Capitolo 26

202 9 0
                                        

SASCIA

Oggi


Il dolore che mi strazia il petto è come un colpo ripetuto, un pugno che si abbatte senza sosta, lacerando ogni fibra della mia esistenza. Non è un dolore fisico, è qualcosa di più profondo, di più viscerale, un vuoto che mi sta scavando da dentro, una lama affilata che affonda lentamente. Sapevo che sarebbe arrivato questo momento, sapevo che avrei dovuto affrontare l’inferno per riaverla, ma non avevo previsto quanto potesse essere devastante. Credevo di essere pronto, di avere il controllo, ma il suono della sua voce al telefono mi ha tolto ogni certezza, mi ha fatto sentire impotente, inutile, un uomo che senza di lei non è niente.
Sapere che quelle mani l’hanno toccata, che quelle bocche hanno pronunciato il suo nome, che il veleno del passato sta cercando di strisciare di nuovo dentro di lei, mi incendia il sangue. Il pensiero mi devasta, mi nausea, mi fa venire voglia di urlare fino a farmi esplodere i polmoni. Mi ha detto di stare attento, che è una trappola, ma io non ho mai temuto il fuoco e se per salvarla devo bruciare, lo farò senza pensarci due volte.
Sento il peso delle armi addosso, mentre avanzo verso il Cayenne con il resto della mia gente.
Siamo appena usciti dalle ccatacome, carichi di munizioni e rabbia, pronti a trasformare questo cazzo di mondo in cenere. Ogni passo che faccio mi sembra troppo lento, ogni respiro è un attimo di troppo sprecato senza averla accanto. Poi una mano ferma si posa sulla mia spalla, forte, sicura, e mi volto di scatto, con i nervi tesi, il respiro corto.
Aras mi fissa con quegli occhi neri, impassibili, come se potesse leggermi dentro.
«Non sei lucido, Sascia, e questo non va bene.»
La sua voce è calma, ma c’è qualcosa di tagliente sotto la superficie, qualcosa che mi fa capire che sa esattamente cosa sto provando.
Lo guardo con il fuoco nelle vene e il cuore a pezzi.
«Come staresti al posto mio?»
Aras non si scompone, si limita a osservare.
«Probabilmente impazzirei. Ma la pazzia, quando la sai usare, può diventare la tua arma più letale.»
La sua bocca si piega in un sorriso impercettibile, appena un accenno, ma abbastanza per insinuarmi il dubbio che abbia già previsto ogni mossa di questa dannata partita a scacchi.
«In che modo?»

«Stai per scoprirlo. Attieniti solo al mio piano.»
Poi si gira, torna da sua moglie, e io resto lì, con il cervello che brucia di pensieri.
Lui parla, spiega il piano, dettaglia ogni mossa, ma io ho la mente altrove. Sto ascoltando, ma nello stesso tempo sto contando i secondi che mi separano da Lilith, immaginando le sue mani che combattono, i suoi occhi che cercano una via di fuga, il suo respiro che si spezza nel tentativo di sopravvivere. Il solo pensiero di lei prigioniera, sola in quel posto di merda, mi strappa via l’aria dai polmoni.
«Al primo colpo di testa andrò avanti da solo, riprenderò quella ragazza e voi tutti mi sarete debitori a vita. E avere un debito con me significa avere un’esistenza infernale. Tutto quello che avete passato fino a oggi non vi sembrerà nulla in confronto, e credetemi se dico che di voi conosco ogni cazzo di cosa.»
La voce di Aras è una lama che si insinua nell’aria, una minaccia fredda e controllata. Tutti lo ascoltano in silenzio, perché sanno che non sta bluffando.
Alys si avvicina a me e vedo nei suoi occhi un misto di paura e speranza. Sa che se c’è qualcuno in grado di salvare Lilith, quello sono io.
«Fratellone, per favore, riportala a casa» La sua voce trema, e questo mi spacca il cuore ancora di più.
La tiro a me, la stringo contro il petto, come se potessi assorbire un po’ della sua forza per trasformarla nella mia.
«Lo farò, piccola. Lo farò, ma tu nel frattempo parla con Bea e raccontale ogni cosa.»
Alys si irrigidisce, alza lo sguardo su di me.
«Tutto?»
Annuisco.
Bea deve sapere la verità su quella cazzo di scuola cattolica che ha devastato le nostre vite. Deve conoscere il passato di sua sorella.

«Tutto. Merita di sapere. Basta con i segreti, siamo una famiglia.»
Lei abbassa lo sguardo per un secondo, poi lo rialza con una fiamma nuova negli occhi.
«Siamo Chaos, Sascia. Ricordati che siamo anche questo.»
Le sue parole sono benzina sulla mia rabbia, un promemoria di chi siamo e di cosa siamo capaci.
Mi saluta con un abbraccio e torna indietro con la sua Harley, in direzione della mia villa, dal resto delle ragazze.
Mi volto verso Aras.
«Sono pronto. Andiamo.»
Lui mi osserva per un attimo, poi annuisce.
«Ho bisogno di sentirti dire che ti fidi di me.»
«Io mi fido di chi si fida di me» rispondo piatto.
«So chi sei meglio di quanto credi, Sascia. Altrimenti non sarei qui e nemmeno ti avrei chiesto di far parte della mia squadra.» La sua voce è una sentenza, non c’è spazio per i dubbi. «Ma adesso basta. Tua moglie ci sta aspettando.»

Respiro a fondo, riempiendo i polmoni dell’aria che mi è mancata per tutto il tempo che ho passato senza di lei.

Entro nel Cayenne e accendo il motore.
Sto arrivando, piccolo demone, e tieniti forte, perché non ti lascerò più.

Ti amo. Mi ha detto in un sussurro, poi ha messo giù il telefono, facendo aprire una voragine sotto i miei piedi.
Un viale alberato si stringe attorno a me mentre avanzo con l’auto, inghiottendomi con i suoi rami fitti e nodosi che si piegano come artigli sopra la mia testa. Il bosco diventa più scuro a ogni metro che percorro, il sentiero si restringe, la vegetazione sembra chiudersi in un abbraccio soffocante. L’aria è carica di umidità, impregnata dell’odore di muschio e terra bagnata. Non c’è più traccia della strada, nessun punto di riferimento, solo un labirinto di tronchi e ombre che si allungano nell’oscurità.

Le indicazioni di Elyas sono corrette, ma dove cazzo mi trovo?
«Cognato, fermati lì e scendi dall’auto.»
La voce di Elyas rimbomba nell’auricolare con un tono che non ammette repliche.
Stringo il volante, cerco di controllare il battito impazzito del mio cuore, poi spengo il motore.
Scendo dal Cayenne, sentendo il terreno soffice cedere leggermente sotto le mie scarpe. L’aria è densa, il silenzio del bosco è irreale, spezzato solo dal fruscio delle foglie che si muovono sotto il mio peso.
Mi tolgo la giacca, arrotolo le maniche della camicia, poi afferro la pistola e la stringo con forza. Ogni muscolo del mio corpo è teso, pronto a scattare al minimo rumore.
Faccio un passo avanti, avanzando lungo il sentiero coperto di foglie verdi e rami spezzati, con lo sguardo che scruta ogni angolo nell’ombra.
All’improvviso, una mano mi afferra la spalla.
Il mio corpo reagisce prima della mia mente e mi giro di scatto con la pistola già puntata, il dito che sfiora il grilletto.
«Sono io, cazzo» sbraita Elyas sottovoce, alzando le mani in segno di resa.
«Che diavolo, vuoi farti ammazzare?» Il cuore mi martella nel petto mentre abbasso lentamente l’arma.
«Ti ho detto io di scendere nel bel mezzo del nulla, chi altri poteva essere?» borbotta, scuotendo la testa.
Poi, senza preavviso, mi squadra da capo a piedi e ordina:
«Sbottonati la camicia.»
Lo fisso, le sopracciglia che si inarcano per lo stupore.
«Ma che cazzo…»
«Non farmi perdere tempo, Sascia.»
Lo guardo di traverso. Elyas e mia sorella hanno certe abitudini discutibili e ogni tanto mi servono un paio di secondi per capire se stanno parlando seriamente o se sto per finire nel mezzo di qualche loro fottuta perversione.
Lui sbuffa, perde la pazienza e mi fa un cenno con la mano.
«Muoviti.»
Sospiro e slaccio i bottoni uno a uno, fino a rimanere a torso nudo.
Poi, all’improvviso, un colpo secco mi esplode nel petto.
Cazzo.
Un dolore acuto si espande dai pettorali fino a infiammarmi i muscoli, come una scarica elettrica che mi attraversa il corpo.
Fisso Elyas con occhi fiammeggianti e la voglia di spaccargli la faccia.
«Elyas, che cazzo mi hai fatto?» ringhio, stringendo i pugni.
Lui alza un sopracciglio, impassibile.
«Ti ho piantato un microchip sottopelle.»
«E questo schifo me lo dici adesso? Non mi serve.»
«Pensi che una volta entrato lì dentro ti lasceranno passeggiare liberamente? Nel migliore dei casi ti perquisiranno, nel peggiore ti faranno sparire in qualche buco lontano dalla civiltà. Dobbiamo essere in grado di trovarti.»
Stringo la mascella, la voglia di prenderlo a pugni è forte, ma so che ha ragione. Non posso permettermi errori.
«Gli servo vivo, Elyas.»
«Questo non gli impedirà di torturarti.» Mi allunga un silenziatore e mi dà una pacca sulla spalla. «Vai e fagli il culo. Poi segui il piano di Aras.»
Annuisco, inspirando a fondo mentre riabbottono la camicia.
«Ti fidi così tanto di lui?»
Elyas si accende uno spinello, giocherella con il filtro tra le dita prima di rispondermi.
«Non gli avrei permesso di avvicinarsi a noi se così non fosse stato. Dovresti conoscermi.»
«Non prendo mai ordini, da nessuno.» Ho cercato io l’aiuto di quell’uomo, ma dopo tutto quello che è successo nelle nostre vite, prendo le dovute precauzioni su tutto, specialmente quando sono obbligato a seguire un piano non mio.
«Questa volta dovrai farlo.» Il suo tono si fa più serio. «Non sei lucido, Sascia, e Aras è l’unico che può aiutarci. Sai perché? Perché tiene per le palle la mafia italiana, perché ha fatto fuori una cellula terroristica, perché controlla il mercato sul dark web come nessun altro. Fidati, non è poco.»
Lo fisso con occhi stretti.
«E perché nessuno ha mai provato a ucciderlo?»
Elyas sorride di lato.
«Cazzo se ci hanno provato.»
«E sono ancora vivi?»
«Non esattamente.» Fa un tiro lento, poi espira. «Se qualcuno tocca Aras, il mondo esplode. Ha prove su ogni crimine, ogni affare illegale di mafie, magistrati, giudici e uomini di potere. Se lo uccidono, il dark web si riempie di video che nessuno sarà in grado di fermare.»
Mi passo una mano tra i capelli, cercando di elaborare tutto.
«E lui perché vuole noi?»
«Perché ci vuole nella sua squadra, e non si fermerà.»
«Al punto da mettersi contro l’Associazione e la Bratva?»
Elyas annuisce lentamente.
«Abbiamo lo stesso obiettivo. La sua organizzazione si occupa di far fuori stupratori e reti di pedofilia. È questo che lo ha portato in California.»
Un uomo che potrebbe starsene al sicuro, che ha già il potere nelle mani, e invece si espone, si mette in pericolo, combatte guerre che non è obbligato a combattere.
C’è sempre un motivo dietro una lotta come questa.
«Scommetto che tu sai perché lo fa.»
Elyas fa un mezzo sorriso.
«È cresciuto con i terroristi, Sascia. È stato addestrato con la violenza. E qualcosa mi dice che gli stupratori c’entrano con sua moglie.»
Chiudo gli occhi per un istante.
Cazzo, adesso capisco.
Apro la bocca per dire qualcosa, ma Elyas mi ferma con un gesto della mano.
«Adesso vai e riporta Anastasya da Bea, sana e salva.»
Fisso il sentiero che si snoda davanti a me.
«Dove devo andare?»
«Prosegui per due miglia. Ti troverai davanti a una baita in legno. Ma ricordati, niente è come sembra. Stai attento.»
Annuisco, lo abbraccio, poi mi volto e inizio a camminare.
Il terreno scricchiola sotto i miei passi, la foresta è silenziosa, quasi trattenesse il respiro.
Nel petto, il battito accelera e sento Lilith.
Il suo profumo, la sua presenza, la sua voce che mi chiama.
Sto arrivando, piccolo demone, resisti per me e per tua sorella.

Se esiste un Dio, per una volta, spero faccia in modo che io possa riunire la mia famiglia.

Davanti a me, tra gli alberi, compare una baita mentre il cuore mi esplode.
Il sipario sta per alzarsi, e la resa dei conti è finalmente arrivata.

𝖂𝖊 𝕬𝖗𝖊 𝕮𝖍𝖆𝖔𝖘 - 𝕾𝖆𝖘𝖍𝖆 - 𝖛𝖔𝖑. 3Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora