Feeling

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Il mio cellulare prese a squillare vibrandomi in tasca. Mi allontanai immediatamente; così fece Luke, alzando la testa verso il soffitto, e io cercai di afferare il mio cellulare dalla tasca del jeans. Dopo vari tentativi riuscii ad aprire la chiamata e in grande imbarazzo risposi. Era mia madre.
Era molto agitata e mi chiese dov' ero. Non capivo perché mia madre fosse già arrivata a casa, e dovetti inventarmi la scusa che ero a casa di una mia amica di scuola perché mi aveva invitata a pranzo. Ovviamente lei si arrabbió molto perché non l'avevo avvisata, e non mi credette neanche un po. Ero sempre stata una pessima bugiarda, e mia mamma cominciò ad urlare tanto che anche Luke la sentì e mi guardó preoccupato e confuso.
C'era qualcosa che non andava, di solito non si arrabbiava così per una cosa del genere. -Va tutto bene? Che hai?- le chiesi a bassa voce ma tutto quello che mi dusse fu :-Torna subito a casa, Sophie. Immediatamente. - e poi chiuse la chiamata. Rimasi esterrefatta dell'atteggiamento di mia mamma e cominciai a preoccuparmi seriamente. Sobbalzai quando sentii le mani di Luke cingermi i fianchi da dietro.
-Tutto ok?- mi chiese. Mi allontanai di scatto e gli dissi semplicemente: -devo tornare a casa. -
-Adesso?- domandò lui alzando le sopracciglia, come se fosse ovvio che avessi dovuto restare lì per tutto il pomeriggio.
-Sì, adesso!- risposi scocciata inarcando le sopracciglia a mia volta, e mi avviai verso la porta che fortunatamente non era chiusa a chiave, per uscire di casa. Luke mi seguii, e dopo che io gli dissi dove abitavo mi accompagnò a casa.

Come entrai in casa mi accorsi di un'atmosfera tesa che aleggiava in cucina, l'unica stanza illuminata della casa, dove mia madre mi aspettava seduta al tavolo con una bottiglia di birra in mano. Lasciai cadere lo zaino di scuola all'ingresso e mi diressi lentamente in cucina, fermandomi sull' uscio. Mia madre sembrava sconvolta, era struccata e trasandata, e lì per lì pensai che le era successo qualcosa di grave.
Ma presto scoprii che non era a lei che era successo qualcosa di grave.
Non cercò neppure di essere fine, di avere un po di tatto, forse non era neanche del tutto sobria. Me lo disse e basta, senza guardarmi negli occhi.
-Tuo padre... Tuo padre è morto-
Per poco non ebbi uno svenimento. Sbiancai di colpo e sentii pizzicararmi gli occhi, ancora prima che mia madre mi dicesse quello che fu davvero uno shock per me: -La polizia l'ha trovato morto con 100 milligrammi di cocaina in corpo. È morto per overdose, hanno trovato un sacco di droga nella sua macchina.-
Non era possibile. Era una cosa.... impossibile.
Mio padre era morto.
E si drogava.
Non potevo crederci. E a quel punto non riuscivo più a stare in quella stanza, davanti a quella donna apatica e mezza ubriaca che era mia madre. Cominciai ad indietreggiare e poi scappai fuori di casa, con lei che mi urlava dietro qualcosa di incomprensibile. Ma io non l'ascoltai.
Cominciai a vagare per la città senza sapere che fare e dove andare. Mi fermai in un pub con l'intenzione di bere. Bere fino a dimenticare tutto, a dimenticare la mia schifosa vita e affogare nell' alcool. Presi un paio di bicchieri di quanto più forte riuscii a trovare, ma quella sera non riuscii neanche ad ubriacarmi come avrei voluto. Il sapore della bevanda alcolica mi scivolò giù per la gola e mi fece venire la nausea. Allora decisi di chiamare Marie, ma cercando il cellulare nelle tasche mi resi conto che l'avevo lasciato a casa. Uscii dal bar, e c'era un unico posto in cui potevo andare.

Ero seduta sul muretto della piazzetta a qualche centinaio di metri da casa, rannicchiata con le gambe unite al mio petto e la testa affondata tra le ginocchia. Il cielo era scuro ed ero lì da più di un'ora ormai, ma non m'importava. In fondo non sapevo neppure bene che ore erano, credevo fossero le quattro e mezza circa, ma anche fossero state le sette di sera non importava. Non volevo tornare a casa, era l'unico posto in cui non volevo stare. Che poi non potevo neppure chiamarla casa, quell'abitazione dalle pareti scure e piena di cose senza alcun valore che mi avrebbero ricordato quanto fuori posto io fossi nella mia stessa vita. Mai come in quel momento mi ero resa consapevole di ciò: non avevo neppure veri amici, non avevo persone di cui fidarmi o con cui poter essere davvero me stessa, non avevo una madre che mi capisse e che mi volesse bene. Non avevo un posto che mi appartenesse. E non avevo più neppure un padre.
Non avevo pianto, quel pomeriggio. Avevo sentito del fatto che per alcuni shock il cervello impiegava un po prima di realizzare effettivamente l'accaduto. Ma sapevo che le lacrime non sarebbero arrivate. Non capivo per quale motivo facessero così fatica ad inondarmi gli occhi.
Ero semplicemente lí, da sola, seduta in quel posto grigio in mezzo ad una città grigia e piovosa. Non mi mossi per altro lungo tempo. Neppure quando sentii la pioggia cadermi addosso e bagnarmi fino al midollo, come se il cielo avesse deciso di piangere per me, al posto mio.
Rimasi ancora lì. Anche quando sentii qualcuno sedersi accanto a me e un braccio stringersi attorno al mio corpo infreddolito.
Jeans stretti e neri. Dita lunghe e affusolate. Scarpe nere, odore di fumo. Luke, pensai, e non sapevo neanche perché avevo sperato fosse lui.
Perché quando alzai lo sguardo, quasi come un automa, non vidi Luke e i suoi profondi occhi azzurri. Vidi due occhi chiari, quasi verdi, ma non esattamente, e una testa riccia e disordinata. Ancora lui. Ash.
Era diventata un'abitudine ormai che lui mi consolasse ogni volta. E non era nemmeno mio amico. Eppure si stava comportando come molto più di un amico, e la sua compagnia era più piacevole e presente di quella di Marie, o Alicia, che in teoria dovevano essere le mie amiche. Marie non si era ancora fatta sentire dal giorno dopo la festa.
Cavolo che amica. Forse la distanza ci stava distruggendo. Stava distruggendo la nostra amicizia.
-Vuoi una sigaretta?- mi chiese Ash. Il sentire la sua voce dopo tanto silenzio fece come risvegliare le mie orecchie e il mio cervello. Aveva smesso di piovere. Il cielo si stava schiarendo e un spiraglio di luce filtrava tra le nuvole.
Guardai Ash davanti a me e non so perché annuii. Cacciò una sigaretta e me la offrì, e io impacciatamente l' accesi. Non avevo mai fumato in vita mia, ma l'odore del fumo non mi dava particolarmente fastidio, dato che ero cresciuta con entrambi i genitori fumatori.
Di nuovo pensai a Luke, e a quante volte lo avevo visto fumare da quando lo conoscevo. Molte.
Misi la sigaretta in bocca e aspirai quanto più fumo mi entrò nei polmoni, per poi espirarlo lentamente. Era rilassante, scoprii, quel movimento.
-Ho sentito al tg che... è morto- disse Ash. E non disse neanche chi. Era carino, pensai.
Né come. Lo dissi io.
-Di overdose- sputai sprezzante. Mio padre era un drogato, già. E non ce ne eravamo mai accorte.
O forse mia madre lo sapeva? Quel pensiero, dapprima assurdo e scioccante, mi balenó in testa di colpo, ma poi pensai che non sarebbe stato così improbabile che mia madre sapesse tutto e non se ne era fregata. Né si era curata di fare qualcosa o di parlarmene.
Ash disse solo -capita spesso- e io un -non m'importa-.
Poi non disse più niente, e lo ringraziai mentalmente perché non avevo voglia di parlare ancora. Forse ero davvero cinica, in quel momento; non lo ero mai stata. Ero molto sensibile come persona. Mi rendevo conto di quanto menefreghista potevo sembrare in quel momento, ma mio padre non si meritava la mia sofferenza.
Perché in fondo, quell'uomo che era morto non era davvero mio padre. No, non poteva esserlo. Io non ero la figlia di un drogato. Quindi in realtà era lo stesso. E poi a chi importava? Se fossi stata male, se avessi pianto, se mi fossi disperata e se avessi pregato quello stupido Dio che mio padre tornasse, a chi avrebbe importato? A mia madre no di certo. A mio padre, nemmeno, era morto, e non credevo affatto a tutte quelle cavolate che la gente quando muore ti veglia e ti vede dal cielo. E a me, men che meno.
Finii in poco tempo la mia sigaretta. Ne chiesi subito un'altra ad Ash e mi misi a riempirmi i polmoni di fumo.
Tossico. Grigio e evanescente. Come la mia anima.

Il giorno dopo pensai di non andare a scuola, ma mia madre mi constrinse così indossai un jeans strappato e la stessa felpa rossa pesante indossata il giorno prima ed uscii, senza curarmi di truccarmi, fare colazione o prepararmi lo zaino.
Mi ficcai le cuffiette nelle orecchie e mi avviai alla fermata dell'autobus sulle note malinconiche di Demons, ma una macchina grigia mi tagliò la strada.
Alzai la testa spaventata. Alla guida c'era Luke. Mi tolsi le cuffiette e lo vidi sorridere.
-Hey, Soph- disse. Sapeva anche lui della morte di mio padre e stava cercando di essere carino? Il pensiero mi fece arrossire, nonostante tutto. -Sali, ti accompagno a scuola.- aggiunse. Non sapevo se accettare, ma decisi di salire. Non avevo voglia di stare da sola a rimuginare su quanto successo il giorno prima. Luke accese la radio su un canale che stava trasmettendo Hold back the river, di James Bay.
Poteva andare, non era particolarmente triste. Parcheggió ad alcuni isolati dalla scuola, e quando feci per scendere, mi accorsi che la portiera era chiusa. Oh, no.
Mi girai verso Luke che stava fumando col finestrino abbassato.
-Smettila di fumare. Fumi sempre.- dissi a mezza voce, senza riflettere. Lui si voltò a guardarmi, come per capire se stavo effettivamente parlando con lui.
-Da quando mi dici cosa fare, bimba?- mi rispose, ma buttò comunque fuori dalla macchina la sigaretta.
-Stavo solo dicendo che... potresti fare qualcos'altro- dissi.
-Ah, sì? E che dovrei fare?- disse con il suo adorabile mezzo sorriso.
-anzi, io un'idea ce l'avrei-
E ancor prima che mi rendessi conto, mi afferrò per i fianchi e mi spostò sulle sue gambe. Arrosii violentemente. -Cosa- cosa stai facendo? - balbettai.
Perché mi faceva quell' effetto la vicinanza con lui? Arrossivo e non riuscivo a parlare decentemente.
-Faccio qualcos'altro- rispose citando le mie parole di poco prima e spostandomi i capelli dalla spalla sinistra. -B-bhe non intendevo questo...- cercai di distanziarmi ma nel minuscolo spazio tra lui e il volante della macchina non era possibile.
Luke cominciò a lasciare piccoli baci sul mio collo. Abbassai la testa, a disagio, cercando di nascondere il collo dietro i capelli ma lui ne approfittó e si fiondó sulle mie labbra, premendo una mano sulla mia schiena. Cercai di oppormi, ma abbandonai subito ogni speranza di riuscirci. Luke cominciò a muovere lentamente le sue labbra sulle mie, e quando esse si dischiusero, entrò con lingua.
Fui attraversata da fortissimi brividi, e pervasa da una strana sensazione di piacere. In qualche modo quel bacio mi stava piacendo, e mi lasciai andare premendo le mie labbra sulle sue e avvicinandomi di più. Non avevo mai provato una cosa del genere, uno strano farfallio nello stomaco e un improvviso scatenarsi di un' emozione sconosciuta dalla pancia.
Lo sentii sorridere contro le mie labbra, dopodiché si staccò bruscamente, producendo un sonoro schiocco tra le nostre labbra. Rimasi senza fiato, letteralmente. Cercai di riprendermi, sotto lo sguardo compiaciuto di Luke. Quando mi resi conto di essere ancora a cavalcioni sulle sue gambe spezzai quell' imbarazzante atmosfera dicendo, tra un respiro e l'altro: -sappi che dopo questo, non ho alcuna intenzione di scontare la tua stupida punizione.-
Lui rise; aprí la portiera e scese dalla macchina facendomi scivolare con facilità sul sedile. Poi mi afferrò la mano e mi trascinò fuori facendomi volare verso di lui. -L'hai appena fatto- mi disse, lasciandomi pietrificata.
Sì, l'avevo fatto. Avevo appena dato il mio primo bacio, a Luke Hemmings.

Cure || Luke HemmingsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora