«Mi vuoi dire com'è successo o è un segreto che ti porterai nella tomba?»
Sarà la quarta volta che Bruno gli pone quella domanda in quattro formulazioni differenti, e ancora non demorde. Ha anche passato una decina di minuti a teorizzare quale corpo contundente abbia potuto causare una lesione simile; e a dedurlo correttamente, attribuendolo a un oggetto piatto e dai lati sottili. Ciò conferma la sua abilità come medico legale, così come la sua totale assenza di freni inibitori.
«Puoi chiederlo a Nelide quando la incroci, visto che ne è l'artefice,» si arrende infine Ricciardi, dopo aver finito di bere il suo caffè ustionante.
«Aspetta, è stata Nelide?» sghignazza lui di gusto, e quasi si strozza sulla sua sfogliatella. «Buon Dio, e che hai combinato? Le hai lasciato di nuovo nel piatto la cena?»
«È stato un incidente. Era buio pesto e pensava fossi un malintenzionato.»
«La capisco pure, con quella faccia da delinquente che ti ritrovi.» Bruno si riprende dallo scampato soffocamento, col palmo teso che accenna al suo viso. «A proposito di crimine... non l'hai letto, il referto, vero?»
«Quando avrei dovuto leggerlo?» Spinge il documento tra loro sul tavolino. «Lo sai, che la mattina sono occupato. Non me lo porti mai così presto, né di persona.»
«Lo so,» i suoi occhi fanno una giravolta esagerata, «ci arrivi da solo, commissario, o devo mettertelo per iscritto?»
«Te lo chiederei sul serio, se non fosse incriminante.»
È Ricciardi a sorridere senza ritegno, adesso, godendosi la sensazione di avere il coltello dalla parte del manico e di riuscire a canzonarlo un po', una volta tanto. Bruno scuote la testa, con la massa di ricci castani che molleggia a tempo.
«Io lo dicevo, che tu ti diverti sempre un mondo.»
«Bruno, mi vuoi illuminare sul caso o mi hai fatto venir qui solo per farti pagare le sfogliatelle?»
«Guarda che le paghi pure per te; sei tu che scegli di non mangiare mai la tua e donarla a chi ne ha più bisogno.»
E, proferito ciò, gliela frega a bella posta dal piattino e la attacca famelico, come ogni altra volta.
Ricciardi scuote la testa e incassa il mento sul petto, a braccia incrociate, ma non prova nemmeno a fingersi serio. Si dimentica pure di vedere i fantasmi, quando è seduto a quel tavolino con Bruno.
«Comunque, lascia pure che ti illumini...» si ricompone il medico, mentre apre il referto in mezzo a loro tra un boccone e l'altro. «A me quello che non torna è la dinamica. Questo è un delitto statico.»
«Statico? Sfondare la testa a qualcuno su un tavolo di vetro lo definisci "statico"?»
«Segui a me, Riccia'.»
Si pulisce la bocca e le mani col tovagliolo e si concede una pausa di qualche secondo per accendersi il sigaro, come se ciò gli fosse d'ausilio nell'esporre i fatti. Ricciardi evita di redarguire quel suo vizio odioso, ma almeno s'impegna a espirare il fumo verso l'alto, a rimpolpare la cappa caliginosa all'interno del locale. Quando parla, è col suo tono di medico pragmatico e professionale, dall'occhio certosino per i dettagli:
«Metti caso che tu ora sei Gigliolo, la posizione è più o meno corretta,» indica lui e poi il tavolino tra loro. «Stai seduto bello comodo sul divano e ti entra qualcuno in casa in piena notte. Lo senti o lo vedi e cosa fai? A parte seguire il bell'esempio di Nelide e tirargli addosso qualcosa.»
Ricciardi rivolge gli occhi al cielo e si tasta di riflesso lo zigomo ormai purpureo.
«Mi alzerei in piedi, come minimo...»
STAI LEGGENDO
La Ruota degli Angeli
Mystery / ThrillerNapoli, 1934. Il commissario Ricciardi è alle prese con un delitto come tanti, almeno per lui che è abituato a vedere i fantasmi delle vittime con i propri occhi. Una rapina finita male, con dei dettagli che, però, non tornano. Non tornano né a lui...