capitolo 5

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SASCIA

29 anni

«Sei pallido, ragazzo mio.»
La voce di Marisol mi avvolge come un balsamo, calda, familiare, una carezza che mi ricorda un tempo in cui avevo qualcuno che si prendeva cura di me. Una madre che non ho mai avuto, ma che in qualche modo è sempre stata lì.
Non la vedo spesso. Non vengo quasi mai in questa casa, il posto dove ho cresciuto Rick, e non perché non voglia, ma perché qualcosa dentro di me preferisce la solitudine umida e oscura dell’appartamento alle catacombe, perché lì posso lasciare che la rabbia mi divori senza dover fingere, senza dover essere altro che il mostro che sono.
O forse perché non voglio sentirmi parte di una casa che non mi appartiene davvero.
«Sono solo stanco.» Mi chino su di lei, le premo un bacio sulla fronte e mi siedo sullo sgabello della cucina. «Dov’è Rick?»
Riempio un bicchiere d’acqua e lo bevo tutto d’un fiato. Ho la gola secca, come se qualcosa dentro di me bruciasse e non volesse spegnersi.
Marisol si appoggia al bancone, le braccia incrociate, il solito sguardo severo che non mi ha mai risparmiato nulla. È l’unica persona al mondo da cui accetto un rimprovero.
«Dovresti passare più tempo con lui.»
La sua voce non è un’accusa, ma una ferita aperta.
Lei sa tutto.
Lei c’era quando l’ho portata via da quella casa maledetta, quando ho strappato Rick da quella vita di merda, quando ho lasciato dietro di me il maniero senza mai voltarmi indietro. Lei sa cosa siamo stati costretti a sopportare.
Conosce le crepe della mia anima, la mia oscurità, le mie colpe.
Eppure è rimasta.
Non ha mai chiesto nulla, non ha mai giudicato, si è limitata a prendersi cura di noi come se fossimo suoi figli, come se meritassimo il suo affetto nonostante il sangue che ho sulle mani.
«È un uomo ormai.» Il secondo bicchiere d’acqua scivola giù per la gola, ma non lava via il sapore amaro dei pensieri.
«Ha diciassette anni, Sascia.» Il suo tono si incrina, perché sa che Rick è cresciuto troppo in fretta, che gli hanno portato via qualcosa che nessuno gli restituirà mai. «Ha sempre bisogno di te.»
Lo so.
Ed è per questo che sono qui.
Faccio finta di non averla sentita, lascio che il mio sguardo vaghi fuori dalla vetrata del salone, oltre i prati verdi, oltre le querce imponenti che circondano la casa come sentinelle silenziose.
Questo posto è pace, è sicurezza, è quel calore che non ho mai saputo abbracciare fino in fondo. È casa, eppure resta vuota.
Rick l’ha arredata con me, pezzo dopo pezzo, scegliendo mobili in legno massiccio, toni caldi, tappeti morbidi, luci soffuse. Non abbiamo mai voluto il lusso sfrenato che ci scorre nelle vene, perché sappiamo cosa significa crescere in una gabbia d’oro e preferiamo qualcosa che ci ricordi di essere vivi.
Eppure, per la maggior parte del tempo, questa casa resta in silenzio, perché né io né lui riusciamo a fermarci abbastanza a lungo da riempirla di vita.
Ma presto cambierà tutto.
Presto questa casa sarà nostra.
Presto Lilith sarà qui.
La vedo inginocchiata ai miei piedi, o camminare tra queste stanze con il suo sguardo fiero, la vedo nel mio letto, nelle mie lenzuola, tra le mie braccia, e il solo pensiero mi fa gonfiare il cazzo.
Strappo via l’immagine dalla mente e mi concentro su altro.
Sul profumo del caffè al mattino, sull’odore del bacon croccante, sulla risata sommessa di Marisol che ci sveglia con il suo modo di fare premuroso.
Lei ci ha amati più di quanto avessimo mai meritato, ma ci sono cicatrici che neanche una madre può guarire.
«Passerò più tempo con lui.» Sospirando, mi passo una mano sul viso.
«Hai un cuore meraviglioso, Sascia.» Marisol scuote la testa, il suo sorriso dolce, malinconico. Come se fosse una preghiera per qualcosa che non può cambiare. «Peccato tu abbia deciso di riservarlo solo ai tuoi affetti più cari.»
«E a chi altro dovrei darlo, se non a voi che siete la mia famiglia?»
Lei mi scruta, ed è allora che capisco che sa di Lilith.
Sa che qualcosa dentro di me sta cambiando, che una donna si è insinuata nelle mie vene come veleno, che mi sto distruggendo per lei, che il mio cuore, per la prima volta, sta pulsando per qualcosa che non sia la mia vendetta.
«Ne ho quante ne voglio, di donne, Mama.»
Uso la parola russa perché so che la scioglie, e per un momento sembra arrendersi e  lasciare cadere il discorso.
Ma poi solleva il mento e le sue parole sono un colpo dritto allo stomaco.
«No, lei è speciale e tu lo sai. Vai a prendertela prima che sia troppo tardi.»
Stringo la mascella, cerco di non lasciarle vedere che ha ragione e che ogni fottuto giorno senza di lei è una tortura.
Ma poi il rombo di due motori squarcia il silenzio.
Le Kawasaki imboccano il viale, due ombre che si muovono veloci tra i ciottoli, il rumore che riempie l’aria come un tuono.
Eccoli, i miei ragazzi.
Rick e Artem scendono dalle moto con movimenti fluidi, precisi, quasi meccanici. Ma i loro occhi sono spenti, e darei qualsiasi cosa per riportarli indietro.
«Papà, che ci fai qui?»
Rick mi stringe in un abbraccio veloce, mentre Artem mi saluta con un colpetto sulla spalla.
«Che c’è, non posso venire a trovare mio figlio?» alzo un sopracciglio, provocandolo.
Lui mi fissa con un misto di sorpresa e scetticismo.
«Certo, ma è difficile vederti qui. Di solito ci convochi nelle catacombe.»
Faccio spallucce.
«Da oggi in poi mi vedrai più spesso.» Mi alzo, mi rimetto la giacca. Il tempo della distanza è finito.
Gli allungo un foglietto piegato in due.
Rick lo prende con le mani appena tremanti. Sa già cosa significa.
«La trovi qui.» Il mio tono è piatto, neutro. «Niente cazzate, attieniti al piano.»
Lui annuisce con il respiro irregolare, il foglio che scivola nella tasca come se bruciasse.
Lo osservo, poi mi volto verso Artem.
«Ho un lavoro per te.»
E il suo sorriso dice tutto. Gli darò qualcuno da torturare, visto che è l’unico modo per distrarlo dal dolore.
Ma mentre li guardo, il mio stomaco si stringe. E i pensieri tornano a lei.
A Lilit e al rischio di perderla.
Al bisogno di possederla, di prenderla e di farla mia per sempre.



Passato

«Devi salvare le mie amiche, Sascia. Stanno per essere vendute all’asta»
Alys mi implora e non ho alcun dubbio sul fatto che aiuterò mia sorella, ma prima me la devo vedere con mio padre che l’ha portata in quella scuola. Ero stato chiaro con lui.
La mia sorellina doveva stare lontano dallo zio e doveva essere trattata come una principessa finché non sarei venuto a prenderla per portarla con me.
Trema tra le mie braccia e non la smette di singhiozzare.
Il sangue macchia le sue esili gambe chiare e io non posso fare a meno di prendermela con me stesso per non averla protetta abbastanza.
La stringo sul mio petto, accarezzo i suoi capelli biondi.
«Mi dispiace» le sussurro sulla pelle «perdonami, piccola»
Le sue lacrime non smettono di scendere, cerco di regolare i suoi battiti con il mio respiro.
Si stringe nelle spalle.
«Chi è stato a farti questo?» indico le sue gambe accarezzo la sua carne.
«Aveva una maschera da lupo, ma non era come gli altri, ed era poco più grande di me.»
Stringo la mascella, digrigno i denti fino a sentirli spezzarsi.
L’impulso di uccidere chiunque abbia osato toccarla prevale su tutto.
«Ti insegnerò a difenderti. Nessuno ti toccherà più.»
Mai più.
Annuisce, si asciuga gli occhi con il palmo della mano.
Non indossa i suoi occhiali e la veste bianca delle purificazioni la copre appena.
La voglia di dare fuoco a quella scuola è un chiodo conficcato nella testa.
Porto Alys a cada mia e la lavo con delicatezza.
Si aggrappa a me con le mani tremanti e fragili, abbassa la testa, si vergogna.
«Non devi avere paura di me.»
Mi guarda con i suoi occhioni blu e mi fa cenno con la testa di proseguire.
Mi prendo cura di lei come fosse un piccolo uccellino indifeso, odio vederla sconfitta.
Farà l’addestramento con me e Rick.
Sarà forte abbastanza, nonostante questi anni le resteranno appiccicati addosso come un fottuto collante.
Conosco la sensazione. So cosa si prova. Ma io ero da solo a combattere le mie battaglie, Alys no.
«Non uccidere nostro Padre.»
Mi supplica mentre asciugo i suoi lunghi capelli, non riesco a credere alle sue parole. Provo a spiegarle che non deve preoccuparsi perché da oggi in poi ci sarò io con lei.
Ma dietro il sorriso angelico di mia sorella dodicenne si nasconde un piccolo demone.
Ha un piano diabolico che credo stia  studiando da parecchio tempo e aspettava solo la conferma che stessi dalla sua parte.
Ha installato dei programmi nei PC della scuola per spiare le loro dannate meschinità.
Un genio nascosto dietro i suoi occhiali.
Vuole che lasci in vita nostro padre e che lui prenda il mio posto al consiglio della Bratva.
Ma io nel consiglio non ci sono ancora, non fino a quando mio zio Vadim sarà in vita.
Ed è proprio in quel momento che lei mi stupisce di più.
Sorride.
Un sorriso perfido.
Vuole la sua morte.
Abbassa la testa, forse si vergogna di quello che mi ha appena chiesto di fare.
«Alza la testa» le dico pettinando i suoi capelli con le dita «sei sicura di avere dodici cazzo di anni?»
Mi sorride di nuovo e il mio cuore trema.
Mia sorella ha il mio sangue.
È come me.
Come noi.
Chaos.
Noi siamo chaos.



Ho voglia di farvi conoscere Giulia e con la scusa vi rimetto anche la foto di Rick.
Chissà se un giorno vi racconterò anche di loro.

Chissà se un giorno vi racconterò anche di loro

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𝖂𝖊 𝕬𝖗𝖊 𝕮𝖍𝖆𝖔𝖘 - 𝕾𝖆𝖘𝖍𝖆 - 𝖛𝖔𝖑. 3Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora