8 - Il turbinio che una voce può creare

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Jades

<Perché fumi?> la domanda mi rimbomba nella testa, la sua voce a ripetizione come un'incudine col suo scalpello. Ci eravamo appena conosciuti eppure già poneva una domanda tanto riservata.

Charles Norton, un tipo strano, acuto e astuto.

Certo di sicuro ciò che ha fatto, puntare un coltello alla gola di un'altra persona senza nemmeno sapere chi fosse non rientra nei canoni della normalità. Ma forse, in vita mia, quante volte mi potrebbe capitare di incontrare persone del genere?

Penso nessun'altra. Perciò è meglio togliersi un peso a vuoto.

<ho un fratello> bisbigliai

<è stato lui a indurti a fumare? fuma anche lui?>

lo sento impicciarsi su una questione che non conosce, ma ormai è forse tardi per tirarsi indietro. Svapai guardando il panorama, le luci dei lampioni si erano automaticamente accese prendendo il posto della luce naturale del sole.

<Lui porta la sigaretta alla bocca senza mai accenderla, soprattutto quando è felice.>

provò a interrompermi ma continuai col mio monologo <A lui piace tenere la cosa che potrebbe ucciderlo tra le labbra senza però darne mai, o quasi, la possibilità di farlo>

Il ragazzo affianco a me calò la testa prestando i suoi occhi a quella meraviglia di panorama <questo è ciò che distingue lui e te>.

<Non hai ancora risposto alla mia domanda Jades; perché fumi?> mi guardò questa volta, aveva uno sguardo duro, come se fosse solo un padre che vuole proteggere il proprio figlio dai problemi del mondo. Peccato che il nostro era un incontro che non avrebbe fruttato, un incontro casuale, in un giorno casuale, in un luogo casuale.

<Sai, a volte gli esseri umani soffocano il dolore con altro dolore, solo per poter non pensare a quello precedente, un dolore nuovo quasi invisibile, che li uccide all'interno più del primo male, e così diventa un circolo vizioso, un giro, un loop infinito di ripetizioni.

Metti la sigaretta in bocca, prendi l'accendino e inizi ad aspirare, è un ciclo. Non scompare dal nulla...>

Si sente il rumore di una porta che sbatte chiudendosi, interrompo il mio discorso capendo ci fosse qualcuno oltre a noi, il vento soffia e scombina i capelli della figura alta che stava alle nostre spalle, ci girammo, poi il ragazzo dietro continuò il discorso, cosciente di aver ascoltato come minimo una parte generale del discorso.

<Ma la verità è che non si può abbattere un male con un altro, è una legge, e più si cerca di girarci attorno più si finisce nel baratro.>

Riconobbi la voce e nonostante il volto stesse nella penombra riuscì così a capire di chi si trattasse, David Omi, un mio caro amico nonché collega.

Ha sempre avuto una voce abbastanza cupa da far tuonare una stanza col suo stesso eco.

Aprì leggermente la bocca a voler presentare i due, ma David mi interruppe <gli altri aspettano te, Jades, entra in casa, io ti raggiungo.> Salutai Charles come se fosse un incontro qualunque ed entrai senza esalare respiro.

You made me hate this cityDove le storie prendono vita. Scoprilo ora