Capitolo 7

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Sarah

Mew e Matthew hanno lasciato la scuola. La mia compagna di squadra era da un po' di tempo che non stava più bene. Lo avevamo notato tutti: non mangiava, stava ore e ore coricata, non era più lei.

Matthew ha deciso di seguirla. Anche lui ultimamente non si trovava più bene qui, a causa delle critiche ricevute da Rudy, che lo avevano portato anche a cambiare squadra. Perciò non ci ha pensato due volte a fare i bagagli e seguire la ragazza.

Da quando li abbiamo salutati in casetta è calato il silenzio. Nessuno parla, ognuno fa le cose per conto proprio. I due fidanzati erano un punto fondamentale per molti: Lil, Gaia, Mida e Holden sono quelli che ne stanno soffrendo di più. Se tre di loro riescono ad esprimere il loro dolore anche piangendo, come sta facendo Angela tra le braccia di Dustin, Holden si è totalmente isolato da quando i cantanti hanno chiuso la porta della casetta. L'ho visto recuperare il computer e le cuffie e dirigersi verso il giardino posteriore. Nessuno lo è andato a cercare.

Io però non riesco a pensarlo solo di là. Vorrei almeno andare a vedere se è tutto apposto.

Decido perciò di raggiungerlo. Arrivata nella stanza verde incontro Simone, che viene dalla direzione opposta.

"Come sta?" Gli chiedo, sapendo che lui è uno dei pochi con cui Jo si confida.

"Mi ha detto che va tutto bene ma lo sappiamo che non è così" Sospira rassegnato, passandosi una mano tra il ciuffo biondo. Annuisco e lo sorpasso, dirigendomi verso l'esterno.

Quando apro la porta non mi vede subito. Ha gli occhi posati sul computer, lo cuffie alle orecchie. Senza fare troppo rumore mi metto a sedere sul divanetto accanto.

"Non voglio parlare, Sarah" Sussurra, lo sguardo sempre basso sul computer. Il tono di voce, però, non è quello di sempre. È basso, tremolante. Non riesco a vedere i suoi occhi, coperti dai capelli, ma potrei giurare che sono lucidi.

"Non sono qui per parlare" Gli dico, aprendo anche io il mio computer, che ho recuperato prima dalla mia stanza. Poi aggiungo: "Quando ti andrà, posso ascoltare però".

Per un attimo lo vedo sollevare gli occhi nella mia direzione ed annuire. Poi ritorna a scrivere. E lo stesso faccio io. Passiamo circa un'ora così. Ognuno concentrato sul proprio lavoro. Io, ogni tanto, di sottecchi lo guardo, cercando di captare ogni sua emozione. Niente traspare, però. Una o due volte alza gli occhi anche lui e mi becca a fissarlo. Allora torno subito a lavoro, continuando a leggere i testi dei pezzi assegnati.

"Sto bene, sono solo dispiaciuto" Confessa ad un certo punto. Ma non gli credo. So che con Mew si erano trovati non solo per la musica, ma anche perché riuscivano a parlare d'altro. Loro due si capivano. Era come se avessero qualcosa che li accomunasse, qualcosa che li rendesse simili. Mew capiva che qualcosa non andava in lui, quando tornava dalle lezioni e si chiudeva in bagno per ore. Lo capiva perché lo stesso capitava a lei.

"So che non posso capirti come lei, ma posso provarci" I miei occhi sono incastrati nei suoi quando gli dico: "Voglio provarci". Perché è così. Molti lo ritengono complicato, pensano che non voglia aprirsi con nessuno. Ma io lo vedo che ogni tanto sente il bisogno di sfogarsi e, se non riesce a trovare Simone o Kumo perché sono a lezione, va in camera e non ne esce fino a sera. Prima di Natale, qualche volta, ho pensato di avvicinarmi, credevo però che con me non avrebbe parlato. Ora la situazione è diversa, in un certo senso noi siamo diversi. Sento che, malgrado certe cose siano sfuggite al nostro controllo, siamo più vicini di prima. 

"Non voglio che ti preoccupi per i miei casini, hai già i tuoi a cui pensare" Mi dice, alludendo a tutti i problemi con la Pettinelli. Questa settimana mi è già arrivato un altro compito. Nemmeno il tempo di ristabilirci dopo le vacanze di Natale che è tornata alla carica.

"Posso gestire più di quanto pensi, Jo. Posso sembrare piccola, ma fidati, non mi faccio spaventare dai tuoi casini" Sono sempre stata abituata a gestire tutto da sola. Se avevo un problema, me lo risolvevo io, senza chiedere l'aiuto di nessuno. Le mie amiche si sono sempre confidate con me, io mai. Credo di capire il perché non voglia parlare a volte, il motivo potrebbe essere uguale al mio. Non ho mai voluto gravare sugli altri, non volevo dipendere da nessuno, non volevo che qualcuno si preoccupasse per me. E lo stesso credo sia per lui.

Dopo questa mia frase fa qualcosa che non mi aspettavo facesse. Chiude il computer, poggiandolo sul tavolinetto e apre le braccia. "Vie' qua, Sarè"

Non me lo faccio ripetere due volte e corro ad abbracciarlo. È inaspettato ma bello. "Non sei piccola, sei più matura di molti qua dentro" Mi dice, la testa poggiata sulla mia spalla. Poi sussurra un grazie e istintivamente lo stringo ancora di più.

È Gaia che ci costringe a sciogliere l'abbraccio. La ballerina apre la porta e ci chiede se abbiamo fame. Si blocca a metà frase, quando io mi stacco da Holden, sobbalzando. La vedo che ride sotto i baffi, ma non dice nulla, ripete solo la sua domanda.

"Si in caso ora arriviamo" Risponde Jo. Io guardo Gaia e annuisco.
"Andiamo?" Gli chiedo, una volta rimasti di nuovo soli.
"Tu vai se vuoi, io non ho fame" Un brontolio di pancia però lo tradisce. Non è che non ha fame, solo non vuole andare a mangiare con tutti gli altri che gli chiederanno se sta bene.

Gli dico allora di aspettarmi lì. "Non è che ho molti posti in cui andare" Replica lui. Io però sono già dentro casa diretta in cucina. Quando noto cosa ha cucinato Martina quasi mi metto a ridere.

Proprio quello che gli serve per stare meglio...
Recupero due piatti di pasta all'amatriciana e torno nel giardinetto, attenta a non fare cadere nulla.

"Jooo guarda cosa ha preparato Martii" Annuncio, con un po' troppa enfasi, tentando di aprire la porta con il gomito.

Lui si alza per aiutarmi e quando vede il contenuto del piatto gli si illuminano gli occhi.

"Nella vita punto a trovare qualcuno che mi guardi come tu guardi l'amatriciana" Ride e mi sembra stia meglio.

Ossidiana \\  HoldarahDove le storie prendono vita. Scoprilo ora