiano nella caverna insieme alla mia risata isterica.
«Vaffanculo, puttana» sbraito passandomi la lingua sulle labbra e sputo in terra, rovesciando la testa di lato.
Le catene non mi permettono di alzarmi, altrimenti l’avrei sgozzata, le sarebbe passata la voglia di fottermi senza pietà.
Dei passi pesanti si avvicinano, la donna continua a imprecare.
Tenta di tamponare la ferita sulla bocca ma il sangue non si ferma, non posso fare a meno di sorridere di fronte alla scena.
Mi scatena un eccitazione incredibile.
Il macabro spettacolo mi fa gonfiare il cazzo.
Don Vadim entra infuriato come un toro, con molta probabilità ci stava spiando.
«Non sei più il prediletto, figliolo. Dobbiamo estirpare il demonio che si è impossessato di te.»
«Vaffanculo pure tu, zio» urlo, ma è del tutto inutile.
Dieci uomini incappucciati entrano nella caverna, mi slegano e mi trascinano fuori dalle catacombe facendomi sdraiare sulla pietra delle purificazioni.
Non lo avevano mai fatto.
L’unica persona che si è avvicinata al mio corpo, è la donna con le labbra strappate.
Nessun prete ha mai abusato di me, tantomeno gli uomini dell’Associazione.
Ma adesso credo di essere diventato uno dei tanti ragazzini che vengono presi in modi indecenti in questi squallidi luoghi, e non posso fare nulla per impedirlo.
«Lasciatemi stare!» Le mie grida soffocano mentre uno stronzo con il cappuccio nero mi imbavaglia. Mi dimeno e prendo a calci gli altri due idioti che mi tengono fermo.
Mi distendono con forza di pancia, con una manata sulla schiena, e mi fermano le gambe.
Un paio di mani mi spingono la testa sull’altare e la guancia preme contro la pietra ruvida.
Delle catene mi bloccano le braccia e le gambe.
L’odore di incenso mi invade le narici.
«Sta fermo, Satana, sto per buttarti fuori da questo corpo» una voce brutale alle mie spalle mi fa strisciare la paura dietro la nuca.
È inutile fare resistenza, ho perso le forze.
Una lacrima amara scivola sulla mia guancia, cerco di intrappolarla con le labbra.
Chiudo gli occhi e con la testa vado lontano, in un luogo dove nessuno può farmi nel male mentre nel presente vengo preso da cinque uomini diversi e precipito in un baratro profondo, così profondo che nemmeno la mia immaginazione ce la fa a strapparmi dalla realtà.
Me la pagherete tutti.
Uno per uno.

𝖂𝖊 𝕬𝖗𝖊 𝕮𝖍𝖆𝖔𝖘 - 𝕾𝖆𝖘𝖍𝖆 - 𝖛𝖔𝖑. 3Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora