XVIII. Dietro al cielo (non c'è niente) - Parte 2

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          L'odore penetrante dei ceri gli pervade il naso, portando con sé un miscuglio di quiete venata di sacralità e sottile inquietudine. Non riesce più a scindere quell'essenza dai teschi ammassati nel Cimitero delle Fontanelle.

«Commissario. Mi era giunta voce che vi foste infortunato, ma non credevo certo a tal punto.»

La voce insolitamente angustiata di Don Pierino lo distoglie dai propri pensieri, indirizzando il suo sguardo verso l'alto. Rivolge un sorriso impercettibile al parroco dalla panca su cui è seduto, con le mani giunte in grembo in modo goffo per via del braccio immobilizzato. Lui non ricambia, il volto rugoso rattrappito da nuove rughe nel fissarlo, gli occhi resi più grandi dallo sconcerto.

«Non è nulla di grave, Padre.»

Fa per alzarsi, ma Don Pierino lo blocca perentorio e s'insinua tra lui e l'inginocchiatoio, per poi sederglisi di fianco. Giunge anch'egli le mani ossute in grembo, dopo essersi segnato il capo e il petto. Rimane in silenzio, però, senza tempestarlo di domande come sembra propenso a fare chiunque lo incroci, che sia a parole o col solo sguardo.

Gli sembra che anche i fantasmi che vede, ai quali non riesce a prestar più davvero orecchio, gli riservino solo occhiate interrogative, dagli angoli delle strade.

«Avevo intenzione di parlare con voi già ieri l'altro, ma il mio infortunio me l'ha impedito,» esordisce a mezza voce, con gli occhi rivolti alla cupola affrescata di nubi che li sovrasta.

«Se è per la questione dei fanciulli, commissario, non datevi pensiero. Il brigadiere Maione si è premurato di informarmi al riguardo e la parrocchia di San Raffaele li ha già presi in custodia.»

Ricciardi annuisce in silenzio, un poco sollevato. Maione ha mancato di riferirglielo, nello scombussolamento di quegli ultimi giorni. Avrebbe potuto chiederlo a lui, ma ha preferito presentarsi di persona da Don Pierino, approfittando dei giorni liberi obbligati.

L'atmosfera raccolta della chiesa ha sempre un effetto calmante sui suoi pensieri, sebbene non susciti in lui alcun sentimento di religiosità. Così come ha piacere a parlare con Don Pierino per via della sua arguzia e prontezza di spirito nelle questioni più intricate, sempre pronto a offrire una parola di consiglio; quell'oggi, però, ha la sgradevole impressione di essere un penitente in confessione.

«Stanno bene?»

«Sono spauriti e diffidenti, come ci si aspetterebbe da delle povere anime che hanno patito l'abbandono, ma sono tutti sani e in perfetta salute,» risponde lui, un poco cantilenante. Il suo volto assume d'un tratto la rigidezza del legno appena spaccato. «Sono lieto di sapere che avete portato a giustizia l'uomo che ha spento la vita di quella creatura innocente. Benché mi addolori vedervi così malmesso,» aggiunge, con un guizzo d'occhi simpatetico.

«Un uomo, sì,» mormora di rimando lui, senza nemmeno aver avuto l'intento di parlare. «Quasi mi dispiaccio di non poterlo definire altrimenti.»

«E come vorreste chiamarlo, se non così?»

Il sorriso del reverendo è paziente, adesso, e forse quello è il tono che utilizza nelle sue catechesi.

Ricciardi non risponde nell'immediato, gli occhi ora persi sul pavimento marmoreo e variopinto sotto i suoi piedi. Pensa, stancamente, al colloquio fin troppo breve che ha avuto con Gabriella Esposito, appena qualche ora fa. L'aveva rintracciata infine in una villa a Posillipo senza troppe difficoltà, con l'aiuto di Mamma Clara, al bordello; aveva escluso a priori di coinvolgere Bambinella, sia per la sua reticenza a interessarsi della faccenda, sia per non porla ulteriormente in pericolo.

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