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🎀🩷

MADISON

Torno a casa con una pesantezza al petto incredibile.
Ho seriamente ucciso qualcuno?
Sì, l'ho fatto e mi sento davvero uno schifo.

Continuo a camminare avanti e indietro per la stanza e ad un certo punto mi volto di scatto per via di un rumore proveniente dalla finestra.
«Santo cielo, Blake!» esclamo.
Lui mi fa segno di calmarmi e io premo il palmo della mia mano destra sulla mia fronte e continuo a camminare nervosamente.
Scuoto il capo e faccio qualche respiro profondo.
«Perché sei qui?» chiedo dopo un po'.

Lui si siede sul mio letto e sospira.
«Ho pensato non volessi stare sola dopo...ehm insomma dopo l'accaduto».
Mi siedo accanto a lui e noto che sta tremando più di me.
Gli afferro il pugno stretto destro tremante e lo chiudo tra le mie mani.
«A me sembra che qua l'unico ad avere bisogno di compagnia sia tu» sussurro.
Noto il suo corpo irrigidirsi.
«Blake, andrà tutto bene» lo rassicuro.
Andra tutto bene? Per me non lo so, per lui penso di sì.

«Come fai a dirlo? Abbiamo appena ucciso un uomo dall'aria innocente» dice lui.
Mi viene nuovamente la nausea, ma non gli mostrerò la mia debolezza.
«Tu non hai ucciso nessuno, Blake. L'ho ucciso io».
Ma è proprio quando lui sta per dire qualcosa che una figura all'esterno posa una lettera sulla finestra.
La figura non si vede in faccia ed è completamente vestita di nero. Mi alzo di scatto, ma quando arrivo ad aprire la finestra la persona è già sparita.
Prendo la lettera e mi siedo nuovamente accanto a Blake, poi leggo a voce alta quello riportato.

 Cara Madison,

Ci siamo liberati del corpo, non dovrai preoccuparti.
Per questo hai guadagnato la nostra fiducia.
Ma non è tutto perché hai deciso di coinvolgere una persona, e te l'avevamo severamente vietato, perciò avrai la tua punizione.
Domani all'una e mezza di notte in punto alla vecchia biblioteca abbandonata della città.

 «Madison non andare» mi anticipa lui.

Scuoto il capo.
«Devo andare» dico.
Lui scuote il capo.
«Ti credevo più intelligente, Carotina. Ti faranno del male».
Io credevo più intelligente te, coglione. Se non vado sarà ancora peggio.
Evito di dirgli così e provo a pensare ad un'altra risposta .
«Io ci andrò. Ora, invece, tu puoi pure andare a casa a dormire, io sto bene».
Lui scrolla le spalle, e quando sta per andarsene si volta e mi guarda.
«Madison, per qualsiasi cosa puoi chiamarmi».
Annuisco e lui va via.

 La sera dopo mi preparo per andare.

Mi metto dei pantaloni in pelle rossi, delle Converse nere, una canotta dello stesso colore delle scarpe e un giubbotto in pelle dello stesso colore dei pantaloni.
Chiudo a chiave la camera e afferro la pistola che mi è stata mandata.
La porterò in caso d'emergenza.
Esco dalla finestra, poi proseguo lungo il vialetto di casa mia e solo lì realizzo di non avere un mezzo con cui andare.
Mi guardo intorno.

«Mi sembra l'unica soluzione» sussurro.
Vado verso la vecchia moto del mio vicino di casa.
Gliela riporterò tra poco, integra, credo.
In effetti non ho la patente nemmeno per la moto, ma non fa nulla, l'ho già guidata qualche volta e non sono così male.

Salgo sulla moto nera e parto.
Arrivo davanti alla piccola biblioteca abbandonata.
I muri sono di pietra, ormai ingiallita, e alcuni rampicanti impediscono la completa visione della struttura.
Percorro il piccolo sentiero, poi mi trovo davanti alla grande porta il legno vecchio e marcio.
Faccio un respiro profondo e la spalanco lentamente.
La porta emette un cigolio che mi fa rabbrividire.
I vecchi scaffali di legno marcio sono ancora pieni di vecchi libri impolverati.
Ci sono diverse scrivanie e qualche candela.

 Ad un certo punto noto una figura.

La persona è completamente vestita di nero e si trova di spalle, davanti a una finestra in ferro battuto.
La luce lunare mi permette di vedere tutta la polvere presente sulle varie superfici.
Quando si gira mi manca un battito.
L'aria comincia a farsi soffocante e una strana sensazione mi stringe lo stomaco.

«Madison» la sua voce roca e graffiata mi arriva come un pugnale al cuore.
Trasalisco e una nausea improvvisa mi travolge.
La stanza intorno a me comincia a girare.
Ho bisogno di sedermi e bere un po' d'acqua.

«Amir» sussurro, non dando a notare la mia incredulità.
Il suo nome esce quasi in automatico.
«Esatto, Madison».
Tutto i sentimenti provati fino ad ora scompaiono e la rabbia mi ribolle nel sangue.
Faccio qualche passo avanti e gli tiro un pugno sul naso.
«Eri tu! Sei sempre stato tu!».

Per rinfrescare un po' la memoria, Amir è quello con cui stavo tempo fa.
«Madison. Lasciami spiegare»
Gli tiro un altro pugno. Questa volta più forte.
Il suo viso si tinge di rosso, ma non provo nessun senso di colpa.
«Cosa dovresti spiegare? Cosa? Dimmelo! Spiegati!» urlo.
Lui afferra una pezza di cotone e tampona la ferita che gli ho appena fatto.
«Con chi lavori? In una lettera parlavate al plurale. Con chi lavori, Amir?» chiedo dopo qualche minuto.
«Questo non posso dirtelo, Madison. Perché hai coinvolto quello là? Perché hai coinvolto Blake Harris?».
Scuoto il capo e scoppio in una risata nervosa. Fa caldo, quindi tolgo il giubbotto e lo lancio su una vecchia scrivania.

«Non è come credi. Io non ho coinvolto nessuno».
Fa due passi in avanti ed estrae qualcosa dalla tasca, succede tutto troppo veloce.
Sento un colpo e un forte dolore lancinante alla spalla.
Ed è lì che realizzo.

Poso lo sguardo sulla mia spalla sinistra.
Il rosso si sta espandendo sulla mia pelle e Amir mi guarda impassibile, ancora con la pistola puntata su di me.
Premo il palmo della mia mano sulla ferita, lo guardo con odio, poi prendo il giubbotto ed esco da lì.
Salgo sulla moto.
Il dolore comincia a farsi insopportabile, ma non posso andare all'ospedale, mi farebbero parlare con la polizia dopo avermi curata.
Dovrò togliermi quel proiettile da sola in camera mia.
Durante il tragitto rischio di cadere dalla moto circa tre volte per via del dolore, ma arrivo a casa e, barcollante, mi siedo immediatamente sul letto.

 Chiudo gli occhi e faccio un respiro profondo, poi afferro le pinzette e le disinfetto.

Le inserisco nella ferita, cercando di afferrare il proiettile.
La carne si apre al mio passaggio, il rumore bagnaticcio provocato dal sangue mi mette la nausea.
Vorrei urlare e piangere dal dolore, ma non posso. Devo contenermi.
Mi metto un pezzo di stoffa in bocca, per soffocare le urla.
Ogni movimento è una sofferenza troppo grande, ogni urlo è una richiesta d'aiuto, ogni goccia di sangue che scivola su di me mi indebolisce. 

Una lacrima mi riga il volto mentre cerco il proiettile e un dolore devastante si propaga sempre di più.
Dopo del tempo riesco ad estrarlo e quindi decido di disinfettare la ferita e chiuderla, per quanto io sia capace.
Dopo averla chiusa la fascio e prendo un antidolorifico, poi mi metto a dormire.

 Il giorno dopo mi sveglio, faccio colazione e prendo un altro antidolorifico, poi mi preparo per la scuola.

La ferita è dolente e io ho un aspetto terribile. La mia vita sta diventando un incubo. 

Metto la divisa, piastro i capelli e metto un po' di correttore, mascara e gloss per rendere il mio aspetto più decente possibile.
La cosa peggiore è che dovrò andare a piedi perché Ryan non può accompagnarmi. 

Maybe madly in love with youDove le storie prendono vita. Scoprilo ora