Capitolo 46

152 11 2
                                    

Quando le fredde mani le liberano gli occhi e Kate può finalmente vedere, tutto intorno a lei riprende forma e colore. Fuori i raggi di un fiacco sole d'autunno illuminano un cortile pieno di ragazzi e il corridoio, che fino a qualche secondo fa le era sembrato deserto, adesso è popolato da decine e decine di persone che fanno avanti e indietro fra le varie classi, aprono e chiudono armadietti di metallo, ridono e chiacchierano allegramente. Il freddo se n'è andato, e Kate si rende conto di essere l'unica stretta nel proprio cappotto come se fosse già inverno, perciò se lo sfila di dosso, ancora disorientata. Si guarda attorno in cerca di qualcuno che sembri stranito come lei, ma ogni viso le dice soltanto che ciò che ha appena vissuto l'ha vissuto esclusivamente lei. Cosa sia successo di preciso, non lo sa proprio.
Qualcuno, all'improvviso, le tocca energicamente una spalla, facendola sussultare. Si volta ad incontrare il colpevole del suo spavento e, non appena vede Christian, gli getta le braccia al collo; finalmente un viso familiare, vero, reale.
<<Ehi, calmati! Che ti succede?>> le domanda il ragazzo, allontanandola da sé con fare affettuoso e osservandola dalla testa ai piedi con aria scherzosamente smarrita.
<<Niente, sono solo contenta di vederti>> dice lei, non sapendo come altro spiegargli ciò che prova in questo preciso momento; di certo, non può raccontargli in che strano mondo ha creduto di trovarsi fino a qualche istante prima, altrimenti l'avrebbe giudicata pazza, se non peggio.
<<Dov'è Jonathan?>> chiede, guardandosi intorno; non è ancora apparso, il che è piuttosto insolito, dato che è sempre il primo ad accorglierla quando arriva a scuola ultimamente.
Christian esita; un'esitazione alquanto strana, che attira l'attenzione di Kate.
<<Che hai?>>
<<Ehm... niente, niente>>
<<Be'?>> insiste lei.
<<Niente... Jonathan non so dove sia>>
Kate si acciglia, non capendo il perché dello strano atteggiamento dell'amico.
<<Ma che ti prende, si può sapere?>>
<<Niente, ti ho detto.>>
Le lezioni scorrono lente, specialmente perché fra un'ora e l'altra non c'è Jonathan ad attenderla agli armadietti e a renderle la mattinata meno noiosa. Chissà dov'è finito.
Durante l'ultimo corso, Kate decide di mandargli un SMS. Tira fuori il telefono e, di nascosto sotto il banco, digita il messaggio: "Buongiorno, va tutto bene? Come mai non sei a scuola? Mi manchi, K."
Stranamente, dopo più di mezz'ora, la risposta non è ancora arrivata. Che stia male e non abbia neanche acceso il cellulare? Non è da lui. A meno che...
A meno che non stia gravemente male.
Kate, nella sua paura di perderlo, non esclude questa possibilità; al contrario, si preoccupa subito e, in preda all'ansia, alza la mano e chiede all'insegnante il permesso di uscire dall'aula.
Una volta sola ed indisturbata nel bagno delle ragazze, estrae nuovamente il telefono e prova a chiamare Jonathan; magari così funziona, magari risponde.
Ma non succede nulla. I numerosi squilli a vuoto aumentano di volta in volta l'ansia di Kate e la spingono, alla fine, a prendere la decisione di lasciare la scuola per andare dritta a casa di Jonathan.
Altrimenti non supererà la giornata. Deve sapere. Deve assolutamente sapere.
Mentre attraversa il corridoio, dei passi dietro di lei sembrano seguirla.
<<Jonathan?>> chiama prima ancora di rendersene conto, dando per scontato che sia lui -non sa come né perché-.
<<Kate>> risponde una voce familiare. Si volta e vede Christian.
"Certo che non ha mai perso l'abitudine di apparire al posto di Jonathan nei momenti più sbagliati" pensa lei, andandogli incontro. Lui pare disorientato, confuso.
<<Che succede?>> gli chiede Kate, accigliata; ultimamente Christian si sta comportando in modo strano con lei.
