Kaos, mi sento libera.

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🌕 LUNA.

È passata una settimana da quando mio padre è uscito dall'ospedale, piano piano si sta rimettendo.
Ma il gesso al braccio dovrà portarlo per almeno altre quattro settimane.
E da quanto io sappia, non ha denunciato l'accaduto in questura e nemmeno in ospedale e su questo non sono d'accordo, io non l'avrei fatta passare liscia a nessuno.

Questa settimana è stata molto dura, tra il lavoro e accudire mio padre e la casa, ma il primo mese è gia passato ed ho ricevuto la mia prima paga.

Ho appena finito di preparargli la cena per stasera, deve solo metterlo a riscaldare più tardi, ho il turno fino a mezzanotte oggi al negozio.

È una settimana che mio padre è sobrio, e spero proprio che non ritorni a bere appena si sarà ripreso del tutto.

Entro in camera e infilo il mio giubbotto per scappare a lavoro, e quando apro l'armadio un profumo della Rabanne invictus invade le mie narici e mi inebria tutti i sensi.

Il giubbotto di Kaos è ancora appeso nel mio armadio, quella sera sono scappata via dalla sua auto senza ridargli il suo giubbotto.

Sposto lo sguardo sui maglioncini, dove ho lasciato lì anche i vestiti che mi ha prestato, non li ho ancora lavati perché profumano di lui.

In realtà non sono scappata, mi ha praticamente cacciata via dalla sua auto trattandomi come una poco di buono.

Forse ho sbagliato io a dargli tutta quella confidenza, non so come abbia fatto a fregarmi così.

Io non volevo lasciargli toccare il mio cuore, avevo intenzione di stare alla larga da uno come lui.
Chissà quando mi sono distratta.

Spero davvero che non lo abbia detto a nessuno, è stato un errore.
Non voglio che poi gli altri pensino che io sia un altro dei suoi giocattolini.

Non l'ho detto ad Harper perché mi vergogno troppo, chissà cosa penserebbe di me.
E questa cosa mi logora dentro.

Non devo permettergli di fare ciò che vuole con me.

Sfioro il suo maglioncino con le dita e sento un pugno alla bocca dello stomaco quando ripenso alla frase che mi ha detto.

'Ti scoperei, ma quella cicatrice mi fa schifo.'

Sono queste le parole che mi rimbombano nella testa da una settimana a questa parte e che non mi lasciano dormire.

Poche parole, ma con un peso enorme.

Infilo duemilacinquecento dollari nella scatola delle scarpe che nascondo sotto il letto, ed il resto lo porto con me, devo conservare i soldi per andarmene dai miei nonni.

Ma voglio aiutarli, non voglio essere un peso per loro.

"Stai uscendo?" Mi chiede mio padre dallo stipite della porta.

Sobbalzo perché mi ha presa alla sprovvista, infilo la scatola sotto il letto e mi alzo.

"Vado a lavoro." Rispondo tranquillamente.

Non sa dove lavoro, ho paura che venga ad ubriacarsi anche lì, ed ho paura che mi faccia fare brutta figura anche con la signora Joan.
Non posso perdere quel posto.

Mi studia attentamente, poi si guarda intorno nella mia stanza, avvicinandosi ad una foto appesa con una puntina vicino al muro.

Ci siamo io, la mamma e lui a Cuba quando avevo otto anni.

"Non la ricordavo più." Mormora toccando la foto con i polpastrelli.

Non so a cosa stia pensando in questo momento, o se sta cercando di conversare con me.
Ma non so nemmeno cosa dirgli, noi non parliamo seriamente da un anno.

Quanto Kaos sotto questa Luna.©Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora