XIV. Io ti terrò la mano (tu tienimi l'anima) - Parte 2

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«Eccolo qua, il nostro commissario 'ngrugnato!» esclama Bruno dal salotto, sbucando subito nella cornice della porta; sorride sghembo e sembra illuminare a giorno la casa.

Ricciardi si arresta nel disimpegno, con nubi cariche di emozioni che gli si accavallano nel petto, si scontrano e generano lampi contrastanti. Vedere Bruno in casa propria rischia di provocargli un infarto per l'angoscia e, al contempo, si sente sopraffare dal sollievo dopo una giornata intera passata nell'incertezza di temerlo agli arresti; se non ci fosse lì Nelide, lo scrollerebbe prima per il bavero, perché è un perfetto idiota, e poi lo abbraccerebbe.

Trattiene anche il rimprovero istintivo che gli è salito alle labbra: con lui si passa una buona decina d'anni, ma, a volte, ha l'impressione d'essere lui quello più vecchio e assennato; e, senza dubbio, l'unico dei due a serbare un minimo di giudizio.

Lo scruta invece in volto, fa scorrere gli occhi su di lui da capo a piedi: indossa una delle sue solite polo dai colori tenui sotto una giacca informale verde scuro, col sigaro che sbuca dal taschino. Sembra sereno, riposato, anche se un accenno di occhiaie tradisce la notte inquieta. Ma è illeso, senza nemmeno una grinza a spiegazzargli i vestiti.

Il medico intercetta il suo sguardo funesto e arresta l'impeto che lo stava portando verso di lui. Il suo sorriso si affievolisce nel fissarlo, gli occhi smorzano la luce gioviale di cui brillano sempre. Ricciardi crede sia anche per la magnitudine di stanchezza che si porta appresso, ma spera bene che Bruno abbia colto l'antifona: non dovresti essere qui.

Ad ogni modo, il medico torna a rivolgersi a Nelide, che appare a sua volta sulla soglia, senza perdere un singolo battito:

«Che ti dicevo, Nelide? Basta portare un poco di pazienza, che alla fine si fa sempre vivo.»

Lei, di tutta risposta, innalza le sopracciglia come due vessilli di guerra mentre lo squadra con sguardo critico; e Ricciardi sa che neanche a lei sfugge quanto sembri più provato rispetto a solo quella mattina. Infatti, il suo verdetto è tagliente:

«U'atto care sembe chi pieri nderra

La giovane domestica pare anche indispettita dal fatto che abbia quasi fatto di nuovo tardi per cena, dal modo in cui si toglie svelta il grembiale e si appresta ad aiutarlo con il soprabito. Sul suo volto, però, la scorge reprimere un raro sorriso che rende più aggraziati i suoi lineamenti granitici.

Ricciardi si rende conto di essere rimasto in silenzio finora, e si sforza di ritrovare facoltà di parola, prima di risultare sospetto o scortese:

«Bruno.» Rischia comunque di tartagliare sul suo nome, quelle due semplici sillabe che dovrebbero essere le più semplici del mondo. «Che ci fai qui?»

La domanda, posta in quel tono, fa alzare di scatto gli occhi a Nelide, ora intenta a togliergli anche la giacca, e gli rimedia uno sguardo scottante dal medico.

«Come, che ci faccio? Ma che capa tieni?» ride però lui, senza un grammo d'esitazione, e quel suono riscalda l'aria. Sembra appena uscito dal Gambrinus dopo aver bevuto un goccetto di troppo, ma è senza dubbio lucido. «Dovevamo aggiornarci sul caso, ti sei scordato?»

Nelide, in quel mentre, si schiarisce la gola con insolita energia nel ripiegare la giacca del completo sul braccio. Scocca a Bruno un'occhiata severa, da sfinge adirata, e lui alza le mani in un gesto pacificatore.

«E pure controllarti quell'acciacco, sennò mi posso scordare le mammarelle mbuttunate della cara Nelide.»

«Grazie, dottore, faciste 'sta cortesia.»

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