ANASTASYA
Oggi
Il terreno umido del bosco mi stringe tra le sue braccia, la terra fredda preme contro la mia pelle, ma io non sento niente. Solo il vuoto e l’assenza di lui che mi devasta fino a togliermi il respiro.
Sena mi abbraccia, e il suo calore è l’unica cosa che mi tiene ancorata alla realtà. «Riposa, Ana. Tra poco torneranno tutti.»
Elyas, il marito di Alys, è seduto accanto a noi con le gambe incrociate e lo sguardo che non si stacca mai dal portatile mentre le sue dita picchiettano veloci sulla tastiera. La sua voce è bassa quando parla attraverso gli auricolari, un flusso continuo di ordini, strategie e numeri. Non ha mai smesso da quando siamo qui.
«Non voglio riposare, Sena.» La mia voce è spezzata, le mani stringono il tessuto dei suoi vestiti come se potessi aggrapparmi alla speranza attraverso di lei. «Voglio mio marito e non chiuderò gli occhi finché non lo riavrò con me. Anche se dovessi tornare lì dentro per riprendermelo.»
Una lacrima calda mi scivola sulla guancia.
Sena me la raccoglie con un tocco leggero, accarezzandomi il viso con una dolcezza che mi fa tremare.
«Anche io sono stata come te quando mio marito è andato in Medio Oriente, in un covo di terroristi.» Il suo tono malinconico mi colpisce dritto nel petto.
«E poi?» Sento il mio cuore accelerare mentre le sue parole sono cariche di ricordi che fanno male.
«E poi è tornato, dopo un mese. Avevo perso le speranze, pensavo che non l’avrei mai più rivisto. Ma è tornato, ed è allora che ho capito che non c’è nulla che possa separarci davvero.» Il suo sguardo si fa più intenso. «So che quello che facciamo è pericoloso, ma fidati di me, andrà tutto bene.»
La sua mano continua a scorrere tra i miei capelli in un movimento lento mentre le palpebre mi si fanno pesanti.
Vorrei resistere.
Vorrei restare sveglia, continuare a combattere, ma il sonno mi trascina giù, dentro un vortice fatto di ricordi di lui e di me insieme, in una bolla che nessuno ha mai potuto spezzare.
Finché la voce di Elyas squarcia il buio e mi sveglio di scatto.
«Stanno arrivando.»
Il cuore mi esplode nel petto mentre mi giro a guardarlo.
«C’è anche Sascia?»
Elyas mi sorride e annuisce.
Mi volto verso gli alberi con gli occhi che cercano tra le ombre, mentre le luci fioche filtrano tra le querce.
E poi vedo la sua sagoma, e la sua corsa verso di me.
«Lilith.» La sua voce è un ringhio profondo, un urlo spezzato dalla disperazione.
Mi slancio verso di lui, le gambe che si stringono intorno alla sua vita, le braccia che lo avvolgono come se potessi fondermi nel suo corpo.
Lui mi stringe con tutta la forza che ha, mi stritola, il suo respiro mi investe e le sue mani mi scavano nella carne come se volesse essere certo che io sia davvero lì.
«Pensavo di averti perso.» Il mio singhiozzo gli esplode contro il suo collo, le labbra che si muovono sulla pelle. «Non lasciarmi più.» Un singhiozzo, poi un altro.
«Mai, piccola.» Il suo respiro è rovente contro le mie labbra. «Questo non accadrà mai. Te l’ho già detto una volta, verrò a cercarti in ogni vita.»
Poi mi bacia come un uomo che è appena tornato dall’inferno, come se avesse bisogno del mio sapore per ricordarsi che è vivo.
Il suo bacio è violento e disperato. Le sue labbra si schiacciano sulle mie con una forza che mi toglie il fiato, la sua lingua si insinua con una prepotenza che mi fa tremare le ginocchia. Le sue mani mi stringono il volto, i pollici che accarezzano i miei zigomi, come se volesse imprimere nella pelle ogni centimetro di me.
Il mio corpo brucia di desiderio quando le sue dita affondano nei miei capelli e il bacio si fa più profondo.
«Dobbiamo andare, piccola.» Si ferma di colpo e mi osserva con timore. «Devi riprendere le forze, sei ferita e ti hanno iniettato di nuovo quella merda nelle vene.»
«Perché così in fretta?»
Ho voglia di stringerlo ancora per un po’ prima di perdere conoscenza, perché so che è quello che accadrà una volta raggiunta la nostra casa.
Un sorriso gli sfiora le labbra.
«Perché voglio darti il più bel regalo di sempre.»
Scuoto la testa, frustrata. «Sono giorni che me lo dici. L’unica cosa che voglio sei tu.» Le mie mani gli afferrano la camicia strappata, le dita che si stringono nel tessuto. «Voglio rotolarmi tra le lenzuola con te.»
Il suo sguardo si fa più scuro, più intenso.
«Rotolare non è la parola giusta, mio piccolo demone.» Il suo sorriso si allarga in modo pericoloso. «Non ci sarà niente di delicato in tutto quello che ti farò una volta arrivati in camera nostra.»
Il mio corpo reagisce prima di me, il desiderio si accende nelle viscere e si intreccia con il sollievo di averlo di nuovo accanto.
«Hai detto che dovevo riprendere le forze.»
Lui non risponde, preferisce tenermi ancora stretta, senza lasciarmi, e mi trascina via, con tutta la nostra famiglia alle spalle.
Ci muoviamo attraverso il bosco con il silenzio che ci avvolge mentre ci dirigiamo verso il Cayenne.
Sascia mi adagia sul sedile posteriore e il suo corpo resta incollato al mio, mentre Rick si mette alla guida e mi guarda dallo specchietto con un sorriso che gli illumina il volto.
Vorrei abbracciarlo così forte che nemmeno immagina, e pensare che appena ci siamo conosciuti mi stava sulle palle per via della storia con Giulia. Mentre adesso è diventato come un fratello per me, e mi duole il cuore al pensiero che possa soffrire a causa di quel mostro che dice di essere sua madre. Spero che sia morta.
«Ti avevo detto che te lo avrei riportato, mamma.» Una risata gli sfugge dalle labbra mentre ingrana la marcia.
Idiota, per il momento ignoro la battuta, ma presto me la pagherà.
Le mie mani si stringono al petto di Sascia, e trascino un dito sulle ferite aperte.
Lui si tende sotto il mio tocco.
«Non è niente.» La sua voce è un soffio. «Niente in confronto alla paura che ho provato quando ti hanno portata via.»
Il mio petto si stringe, non so cos’altro dire, perché per tutto il tempo che sono stata lontana da lui, ho avuto la stessa paura.
E adesso, l’unica cosa che conta è il battito del suo cuore contro il mio.
*
Non so quanto tempo sia passato da quando ho chiuso gli occhi. Abbastanza da sentirmi riposata, ma non ancora del tutto in forma. Il mio corpo è pesante, la mente annebbiata, le vene ancora pulsano sotto la pelle come se quella maledetta droga mi avesse scavando dentro.
La stanza è avvolta nella penombra. La luce soffusa accarezza i contorni familiari della nostra camera, le lenzuola di seta nere profumano di pulito, l’aria è calda, rassicurante.
Respiro profondamente, cercando di convincermi che non sia un sogno e che sono davvero tornata a casa.
Tutto è esattamente come l’ho lasciato, ma poi sento un fastidio alla mano.
Abbasso lo sguardo e seguo con gli occhi il filo dell’ago infilato in una vena. Una flebo pende accanto al letto, goccia dopo goccia continua a infondere il liquido nel mio corpo.
«Te la tolgo subito.»
La voce di Sascia mi arriva profonda, roca, carica di apprensione. Si alza dalla poltrona accanto al letto, chiude il libro che teneva in grembo e si avvicina a me.
Le sue mani calde si chiudono sul mio polso con una delicatezza che non gli appartiene. Sfiora la pelle intorno all’ago, lo estrae con attenzione, poi mi massaggia il dorso della mano con il pollice, come per assicurarsi che io non abbia sentito dolore.
«Come ti senti?»
Lui, che di solito è sempre impeccabile, con il completo su misura e i gemelli ai polsi, adesso indossa una maglia bianca e un paio di pantaloni di una tuta grigia. I capelli spettinati e la barba incolta.
Devo aver dormito a lungo, mentre lui deve essere rimasto qui per tutto il tempo.
«Bene.» La mia voce è ancora bassa, impastata. «Quanto ho dormito?»
Sascia mi solleva con dolcezza, mi sistema i cuscini dietro la schiena per farmi stare più comoda, ma le sue mani tremano leggermente.
«Due giorni.» Si siede accanto a me, le dita intrecciate sulle ginocchia come se avesse il timore di farmi del male. «Non mi sono mosso da qui.»
Due giorni.
Chiudo gli occhi per un istante, assorbendo il peso delle sue parole, ma in questo momento è troppo delicato con me, non voglio questa versione di Sascia adesso, e so che mi sto riprendendo ma non ce la faccio a stargli lontana in questo modo. Ho avuto troppa paura di perderlo.
«Smettila.» Lo fisso dritto negli occhi. «Ho bisogno del vero te.»
Lui stringe la mascella. «Cazzo, Lilith.» La sua voce è un ringhio affamato. «Non sai quanto ti desidero.» Sospira e si passa una mano tra i capelli, frustrato. «Ma al piano di sotto ci stanno aspettando tutti, e tu sei ancora debole.»
Mi infilo tra le sue braccia, mi avvinghio a lui con le mani che gli stringono la nuca, il respiro che si confonde col suo.
«Aspetteranno.» Il mio sussurro gli scivola sulla pelle. «Ti voglio ora. Voglio che mi fai sentire di nuovo viva.»
Gli lancio il solito sguardo che lo fa cedere ogni volta, e con un ringhio, mi afferra la nuca e mi schiaccia contro la sua bocca.
Mi bacia con la furia di chi è stato privato troppo a lungo di ciò che gli appartiene. Le sue labbra si muovono sulle mie con brutalità, la sua lingua mi invade senza chiedere permesso. È un bacio fatto di denti, labbra, voglia disperata.
«Dannazione.» Borbotta contro la mia bocca, le mani che mi stringono come se temesse che potessi sfuggirgli di nuovo. «Fai venire fuori il peggio di me.»
Sorrido tra le sue labbra.
Mi solleva in piedi con entrambe le mani, le sue dita si incastrano nei miei fianchi mentre mi sorregge senza sforzo.
«Andiamo nella nostra camera segreta.» La sua voce è un graffio basso. «Ho la sensazione che, una volta ricevuto il tuo regalo, non mi degnerai di uno sguardo per parecchio tempo.»
Un’altra volta con questa sorpresa.
La curiosità mi rode dentro, ma adesso l’unica cosa di cui ho bisogno è di lui. Della sua pelle contro la mia, del suo respiro caldo sul mio collo, del modo in cui il suo corpo si incastra perfettamente nel mio.
Abbiamo rischiato di perderci e non voglio più sprecare neanche un secondo.
Facciamo il giro del letto, Sascia preme il palmo sulla parete accanto alla testiera e la porta blindata si apre in silenzio.
La nostra stanza, il nostro rifugio.
Le pareti sono nere con schizzi dorati che brillano sotto la luce soffusa, c’è un letto rotondo al centro della stanza, sospeso nell’aria da enormi catene che scendono dal soffitto.
La vasca idromassaggio ai piedi del letto si sta riempiendo di acqua bollente, la schiuma bianca si gonfia in superficie, il vapore si diffonde nell’aria.
Saliamo la scala di vetro e affondiamo tra le lenzuola.
Sascia preme un pulsante e, dal pavimento, lunghi pali di ferro si sollevano attorno a noi formando una gabbia.
Il nostro mondo, il nostro segreto, il nostro peccato.
Lui mi spoglia lentamente, la sua bocca scende lungo il mio corpo come un marchio rovente, poi mi sfila le mutandine e si tuffa sulla mia fica.
La sua lingua mi apre, mi divora con una fame che mi fa tremare.
«Oh, cazzo, Sascia… per favore.» Le mie dita si stringono tra i suoi capelli. Lui solleva lo sguardo e suoi occhi bruciano.
«Non è Sascia che devi implorare adesso.» Il suo tono è oscuro «Qui dentro le cose funzionano in modo diverso, lo sai.»
Muove le dita dentro di me con lentezza esasperante, sfiorando il punto esatto che mi manda fuori di testa.
«Per favore, fammi venire, Padrone.»
Il suo sguardo si accende, adora quando lo chiamo così nei nostri momenti più oscuri, e il mio orgasmo arriva come un fulmine.
Ma lui non si ferma.
Beve ogni mia goccia, la sua bocca continua a tormentarmi per qualche minuto, poi risale, afferra il mio labbro inferiore tra i denti e lo tira forte.
«Dimmi a chi appartieni.»
«A te.» Mormoro con un sussurro. «Appartengo a te, mio Padrone.»
Sascia pungola la punta del suo cazzo sulla mia apertura, poi affonda dentro di me con un solo colpo.
«Sì, cazzo.» Il suo modo coì rude mi fa tremare. «Sei mia. E sempre lo sarai, Lilith.»
Mi lega i polsi alle sbarre con delle catene e il dolore mi attraversa i muscoli, mi tende la pelle mentre spinge più in profondità.
«Non volevo farti male oggi, Lilith. Volevo accudirti e coccolarti. Ma a quanto pare il piccolo demone che c’è in te è insaziabile e vuole essere distrutto in mille pezzi.» Borbotta con le labbra incollate alle mie.
«Ancora, Sascia. Fammi venire di nuovo» imploro, grido il suo nome.
Uno schiaffo pesante arriva sulla mia natica seguito da morbide carezze.
«Riprova» la sua voce è piena di ira.
«Padrone, fammi venire!»
Sapevo che chiamarlo con il suo vero nome lo avrebbe fatto incazzare, adoro vederlo così, e senza farselo ripetere tocca il punto che mi fa contorcere dal piacere, poi continua a cavalcare il mio orgasmo ed esplode dentro di me. Quando mi libera dalle catene e mi permette di stringerlo forte, il nostro respiro è ancora pesante, i corpi avvinghiati e le lenzuola sono umide del nostro piacere. Il battito del suo cuore scalpita contro il mio petto, la sua pelle calda mi avvolge come un fuoco che non smette di ardere. Mi stringo a lui, affondando il viso nell’incavo del suo collo, inspirando il suo odore come se potessi imprimermelo nell’anima.
Sascia mi accarezza la schiena con movimenti lenti, le dita che seguono la curva della mia spina dorsale.
Ma qualcosa in lui è cambiato. Lo sento nel suo respiro e nel modo in cui le sue mani tremano leggermente mentre mi tiene.
«Adesso raccontami tutto.» Voglio che si apra, voglio scavare dentro le sue ferite ed essere la sua cura come lui è stato la mia. «Tutto, marito. Non intendo cedere su questo punto.»
Lui sospira, si stacca appena e i suoi occhi si spostano su un punto lontano della stanza, come se il suo passato fosse ancora lì, in agguato, pronto a ghermirlo.
Mi prende per mano e abbassa i pilastri di ferro che ci circondano.
Mi accompagna nella vasca da bagno, l’acqua calda e la schiuma ci avvolgono, il vapore si solleva intorno a noi. Mi tiene stretta contro il suo petto con le braccia avvolte intorno alla mia vita e il mento appoggiato sulla mia spalla.
Aspetta qualche minuto prima di parlare, come se dovesse trovare il coraggio di scavare dentro l’inferno.
«Mio padre mi ha lasciato dallo zio Vadim quando avevo tre anni.» La sua voce è piatta, controllata, ma sotto la superficie si avverte un dolore così profondo da mozzare il fiato, quasi quanto il mio nel sentire pronunciare quel nome. «Mia madre era morta in un incidente. Ogni volta mi sforzo di ricordarla, anche solo un tratto del suo viso, ma niente. È come se non fosse mai esistita.»
Stringo le sue mani tra le mie, cercando di trasmettergli il mio calore, di fargli sentire che non è più solo.
«Vadim e Marisol mi hanno cresciuto nel maniero e nessuno mi ha mai toccato fino ai dodici anni. Dicevano che ero il prescelto, il prediletto.» Sputa fuori quelle parole con disgusto. «Ma allo stesso tempo mi obbligavano a guardare le purificazioni. A vedere quei bambini spezzati, umiliati, distrutti, e ogni volta mi veniva da vomitare perché quello schifo mi disgustata ogni giorno di più.»
Lo guardo da sopra la spalla mentre una lacrima gli scivola lungo la guancia.
Tento di asciugarla con le dita, ma lui scuote la testa.
«Mi addestravo nelle catacombe. Giorno e notte. Volevo diventare più forte, aspettavo il momento giusto per ribellarmi, per liberarmi e per liberarli tutti, poi al mio dodicesimo compleanno mi hanno incatenato sopra un altare sconsacrato.»
Sascia fissa l’acqua davanti a sé con le mani serrate sulle mie.
«E dopo qualche minuto è arrivata Agata. Quella puttana mi ha usato ogni cazzo di giorno per un mese intero. Si impadroniva del mio corpo e delle mie labbra senza che io avessi possibilità di scelta. Ero arrabbiato perché non comprendevo come il mio cazzo potesse rispondere al suo abuso, e per parecchio tempo mi era pure passato per la testa di tagliarmelo, pur di non sentire le sue sudici mani sopra di me. Quei baci languidi mi facevano venire il voltastomaco, è per questo motivo che non ho mai baciato nessuno, fin quando sei arrivata tu e hai posato le tue labbra sulle mie, e mi sono odiato perché ti ho desiderata come non avrei dovuto. Avevi quattordici anni, non potevo provare quelle sensazioni con te, ho creduto che la scuola cattolica mi avesse contagiato con il suo marciume.» Sascia scuote la testa come per scrollarsi di dosso quel pensiero. «Dopo un mese di abusi continui da parte di Agata sono esploso e le ho strappato un labbro con un morso. È stato liberatorio.» Un ghigno amaro gli increspa le labbra, anche se lo sento tremare. «Pensavo che non mi avrebbe più toccato nessuno ma non avevo capito che, da quel momento in poi, ero diventato un problema e non ero più il prescelto. Ero solo un bambino da purificare.»
Mi giro di scatto, mi metto a cavalcioni sopra di lui e gli prendo il viso tra le mani, costringendolo a guardarmi.
«Eri un bambino, amore mio.» La mia voce è ferma, piena di una rabbia che mi divampa nel petto. «Quello che ti hanno fatto è stato disgustoso, inumano, come quello che è stato fatto a tutti noi. Ma ce ne stiamo liberando, giusto?»
Lui annuisce, le sue mani si posano sui miei fianchi e mi stringe come se fosse aggrappato all’unica cosa che lo tiene ancora in piedi.
«Non avevo idea che Rick fosse davvero mio figlio.» Il suo tono si fa più basso, quasi un sussurro. «Avrei dovuto sospettarlo, ma lo amavo già così tanto che non importava.»
Gli accarezzo il volto, le dita che scivolano lungo la sua mascella tesa.
«Hai cresciuto Rick come un vero padre dovrebbe fare con un figlio senza preoccuparti se fosse tuo davvero, lo hai protetto, lo hai salvato e gli sei vicino in ogni momento. Lui ti ama, così come ti amo io perché sei un uomo meraviglioso, per cui non sentirti in colpa» La mia voce è un soffio contro le sue labbra. «E non farlo nemmeno per quei bambini, perché lotteremo per loro.»
Sascia chiude gli occhi per un istante, poi annuisce e mi bacia piano, come se volesse assorbire il mio calore e imprimerlo dentro di sé per cancellare il freddo che lo ha tormentato per tutta la vita.
La sua lingua trova la mia e la dolcezza si trasforma in bisogno.
I suoi baci diventano più affamati, le sue mani scivolano lungo i miei fianchi, mi stringono come se volesse fondersi con me, e ancora una volta ci perdiamo l’uno nell’altra.
Ancora una volta, il dolore si mescola al piacere.
Ancora una volta, ci ricostruiamo a vicenda.
Pronti per l'incontro tra le due sorelle?
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𝖂𝖊 𝕬𝖗𝖊 𝕮𝖍𝖆𝖔𝖘 - 𝕾𝖆𝖘𝖍𝖆 - 𝖛𝖔𝖑. 3
RomanceMolti pensano che io sia il diavolo in persona, per questo in tribunale mi faccio chiamare Michail come il demone di un famoso poema romantico della letteratura russa. Non sanno che mi faccio chiamare così perché, proprio come quel demone, penso di...
