Charles
Ci sono cose a cui non si può sfuggire, ed è, a volte meglio affrontarle che tirarsi indietro... Almeno, io la penso così.
Ogni notte combatto contro una forza invisibile per sbloccarmi dalla paralisi causata da non so cosa, forse la mancanza di qualcuno, so semplicemente che ciò mi distrugge, mentalmente e fisicamente, chi mi sta intorno lo nota sempre più.
Decido di uscire dalle camerate per prepararmi a una nuova giornata, non che cambi molto dal solito, prendo il mio solito caffè amaro per evitare di addormentarmi successivamente e ricadere nel loop della paralisi, lo sapevano in pochi, ma tutti si accorgevano che ci fosse qualcosa di anormale, ti guardano come se sapessero tutti come stai e come passerai oggi la giornata, scrutano le tue sensazioni, i tuoi movimenti come se gli importasse davvero che tipo di persona potessi mai essere, mi sento in soggezione continua, vorrei non aver mai aperto quella dannata porta un quarto d'ora fa, continuo a sorseggiare il caffè lentamente come a non voler mai che finisca, quando poi mi accorgo che in realtà ne rimaneva semplicemente la scolatura marroncina della quale nessuno dava mai molta importanza.
Alzo lo sguardo e ruoto gli occhi ai lati solo per dare una leggera occhiata, non do troppo nell'occhio, torno a guardare il bancone nero marmorizzato, ci passo le dita per sentire ancora una volta il tocco di quel materiale sulle mie dita, alzo di poco lo sguardo, uno scaffale di legno dove riporre le tazze e il resto degli oggetti quali piatti o posate per i semplici pasti della giornata.
Normalmente, in quella locanda risiedeva un po' di tutto, era come una grande cucina per l'organizzazione.
Poggiai la tazza sul lungo bancone lasciando una sbavatura liquida su di esso per averci appoggiato l'oggetto di ceramica leggermente umido.
Do l'ultimo sguardo a chi mi stava osservando precedentemente, intorno a loro cala un'atmosfera cupa, sogghignano e parlano come se niente fosse, "che fastidio".
Se ne stanno tutti in disparte a giudicare, fissano le righe nere che mi ritrovo di tanto in tanto sotto i miei occhi, senza sapere che ho queste occhiaie perché di notte in notte scavo nel mio passato come un archeologo per capire quando mi possa essere spezzato e adesso ritrovarmi ad essere solo un cumulo di macerie e cenere.
Esco senza fiatare dalla stanza dove la tensione si era fatta abbastanza da far mancare il respiro e a testa bassa mi dirigo verso l'esterno, ho bisogno di respirare.
Cammino veloce senza mai fermarmi, sbatto, una, due, tre volte, non guardo nemmeno contro chi sono andato a finire, il bisogno d'aria si fa sempre più insistente, arrivo alla porta d'ingresso, spingo verso il basso la maniglia che avevo afferrato tra le dita, era una porta mal ridotta, costruita su legno d'abete e dipinta qualche volta per farla sembrare il meno mal messa possibile, nonostante la vernice con gli anni andava consumandosi e li ci voleva una seconda mano, ma alla fine non si aveva mai il tempo per farlo. La maniglia è abbastanza lunga e poco spessa, era un dettaglio che dava un tocco più moderno al covo tramite la sua forma rettangolare e affusolata, decisi di tirare verso di me la porta e uscii all'esterno, sentii il sole del primo mattino colpirmi le tempie e riscaldarmi con il suo bagliore giallo arancio, una sensazione di puro piacere, inspirai ed espirai profondamente più volte in cerca d'aria che subito sentii entrare nei polmoni facendoli subito riempire e poi svuotarsi di continuo.
Poggiai la schiena contro la parete che ospitava il palazzo dalla quale uscì e piano si lasciò scivolare lentamente fino a poggiarsi completamente a terra e spalle al muro.
Passai lì da solo una bella mezz'ora prima di veder comparire alla mia vista due figure alte e snelle dai capelli scuri, passeggiavano tranquillamente verso di me senza nessuno che li turbasse, tornavano al covo i fratelli Akuta.
Non ci misero molto a notarmi, il primo fu subito Ryūga che sorpreso di vedermi richiama all'attenzione sua sorella Genever e insieme si avvicinarono a me.
<Charles!> esclamò il ragazzo sorpreso <Ryū, Gin, buongiorno anche a voi> la ragazza che finora stette in un silenzio tombale aprì finalmente bocca <g-giorno> balbettò coprendosi il petto con le sue stesse mani, è a disagio; <stai bene?> chiese subito il primo dei due fratelli senza mai distogliere lo sguardo dai miei occhi, li abbassai di forza, odio essere fissato in quel modo, quel modo che vuole solo auspicare un ascolto, ma con lui è diverso. <Sto bene Ryūga> risposi d'impatto freddo, non se la bevve, fece cenno a Genever di rientrare e rimanemmo da soli. <Non è vero -sussurrò, quasi come a volere una conferma di ciò che stava dicendo- è successo qualcosa dentro, ne sono sicuro> il moro diede una veloce occhiata alla porta rimasta socchiusa dall'ingresso di Gin.
Rimasi in silenzio, questo bastò ad Akuta per far posare sul suo sguardo un risolino compiaciuto e abbassando una mano me la porse davanti per aiutarmi e potermi poi rialzare, la afferrai volentieri e mi alzai di forza rientrando col viso basso nel covo proprio allo stesso modo in cui ne ero uscito.
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You made me hate this city
Fantasy⚠ TW ⚠ In questo libro saranno presenti argomenti come: mafia, dipendenze, disturbi psichici vari, armi, violenza, suicid!o e morte. Dopo essere stati sottoposti a degli esperimenti genetici un gruppo di ragazzi tra cui il giovane Charles si trova...