Get to work!

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I bimbi erano curiosi, ma molto curiosi, erano capaci di star lì e farti domande fino a tardi.

Louis adorava questa cosa, e faceva di tutto per soddisfare la loro curiosità.

Certi giocavano con i ricci di Harry, e lui ridacchiavano come se gli facessero il solletico.

Poi però, c'erano i piccoli adolescenti, dodicenni che cercavano di prevalere l'uno sull'altro.

Louis si riconosceva in quell'atteggiamento da bulletto, ma sapeva come tenergli testa, avrebbe saputo gestirli.

Alla morte dei suoi genitori, trovò quasi conforto in quell' atteggiamento freddo e distaccato.

Spesso si rinchiudeva ancora in quel l'armadio, ma si prometteva sempre di uscirne.

Harry venne incaricato di occuparsi dei bambini, si divertiva più di loro a colorare.

Mentre a Louis toccarono le attività sportive pomeridiane, e dopo una votazione democratica, il calcio prevalse sulle altre proposte.

Erano competitivi per la loro età, volevano emergere e lo spaventavano a volte.

Sembravano volersi ferire appositamente, dovevano vincere e umiliare l'avversario come se ne dipendesse la loro vita.

Louis visse un momento di ansia assurdo, un ragazzino spinse un altro compagnetto e cominciò a riempirlo di calci nello stomaco.

Li separò di corsa, trattenendo l'aggressivo ragazzino.

«Ma ti vuoi calmare, Ethan?» gridò.
«Lasciami! Lasciami!» cercava di trattenerlo, ma si dimenava come non mai.

Sentì l'impulso di tirargli uno schiaffo per calmarlo, però piuttosto lo strinse forte in attesa che si calmasse, trascinandolo lontano dagli altri.

Lo mise spalle al muro, gli disse di fare dei respiri profondi, cosa che lui fece.

Iniziò a singhiozzare, e a Louis parve che volesse farlo da po', ma avesse represso la tristezza, trasformandola in ira.

«Si sono liberati di me, mi hanno costretto a stare tutta l'estate qui perché a casa non mi vogliono!»

Sentì un dolore al petto, qualcosa che si rompe pur restando lì, con le scheggie che ti graffiano, causandoti piccoli tagli che pian piano diventano più profondi.

Voleva abbracciarlo, ma sapeva che non fosse ciò di cui aveva bisogno, lo avrebbe soltanto illuso di poter contare su di lui.

Ebbe l'impulso di illuderlo, di farlo stare bene anche per solo cinque minuti, per poi rendersi conto che il sé bambino non lo avrebbe mai perdonato.

«Perchè pensi che non vogliano averti con loro?» si limitò a chiedere.

Il ragazzino tirava col naso, cercava di asciugarsi le lacrime, e assunse una postura di chiusura, con le braccia consorte e le gambe accavallate.

«Papà non mi chiama, vuole bene alla sua nuova famiglia, e mamma vuole bene solo al suo compagno, non vuole che esca nemmeno dalla camera quando sono insieme...»

Gli poggiò una mano sulla spalla:
«Ti prometto che un giorno ti lascerai tutto alle spalle, capirai che la famiglia che ti crei può essere più importante di quella da cui provieni»

«Purtroppo, siamo tutti frutto di ciò che abbiamo vissuto, che abbiamo passato, ma reputati fortunato, sei nato nel periodo perfetto per mettere fine a questo trauma generazionale»

«Probabilmente i tuoi genitori hanno i loro problemi, e non sanno fronteggiarli, tu invece sei forte e riuscirai a vivere sereno nonostante loro!»

Gli sorrideva, tentando di strappargli un sorriso.

Shit changes || Larry Stylinson Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora