- Capitolo 28 -

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Haru si svegliò lentamente in una stanza completamente bianca e oro dovette sbattere varie volte gli occhi per abituarsi alla forte luce, sentiva la testa pulsare, era legato ad una sedia con delle catene dorate. 

"Dove... sono?" Si chiese con voce debole. 

La sensazione di costrizione e dolore gli fu immediatamente chiara. Le catene erano probabilmente fatte di un metallo divino, progettato specificamente per limitare le sue capacità e prevenire qualsiasi tentativo di fuga o attacco. Tentò di muovere le braccia, ma le catene si serrarono ulteriormente, costringendolo a rimanere immobile in quella posizione.

"Perfetto Haru, sei ufficialmente fregato" Disse tra sé e sé guardandosi intorno alla ricerca di una via di uscita, l'unica possibile era la porta di fronte a lui anche quella quasi sicuramente dello stesso materiale delle catene, emise un forte sospiro cercando di pensare a come uscire da quella situazione.

"Aish... che cazzo-"

In quel momento sentì la porta aprirsi cosa che catturò l'attenzione e gli fece spostare lo sguardo verso di essa. Una donna alta dai capelli biondi e gli occhi azzurri entrò con altre due guardie che richiusero la porta e vi si piazzarono davanti.

"Vedi di moderare i termini feccia. Hai una vaga idea di dove ti trovi mh?"

Il ragazzo ghignò divertito alla vista della donna, la conosceva fin troppo bene. "Antares, è bello rivederti, guarda che se ti mancavo potevi tranquillamente invitarmi al bar non serviva rapirmi lo sai?"

"tsk. Sei qui solo perché sei un bastone tra le ruote"

"Ti rivelo un segreto gioia mia, rapire le persone non risolverà le vostre crisi"

"Stai zitto!" Con un gesto l'angelo strinse ulteriormente le catene togliendo il fiato al ragazzo.

"Sai Haru, per essere un demone sei parecchio furbo, sei sempre riuscito ad ostacolarci senza alcun problema e non posso permetterlo più. Ti propongo un patto, una cosa molto semplice, tu mi dai qualche informazione, in particolare su Erica e io fermerò i miei cari amici e impedirò loro di torturarti per bene nei prossimi giorni"

"Antares, si vede che non mi conosci proprio, se tu ti aspetti che io ti dica qualsiasi cosa ti sbagli di grosso."

Antares osservò Haru con uno sguardo di puro disgusto, la sua mano ancora sollevata come se fosse pronta a stringere ulteriormente le catene dorate. L'angelo fece un respiro profondo, cercando di mantenere la calma nonostante la frustrazione evidente. "Sento di dovermi correggere, sei più stupido di quanto pensassi. Speravo che avessi capito che la resistenza oramai è inutile e che noi vinceremo con o senza la vostra volontà. E una volta che avremo abbattuto voi feccia dell'universo toccherà a tutti gli altri."

Nonostante il dolore Haru la guardava con un sorrisetto beffardo  "Se volete intimorirmi dovrete fare molto di più di questo, so solo io che cosa ho vissuto e questo è nulla "

Antares si avvicinò a lui, il suono dei suoi passi rimbombava nella stanza silenziosa. Si chinò fino ad essere faccia a faccia con Haru, i suoi occhi azzurri fissi nei suoi. "Non si tratta di intimorirti, si tratta di far scattare il tuo istinto di sopravvivenza, quello che hai non tanto verso di te ma verso la tua bella famigliola"

Haru a quelle parole fece scomparire il sorrisetto beffardo e serrò i denti.

"Oh... devo aver toccato un punto debole"

"Non osare toccarli... se fate loro qualcosa giuro che la pagherete uno ad uno e lascerò te e l'altro figlio di puttana che ti usa come una marionetta per ultimi e vi farò tanto male che non saprete nemmeno come cazzo vi chiamate, hai capito puttana?!" Ringhiò alzando la voce.

Antares fece un sorrisetto divertita, aveva trovato il punto debole del ragazzo, si alzò e fece un cenno a una delle guardie. L'uomo, una figura imponente vestita con un'armatura scintillante, si avvicinò e porse ad Antares un piccolo pugnale, la lama luccicava di una luce innaturale. Haru riconobbe immediatamente l'oggetto e serrò ulteriormente i denti sapendo che stava per succedere.

"Penso tu sappia bene cos'è questo. Con questo inizierà la tua agonia, sai bene che puoi farla finire in qualsiasi momento basta che tu venga al patto fra di noi."

Haru deglutì, il sudore iniziava a scendere sulla sua fronte. La tentazione di cedere, di dire qualcosa, qualsiasi cosa, per far cessare quella tortura imminente era forte. Ma sapeva che cedere significava tradire tutto ciò in cui credeva, significava tradire la sua famiglia. 

"Da me non saprai nulla."

Antares alzò un sopracciglio, apparentemente impassibile. "Molto bene, allora. Non dire che non ti ho dato la possibilità."

Con un movimento rapido e preciso, l'angelo affondò il pugnale nel fianco di Haru. Il ragazzo urlò per il dolore lancinante derivante dall'arma divina, dopo poco tornò a serrare i denti promettendosi di non dare alla donna ulteriori soddisfazioni

 "Questo è solo l'inizio, non sei il primo demone che torturo, e non sarai l'ultimo. Ma posso garantirti che sarai quello che resisterà meno a lungo."

Haru non rispose, la sua mente era ormai concentrata solo sul tentativo di non cedere, di non tradire. Il dolore era insopportabile, ma non poteva permettersi di dare ad Antares la soddisfazione di vederlo crollare. Antares fece un passo indietro, osservando Haru con un misto di disprezzo e curiosità.

"Ora è meglio che tu rifletta sulla situazione, sai bene che già di per se per quelli come te l'arma divina guarisce molto più difficilmente figuriamoci ora che non hai nemmeno i tuoi poteri, il dolore peggiorerà e basta. Resta qui a soffrire o dimmi quello che voglio sentire."

Haru rimase nuovamente in silenzio e i tre uscirono dalla stanza lasciandolo solo, si lasciò andare contro la sedia mentre sentiva la ferita bruciare sempre di più e pulsare. Il tempo iniziò a scorrere molto più lentamente di prima scandito dal battito del suo cuore e dal gocciolare del sangue che piano piano stava tingendo di rosso scuro la sua camicia. Ogni secondo sembrava un'eternità, ma Haru si rifiutava di cedere. Sapeva che Antares sarebbe tornata, e sapeva anche che avrebbe portato con sé nuove torture, nuovi tentativi per spezzare la sua volontà. 

Le catene dorate brillavano debolmente nella luce accecante della stanza, come se fossero vive, come se percepissero la sua sofferenza e si nutrissero di essa. Ogni volta che cercava di muoversi, le catene si stringevano di più, mordendo la sua pelle con una forza che sembrava innaturale. Haru lasciò cadere la testa all'indietro, cercando di concentrarsi su un pensiero, uno qualunque che potesse distrarlo dal dolore. Ma la stanza bianca e oro non offriva nulla, solo un senso di claustrofobia crescente.

Dopo un paio d'ore la porta si aprì di nuovo, e Haru fu costretto a sollevare lo sguardo, sebbene il dolore fosse sempre più opprimente. Antares rientrò, stavolta senza guardie al seguito. Il suo sguardo era gelido, e la determinazione che emanava faceva chiaramente intendere che non avrebbe mollato facilmente.

"Allora Haru pronto a parlare?"

"Antares, non hai capito io a voi non mi piego, vaffanculo"

L'angelo fece comparire la sfera che usava Erica per osservarli, le immagini della ragazza, dei fratelli, della madre e degli amici scorrevano come in un film. "Sappiamo bene dove si trovano e che stanno facendo, non ci vorrà molto a raggiungerli e far loro del male. La scelta è semplice informazioni o loro. Scegli."

"Giuro che se succede loro qualcosa io-"

"Non vuoi che succeda loro qualcosa allora parla e semplifica le cose"

"Fai pure quello che devi sul mio corpo ma io non li tradirò"

Antares scosse la testa con disappunto, ma Haru poté vedere un accenno di rispetto nel suo sguardo, come se avesse apprezzato la sua resistenza. Poi, con un cenno della mano, fece sparire la sfera di luce e si girò per uscire.

"Molto bene, Haru. Sappi solo che ogni tua parola non detta avrà un prezzo. E quel prezzo potrebbe essere più alto di quanto tu sia disposto a pagare."

Con queste parole, uscì dalla stanza, lasciando Haru nuovamente solo, immerso in un dolore che non era più solo fisico ma anche emotivo. Sapeva che il peggio doveva ancora venire, ma si ripromise di resistere, di proteggere la sua famiglia a qualsiasi costo. Anche se quel costo significava la sua stessa vita.

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