<<Nulla, che ci fai qui?>>
<<Ero andata in bagno, tu?>>
<<No, volevo dire... dove stai andando? La tua classe è lì>>
Il ragazzo indica una porta alle proprie spalle, cogliendola in fallo.
<<Ehm...>> fa lei, a corto di scuse.
<<Dimmelo, dove stavi andando?>>
<<Da Jonathan>> ammette, rassegnata.
<<Da... da Jonathan? Perché?>>
A Kate, visto l'atteggiamento dell'amico quando si parla di Jonathan, brilla chiara e tonda una singola parola in testa: geloso.
Christian è geloso di lei e Jonathan.
"Tu non sei gay, vero?" gli chiede mentalmente, sperando che lui possa in qualche modo captare telepaticamente il messaggio.
<<Credo che stia male, voglio andarlo a trovare>>
<<Non puoi andarci dopo la scuola? Così vengo con te>>
Kate è sorpresa; ma come, non si odiavano?
<<Non prendermi in giro.>>
<<Perché dovrei? In fondo, è il tuo ragazzo ed io sono tuo amico>>
<<Così vi scannate come due bambini davanti a me? No, grazie>>
<<Macché, dai... in realtà, volevo parlarci da persona matura e sistemare le cose con lui, così da non creare più fraintendimenti e/o disagi.>>
Kate non può credere alle proprie orecchie, e subito esplode in un sorriso a quarantadue denti. Quel sorriso a quarantadue denti.
La via in cui abita Jonathan è grigia e deserta. I marciapiedi, coperti di migliaia e migliaia di foglie marroni, gialle e rossastre, sono gli unici a dare un tocco di colore a quell'ambiente così tristemente autunnale. Di solito, anche se Kate non ci ha mai fatto molto caso, in quella stradina è pieno di bambini che giocano a palla, pattinano o vanno in bicicletta, urlando e ridendo come matti; evidentemente però, oggi fa troppo freddo rispetto al solito. O forse non ci sono perché è ancora orario di scuola.
Kate bussa energicamente alla porta del suo ragazzo, saltellando prima su un piede e poi sull'altro per l'ansia di vedere l'anta che si apre e Jonathan che appare sulla soglia, sano e bello come sempre. Ma non succede. Non succede nulla per tanti, troppi secondi. Christian gioca con una foglia, stropicciandosela fra le dita e producendo un sonoro cric crac che rompe l'insolito silenzio di quella via. Dopo qualche istante, il ragazzo sbuffa e getta la foglia ormai ridotta in briciole marroncine a terra; dopodiché incrocia le braccia e inizia a battere ritmicamente un piede sul legno della veranda, in impaziente attesa che accada qualcosa.
"Qualunque cosa," supplica Kate dentro di sé "ti prego."
<<Mi sa che non c'è nessuno, Kate>> dice Christian, la voce ancora più calda e vellutata del solito. Saranno il freddo e il silenzio a renderla così.
La ragazza si volta a guardarlo, la preoccupazione dipinta sul volto. Christian ricambia a lungo lo sguardo, poi fa spallucce, puntando gli occhi verso il cielo ad osservare il grigiore autunnale. Improvvisamente, Kate fa dietrofront e percorre tutto il perimetro della veranda -che segna l'intera facciata anteriore della casa di Jonathan- fino a raggiungere una finestra qualunque; dopodiché si cerchia entrambi gli occhi con le mani e spiaccica il naso contro il vetro, trattenendo il respiro per non appannarlo.
Dopo svariati minuti, strabuzza gli occhi e si volta verso Christian, incredula e terrorizzata, lo sguardo pieno di orrore e sconcerto messi insieme.
<<Che c'è?>> chiede il ragazzo, leggermente intimorito <<Che hai visto?>>
<<La casa è vuota...>> biascica Kate, ora fissando il vuoto, ora Christian <<è vuota...>>
<<Be', magari non c'è nessuno>> propone il ragazzo, stringendosi nelle spalle.
<<Non hai capito,>> dice lei, scuotendo freneticamente la testa <<non solo non c'è nessuno...>>
Fa una pausa, incapace di continuare.
<<Ma?>> insiste Christian, impaziente.
<<...ma non c'è niente.>>

L'inganno dell'apparenzaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora