Maione sposta il peso da un piede all'altro, in un continuo movimento basculante che, a fissarlo troppo a lungo, rischia di fargli venire il mal di mare.
Ricciardi s'impegna quindi a escluderlo dalla visuale periferica, anche se non può biasimare la sua irrequietezza: l'atmosfera nell'atrio della Real Casa è tutt'altro che accogliente, ancor meno dell'ultima volta che vi è entrato.
La luce è fievole, come assorbita dai marmi e dal pavimento a scacchi bianchi e neri. Solo l'affresco che ricopre la volta sembra ben illuminato per un qualche gioco di rifrazione, lasciando distinguere le vesti ampie e agitate da venti invisibili delle figure sante racchiuse nell'ovale al centro.
Osserva la scena e, con uno sforzo di memoria, riconosce il martirio di san Tommaso, passato a fil di spada davanti a un altare macchiato di sangue. Non gli sembra affatto una raffigurazione da porre in un orfanotrofio, anche prendendo atto dei cherubini che, nei riquadri circostanti, sembrano voler addolcire quella scena truce con la loro presenza eterea e spensierata.
«Bello,» commenta Maione a voce non troppo bassa, e Ricciardi si accorge solo ora che anche lui sta rivolgendo gli occhi al soffitto, «nei dormitori c'avranno messo la strage di Erode.»
«E dai, Maio',» lo rimbrotta Ricciardi, a quell'umorismo macabro che calzerebbe meglio Bruno. «Anche se ammetto che l'ambiente non sia dei più ospitali.»
«Sempre meglio della strada,» sospira lui, in tono più mite.
Caterina Gigliolo, che s'era allontanata un poco percorrendo a passi lenti il perimetro della stanza, si fa di nuovo loro vicino. È stata comprensibilmente molto taciturna, una volta tornata dalla sepoltura.
Ricciardi era stato sul punto di sciogliersi dal sollievo, quando l'aveva vista già in loro attesa davanti alla Basilica dell'Annunziata; forse è meschino, da parte sua, ma non vi aveva fatto cieco affidamento. Una parte di lui aveva persino temuto di trovare ad aspettarli gli sgherri di Falco, pronti a trascinarlo via.
Non è abituato a scoprire che la propria fiducia sia ben riposta, ma negli ultimi giorni ne sta avendo prova più che in una vita intera.
Le porte della Real Casa si sono schiuse, per Caterina, per poi aprirsi del tutto una volta dichiarata la propria identità e aver scandito il nome del colonnello Fernando Gigliolo. Hanno poi tentato di richiuderle in faccia a lui e Maione, ma Caterina si è opposta con fermezza e ha preteso di interloquire con Madre Filippa assieme a loro, in uno sfoggio di marzialità che ben si addice alla vedova di un militare pluridecorato, affatto trattenuta dai flebili fischi asfittici che continuano a occluderle il petto di tanto in tanto.
Anche ora, si preme discreta una mano sullo sterno, come a placare un bruciore invisibile. Ha alzato la veletta, scoprendo del tutto gli occhi nocciola, privi di trucco e cerchiati da un lieve rossore. Picchiettature del medesimo colore traspaiono oltre la cipria posta a coprirle. Respira con la bocca semi schiusa, mitigando un affanno costante che sembra strizzarle la gola.
«Signora Gigliolo,» la chiama sottovoce Ricciardi, «ci sono delle panche nella sala accanto, di fianco alle scale. Non penso le suore avranno da ridire se ci spostiamo mentre aspettiamo la priora.»
Lei, sul momento, gli rivolge uno sguardo altero, come si fosse risentita dall'offerta indiretta. Poi, dopo qualche istante d'esitazione e un nuovo spasmo impercettibile che contiene a stento, annuisce. Accetta il suo braccio e si lascia condurre ai sedili, in silenzio. Maione non li segue, su suo discreto segnale, e gli accorda solo un cenno d'assenso a quell'iniziativa.
Ricciardi avverte come la donna scarichi la maggior parte del peso su di lui, tradendo la spossatezza. Si premura di sorreggerla un poco più del necessario quando si siede, senza però mostrarsi troppo affabile, a scanso d'offenderla.
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La Ruota degli Angeli
Mystery / ThrillerNapoli, 1934. Il commissario Ricciardi è alle prese con un delitto come tanti, almeno per lui che è abituato a vedere i fantasmi delle vittime con i propri occhi. Una rapina finita male, con dei dettagli che, però, non tornano. Non tornano né a lui...