Sarah
Un'altra settimana senza sapere come sarebbe andata. Anche se in questo caso la scelta era tra me e Lil. Una rimaneva, l'altra andava a casa. Non ci si poteva sbagliare. Se da un lato ero contenta di rimanere ancora qui, dall'altro vivere nell'incertezza mi metteva ansia. Forse avrei voluto saperlo subito. O forse è meglio così.La scelta di Michele è stata inaspettata. Come vedere comparire la mia faccia sul led rosso. Non che pensavo non potesse accadere, anzi. Ma perchè non avevo realizzato di essere al ballottaggio. Era andato tutto troppo velocemente. Avevo cantato un sacco ed ero anche soddisfatta. Voilà, il duetto con Mida, training season, cruel summer. Mi era piaciuto tantissimo cantare quelle canzoni. Ci avevo messo anima e corpo. E spero che a qualcuno sia arrivato.
Quando avevano chiamato me e Lil in studio non avrei mai immaginato questo, anche se, mentre uscivamo dallo studio, avevo visto Michele alzarsi. "Assurdo, questa cosa non era mai successa" Aveva detto Mida, quando eravamo tornate in casetta, fingendo di dover uscire entrambe, per poi rivelare il contrario.
Nel mentre io mi guardavo attorno, alla ricerca dell'unica persona che in quel momento poteva salvare lo smalto sulle mie unghie, pronto ad essere raschiato via. Lo avevo lasciato seduto sul divano con Petit, prima di uscire. Il suo sguardo che mi seguiva da lontano. E mi ero girata, giusto un momento prima di mettere piede fuori dalla porta, solo per poterlo guardare negli occhi e scorgere preoccupazione.
"È sul retro" Gaia era davanti a me e nemmeno me ne ero accorta. La stampella che l'aiutava a camminare e una tazza di tisana in mano, fumante e ben zuccherata, così come Chri sapeva lei la volesse.
Mi allontano in silenzio dagli altri. Lo vedo, una volta aperta la porta. Le cuffie sulle orecchie e lo sguardo basso sul computer. E come un dejavù la mia mente torna a tutte le volte che siamo stati qui assieme, ognuno a lavorare sulle nostre cose, ma insieme.
"Non vieni a salutarmi?" Decido di fargli uno scherzo lì sul momento. Appena si accorge di me, toglie le cuffie, e allora glielo ripeto, visto che non ha sentito.
"Mi saluti?" E resta fermo sulla poltroncina. Lo sguardo di chi sta cercando di capire se è vero o se lo stanno prendendo in giro. Ed in effetti è ciò che sto facendo.
"Che cazzo stai a dì?" Per un attimo gli trema la voce, mentre si alza per venirmi incontro, io ancora appoggiata allo stipite della porta. Mantiene la distanza di sicurezza, mentre aspetta una mia risposta, che arriva solo con un'alzata di spalle, che quasi segna la sconfitta.
"Stai a scherzà" La sua è un'affermazione, non una domanda. Affermazione di chi ci crede, ma non vorrebbe. E allora metto fine al gioco, sia perché non dobbiamo giocare troppo con il destino, visto che ancora non so come andrà a finire, sia perché inizia a dispiacermi vederlo così confuso.
"Si sto a scherzà" Lo prendo in giro, imitando il suo accento. E tra un sospiro di sollievo e una mezza risata, con tono quasi incazzato mi dice: "Ma vaffancuno va", mentre si passa una mano sul viso e poi tra i capelli, come fa solitamente per scaricare la tensione.Mi dà le spalle e allora, con una corsetta molto traballante a causa dei tacchi, lo raggiungo, cingendogli la vita da dietro e poggiando il viso sulla sua spalla.
"Michele Bravi non ha votato, quindi il giudizio è rimandato alla prossima settimana. Se ti va bene mi devi sopportare solo per questa e poi basta" Sento le sue mani sulle mie, che sono legate tra di loro mentre lo abbraccio. Le scioglie e si volta verso di me, guardandomi negli occhi.
"Quello è il caso in cui mi andasse male, nuvolè, e speriamo non sia così. Non me ne voglia Angela" Io sgrano gli occhi, perché anche se ero sul punto di addormentarmi, l'altro giorno, l'avevo già sentito il modo in cui mi aveva chiamato, ma pensavo di averlo sognato. E invece ora mi rendo conto che è vero. E che non so se è un caso o meno, se è qualcosa che ha detto così tanto per dire, ma che mi piace, mi piace tantissimo essere chiamata così da lui.
Le sue dita giocherellano con la treccina che mi scende sul viso. L'altra mano è incollata alla mia, senza nessuna intenzione di lasciarla. E per un attimo mi chiedo se stia per succedere qualcosa, mentre i suoi occhi mi scrutano il viso, per poi fermarsi sulle mie labbra. Il cuore sbatte contro il mio petto, pronto a rompersi in mille pezzi.
E proprio mentre penso che potrebbe farlo, avvicinarsi e azzerare le distanze, la porta si spalanca e le aumentiamo, le distanze, facendo entrambi un passo indietro.
"Ragazzi venite di là, mancate solo voi" Il modo in cui lo dice mi dà fastidio. È come se l'avesse fatto apposta, venirci a cercare e interromperci. Infatti, in sottofondo: "Cazzo, Auro, ti avevo detto di lasciarli stare". Mari arriva dietro di lei, l'espressione incazzata e uno sbuffo tra le labbra. Si volta verso di me, dispiaciuta, mentre la ballerina appena arrivata posa lo sguardo sul ragazzo a pochi passi da me, mordendosi le labbra. Lui guarda in basso, mentre con il piede calcia qualcosa che nemmeno esiste. Forse tutte le illusioni che mi stavo facendo fino a due secondi fa.
"Dai, volevamo giocare a lupus in fabula e sono venuta a chiamarvi" La voce squillante che mi dà sui nervi, le ciglia piene di mascara che sbattono sugli occhi. Se non volessi provare sempre a vedere il buono nelle persone, penserei che è venuta a cercarci con qualche scopo ben preciso. Perché l'ho visto come guarda Holden ogni volta che le passa accanto, il modo che ha mentre gli parla, la sicurezza di poter piacere a tutti schioccando le dita.
Cosa che io non ho e non avrò mai. Perché sono mille i casini che faccio quando provo qualcosa per qualcuno. E mi nascondo da me stessa, solo per non mettermi davanti alla realtà e buttarmi in qualcosa, che magari mi farà male. Quindi aspetto, sto ferma e aspetto una risposta. E mi accontento degli sguardi e delle piccole considerazioni. Ogni volta mi accontento del nulla.
"Non ho voglia, scusatemi" Sorpasso Aurora, mentre Marisol prova a fermarmi, una mano attorno al mio braccio che scivola via appena scuoto la testa. Lo sa, è un silenzioso "voglio stare sola". In sottofondo, mentre varco la porta della stanza verde Aurora rifà la domanda a lui. Ma non sento la risposta.
.....
Holden
La mia gamba non ha intenzione di smettere di muoversi su e giù. Ormai vive di vita propria.
"Stai fermo, Jo" Marisol appoggia una mano sul mio ginocchio, provando a calmarmi. Lil ha appena finito di cantare, quando Maria chiama Sarah. Si alza e prova a sistemarsi l'auricolare nell'orecchio, mentre Lorella parla di lei e del suo percorso. Non l'ascolto più di tanto, troppo distratto e preoccupato. Sarah guarda la sua prof con gli occhi che man mano diventano lucidi. L'unica persona che ha creduto in lei sin dall'inizio e che l'ha sostenuta per tutto il percorso.
Poi Maria manda la base. E niente nella mia testa ha più senso. Le parole dalla sua bocca escono fluide, senza costrizioni. Non c'è più il pubblico, non c'è più Mari che mi dice di calmarmi, né tutti gli altri. Resto solo io, immobile, ad osservarla. Perché il modo in cui canta è indelebile. Me lo tatuo sulla pelle.
"Per poterti sfiorare non so cosa darei" Con il dorso della mano sfiora il suo viso, ma i suoi occhi guardano in alto. Guardano me. E la sento, più di prima, più ogni altra volta che siamo stati assieme, quella connessione tra noi due. L'ho sempre voluta ignorare ma non è facile. Non più. Perché Sarah è ovunque. Nel caffè che la mattina accompagno con i suoi biscotti preferiti, prendendomi i suoi rimproveri. Nelle canzoni che ogni volta che ritorno in casetta sento provenire dalla sua stanza e che ora sto iniziando anche io a imparare. È nel giardino sul retro, seduta sulla poltroncina con il computer sulle gambe e le cuffie nelle orecchie oppure a due centimetri da me, i miei occhi puntati sulle sue labbra e le sue mani nelle mie.
Rivedo quel momento di una settimana prima anche adesso, mentre canta. Vivido, senza voglia di andare via. Pervade i miei giorni e le mie notti, i miei momenti in studio e a lezione.
Ogni parte di me sa cosa è giusto e cosa non lo è. E in quel momento quello era giusto, più che giusto. In quel momento era perfetto. Ma le cose perfette non sono mai esistite, soprattutto con me. Con me che creo sempre casini e mi incazzo in un secondo. Quindi, anche se prima quello era giusto, ora è diventato sbagliato. Perché lei è giusta per me, ma io sono sbagliato per lei.
Anche io per poterti sfiorare non so cosa darei...
STAI LEGGENDO
Ossidiana \\ Holdarah
Hayran KurguMa se vuoi, ora ti porto a casa Un bacio sa di marijuana Addosso solo una collana Fuori è buio come l'ossidiana