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🎀🩷
MADISON

Mi aspetto di vedere il corpo di Blake accasciarsi a terra da un momento all'altro, ma questo non succede, e per un momento mi chiedo se stia sognando. Sento un altro sparo, ancora più forte e acuto, poi ne sento un terzo.
Il mio corpo viene percorso da brividi e sensazioni differenti.
Mi tolgo da dietro la schiena di Blake e metto a fuoco lo scenario.

Guardo i due tipi per terra con una chiazza di sangue che continua a propagarsi, e poi l'anziano, nelle stesse condizioni.

Prima cosa che sento è l'adrenalina, ma quando essa comincia a sparire piano piano, lascia spazio al puro terrore. 
Blake Harris, uno dei ragazzi più temuti della città, ha appena ucciso tre uomini e io sono una testimone. 
Si può sapere perché devo sempre mettermi in queste situazioni?

Poi guardo Blake.
La sua espressione è serissima e la sua mascella è molto più tesa del solito.
Le braccia sono ancora tese in avanti, con la pistola ancora puntata nel punto in cui ha colpito l'ultimo obiettivo.
Ci voltiamo in contemporanea, sobbalzando per lo spavento. 
Bruce e Rashad sono appena entrati nella fabbrica, correndo. 

Sembrano felicissimi di vederci.

Ci raggiungono con una corsa.

Sorridono all'amico, poi Bruce mi abbraccia.

«Pensavo che non ti avrei più rivista» sussurra nel mio orecchio, mentre mi abbraccia.

«Già. Per un momento l'ho pensato anche io» ammetto.
Mi stringe ancora di più a sé.
Non ha intenzione di lasciarmi andare e per una volta nemmeno io.

 «Cosa facciamo con i cadaveri?» chiede Rashad.

Blake deglutisce e prende consapevolezza.
«Chiamo Grady, se ne occuperà lui».
Mi sento svenire, ed effettivamente le mie gambe cedono.
Bruce mi afferra in tempo, sostenendo la massa del mio corpo. 
«Allora io porto Madison a casa, non rischieremo di farla incontrare con suo padre. Poi chiamatemi» dice Bruce in modo sbrigativo. 

 Mi fa salire in macchina e mi porta a casa.

Mi adagia sul materasso del mio letto e si mette accanto a me.
Mi sdraio sul fianco, rivolta al suo corpo, e anche lui fa lo stesso, lasciando che i nostri visi siano estremamente vicini.
«Mi ha fatto paura vederti su quell'auto oggi. Blake è veramente stupido. Non doveva portarti. Non si sa controllare» dice.
Io sospiro e lui mi stringe a sé.

 I nostri visi sono troppo vicini e la tensione è troppo alta, sono ancora scossa dall' avvenimento.

Un senso di nausea mi travolge. 
Mi è tornato in mente l'omicidio dell'anziano signore che ho commesso. 
Il fiato mi si blocca in gola e il cuore comincia a battere troppo veloce. 
Faccio un respiro profondo e punto le mie iridi blu su quelle di Bruce.  

Lui si avvicina ancora di più a me, e posa delicatamente le labbra sulle mie.
Ci stacchiamo un momento, lasciando che i nostri sguardi si scontrino, poi sono io ad essere spinta da un bisogno animale di posare nuovamente le labbra sulle sue.
In poco tempo le nostre lingue si uniscono in una danza lenta e appassionata.

 Questo è un bacio dolce, carico di sentimento.

Quel bacio che non ho mai provato prima.
In un attimo il suo corpo mi sovrasta, e mi trovo sotto di lui.
Continua a baciarmi dolcemente, lasciandomi assaporare il sapore di menta e caffè.

Comincia a torturarmi la gola e questo mi fa impazzire. 

Dopo un po' si ferma e si sdraia nuovamente accanto a me.
«Scusa, mi sono lasciato andare» dice.
Sei cretino o coglione? 
Aggrotto le sopracciglia.
«No, tranquillo. Non ti preoccupare» dico, nascondendo il mio bisogno fisico di staccare la mente usando il sesso.

Era dall'inizio della mia relazione con Amir che non provavo qualcosa del genere per un bacio, il che mi aveva completamente destabilizzata.
Forse mi piace di nuovo qualcuno?
Forse, alla fine, non sono così vuota come dice Blake, ed è lui quello vuoto?

Chiacchiero un po' con Bruce, finché non lo chiamano i due amici e deve andare ad aiutarli.

Arrivo in cucina e mangio qualcosa per cena.

Mia madre è già andata a dormire, in quando alle sei di mattina ha il volo per un viaggio di lavoro.

 Sto mangiando un piatto di pasta con il tonno, quando il display del mio cellulare si illumina.

Sconosciuto

 Aggrotto le sopracciglia e apro la notifica.

Ti conviene smettere di coinvolgere persone, Madison.

 D'istinto mi guardo attorno.
Chiunque mi abbia mandato questo messaggio potrebbe essere qua da qualche parte ad osservarmi, il che mi spaventa. 
 La rabbia, però, prende il sopravvento, perciò mi affretto a scrivere una risposta.

M: Smettila di rompere le palle e fatti avanti. Incontriamoci stanotte alle due alla vecchia chiesa abbandonata nella periferia della città.

Invio il messaggio e mentre aspetto una risposta fisso il vuoto, incapace di finire il piatto di fronte a me.
Non so minimamente chi mi sta inviando questi messaggi.
Non ne avevo mai ricevuto prima, il che significa che è qualcuno che mi odia da poco.
Mi soffermo a pensare che vita schifosa deve avere una persona per inviare messaggi anonimi ad una ragazza.

 S: Va bene, puttana. Incontriamoci.

Fisso quel messaggio, e lo rileggo almeno dieci volte prima di andare in camera a cambiarmi.
Metto dei jeans skinny, degli stivali e una felpa oversize bianca che mi tiene abbastanza al caldo.

Siamo a novembre inoltrato e comincia a fare abbastanza freddo.
Esco da casa e mi reco al posto prestabilito con il solo uso dei miei piedi.

 Quando arrivo alla chiesa faccio un respiro profondo, emettendo una nube dovuta dal caldo del mio fiato contrastante con il freddo gelido esterno.

Spalanco il grosso portone che, emettendo un cigolio, mi fa trasalire.
L'ambiente è a dir poco inquietante.
Le vecchie panche in legno marcio sono piene di polvere, il vecchio e sporco pavimento è coperto da lattine di birra e bibite di vario tipo, cartoni di pizza, pacchetti di sigarette e altre cartacce. 
Il freddo è pungente e l'unica fonte di luce, nonostante sia abbastanza debole, è la luna. 
Accendo una sigaretta e fumo, in attesa del mio corrispondente senza identità.

Dopo svariati minuti la porta si spalanca, lasciando vedere una figura in controluce con un cappotto.
Faccio un passo avanti.
«Okay, figlio di puttana. Mostrati» dico a testa alta.

 La persona sembra esitare.
Ha paura di mostrarsi.

«Fatti avanti» ripeto, scandendo bene ogni parola.

La figura muove due passi avanti, mostrando il suo volto.
Non l'ho mai vista prima.
I due occhi grandi color nocciola mi colpiscono come lame, i lineamenti delicati femminili addolciscono il viso.
La faccia si completa con delle labbra carnose, le occhiaie violacee e il naso piccolo, ma non completamente dritto. 

«Chi sei?» chiedo.
Ingoia la saliva rumorosamente e subito dopo la sua voce acuta, femminile e graffiata riempie l'aria gelida.
«Sono Dina».
Aggrotto le sopracciglia.

La prima cosa che mi chiedo è se l'ho già conosciuta, visto il suo modo di presentarsi.
Poi, però, mi soffermo sul quel fottuto nome.
Ma che cazzo di nome è Dina?
Ho la conferma di non averla mai conosciuta, non avevo mai sentito questo nome prima d'ora.

 La guardo confusa.

«Scusa, ci conosciamo?» chiedo in tono arrogante.
Lei solleva l'angolo della bocca, formando un sorrisetto, che però svanisce un attimo dopo.

 «No. Non proprio. Io conosco te, ma tu non hai la minima idea di chi io possa essere» dice.

Okay. Ora sono ancora più confusa.
«Quindi chi saresti?» chiedo.
Lei sorride maliziosamente, e per un attimo la mia mente vaga tra tutte le varie identità esistenti che potrebbero appartenere alla ragazza davanti a me.
«Sono tua sorella».

Maybe madly in love with youDove le storie prendono vita. Scoprilo ora