XVIII. Dietro al cielo (non c'è niente) - Parte 1

95 11 94
                                    


Che il sole splendesse su Napoli, quella mattina, Ricciardi non l'aveva dato affatto per scontato, come non aveva dato per scontato l'uscire di casa e non ritrovarsi un agente dell'OVRA a piantonare l'ingresso.

Trova invece Maione, in piedi dall'altro lato della strada e davanti al suo portone. Ricciardi lo intravede per appena un paio di momenti, prima che si accorga di lui, ma sono sufficienti a prender nota della sua postura affatto rilassata, con le mani serrate dietro alla schiena e lo sguardo che viaggia verso l'alto, oltre la tesa del berretto, come a voler scorgere qualcosa d'inafferrabile sopra la propria testa.

Al suono dei suoi passi, fa perno sul tallone, interrompendo la sua marcia ciondolante su e giù, e si volta di scatto verso di lui. Sgrana gli occhi nel vederlo, d'un tratto paonazzo, e Ricciardi immagina che la notte di riposo non abbia attenuato a sufficienza il suo aspetto provato, né le ecchimosi in volto, né, com'è ovvio, ha guarito il braccio spezzato che si porta in collo.

«Commissario,» traversa la viuzza e gli si fa incontro in due falcate, «perdiana, ma che v'hanno fatto?»

Ricciardi non risponde, sfiatando silenzioso dal naso nel lanciare un'occhiata guardinga attorno a sé. Non che s'aspetti di individuare alcun eventuale agente che abbiano piazzato a sorvegliarlo. Lo preoccupa, piuttosto, la prossimità con il portone di Enrica, e l'orario mattutino inoltrato per lui insolito, che potrebbe far scaturire un incontro che non ha alcuna intenzione d'anticipare.

«Raffaele, vieni. Camminiamo,» lo invita, forse brusco, mentre si avvia già verso lo sbocco del vico; e Maione subito dietro. «Sono lieto di vedere che ti sei rimesso.»

«Era un graffio, commissa',» taglia corto lui, con un gesto secco del palmo. «Voi, piuttosto! Ma come v'hanno ridotto! Mi spiegate dove...»

«Sei in servizio?»

Ricciardi adocchia in ritardo la sua divisa, che dovrebbe essere una risposta sufficiente; si sente, a tratti, non del tutto collocato nel qui e ora o in grado di afferrare e comprendere ciò che lo circonda.

«Sì, certo, vengo dalla Questura. Non tira una bella aria, commissa',» Maione s'incupisce, il volto ampio che sembra restringersi nell'indurire le guance. «Ho accampato la scusa di una ronda e ho lasciato Cesarano a fare le mie veci. Volevo vedere come stavate. Sarei venuto già iersera, ma la signora Lucani ha...»

«Ti va un caffè?»

Maione batte le palpebre in modo stordito, a quella seconda interruzione, e sembra registrare in ritardo l'invito.

«Volentieri, ma...»

«Andiamo, allora.»

Scarta subito l'idea di andare al Gambrinus, dove teme di incrociare troppi pensieri e ricordi che non può permettersi d'avere ora. Si dirige invece verso la Galleria Umberto I, dove conta di trovare un qualsiasi caffè decente. Al lieve sospiro rassegnato di Maione, che lo segue comunque senza protestare, si sforza di rivolgergli uno dei suoi soliti sorrisetti impertinenti:

«Dirai che è stata una ronda piena di farabutti, la tua.»

Gli si spezza però a metà, quella pallida imitazione di un se stesso che poteva permettersi spensieratezza. Maione non commenta, e ricambia con un sorriso altrettanto incrinato.

 Maione non commenta, e ricambia con un sorriso altrettanto incrinato

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.
La Ruota degli AngeliDove le storie prendono vita. Scoprilo ora