CAPITOLO III

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Subito dopo lo scoppio della guerra, il villaggio cominciò a svuotarsi. Molti ragazzi intravidero nell'arruolarsi un'opportunità di carriera: speravano, così, di sfuggire alla miseria e, incuranti del pericolo che correvano, partivano, entusiasti di imbracciare il fucile per difendere la patria. Le madri erano disperate: molte delle clienti di Deirdre arrivavano al cottage chiedendo che confezionassimo delle coperte o delle calze pesanti per i figli decisi a raggiungere il fronte e, d'improvviso, scoppiavano a piangere a dirotto. Deirdre cercava di consolarle come poteva: offriva loro una tisana calmante e assicurava loro che i ragazzi sarebbero tornati a casa sani e salvi. Io osservavo la scena in disparte, cercando di scacciare dalla mente l'immagine raccapricciante dei corpi crivellati dai proiettili.

In assenza dei giovani, furono le ragazze a lavorare: molte sostituirono i fratelli partiti per combattere a servizio nelle dimore dei ricchi. Anche Edmund, il fratello maggiore di Annabelle, si arruolò.

- Gardenia, ti prego, dimmi che ne sarà di lui! – mi supplicò.

- Non so nulla, Annabelle, non vedo nulla al momento... - rispondevo, costernata. Era la verità: non riuscivo a prevedere il destino di Edmund.

Il lavoro era aumentato anche per noi: oltre alla sartoria, dovevamo dedicare più tempo all'orto. Come avevo immaginato, la richiesta di ortaggi e uova crebbe. Spesso, non ricevevamo del denaro in cambio dei nostri prodotti, ma carne, zucchero, formaggio, pane.

Ogni giorno, si attendevano spasmodicamente notizie. Le fanciulle impiegate come cameriere nei palazzi nobiliari ricevevano istruzioni dalle madri: dovevano origliare e riferire tutto quanto dicevano i loro padroni sull'andamento della guerra. Al paese, infatti, non arrivavano i giornali. Il postino era accolto con un misto di speranza e timore: tutti erano desiderosi di leggere le lettere inviate dai figli lontani e, al contempo, avevano paura che non scrivessero perché feriti o, peggio, morti. Qualcuno veniva a chiedere a Deirdre che leggesse le missive al posto suo a causa dell'analfabetismo o per il terrore di ricevere cattive nuove.

Quando mi sentivo sopraffatta da tanta tensione, me ne andavo a passeggiare nel bosco. Il lupo mi accompagnava come sempre e, tra gli alberi secolari, riuscivo a ritrovare pace. Mi spingevo sempre più lontano. Un giorno raggiunsi i confini della proprietà di un ricco possidente e fui tentata di avvicinarmi. Cedetti e guardai oltre i cancelli: il palazzo, maestoso, immenso, si ergeva su di una collinetta. Mi chiesi chi ci abitasse e, per una volta, provai ad immaginare come sarebbe stato vivere tra gli agi. Il sole era già tramontato e scorgevo la luce delle candele dietro le grandi finestre. Mi chiedevo chi vivesse dentro quelle possenti mura. Sentivo una forza irresistibile attrarmi verso quella dimora fiabesca, ma sapevo che dovevo rientrare a casa: rischiavo di essere colta dall'oscurità e Deirdre si sarebbe di certo preoccupata. Così, a malincuore, mi incamminai verso il cottage. Lungo il sentiero, mi domandavo perché il mio cuore cantasse innanzi allo splendore di quella nobile abitazione. Che cosa mi aveva spinta sin lì? Per quale ragione non riuscivo a staccarmi dalle sbarre acuminate del cancello? 

 Che cosa mi aveva spinta sin lì? Per quale ragione non riuscivo a staccarmi dalle sbarre acuminate del cancello? 

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