PRESENTE

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Restian

Mi poggiò le dita sul petto e io mi sentii bruciare, peccato che le usò per cercare di allontanarmi. «Spostati.»

Io restai fermo dov'ero. «Agli amici tuoi non glielo dici di spostarsi?»

Ero sempre stato un tipo diretto, ma la gelosia la tenevo per conto mio. Stanotte qualcosa in me non stava funzionando bene.

Iniziò a ridere per finta, giusto per prendersi gioco di me. «E perché avrei dovuto? Sentiamo.»

Sta giocando con la mia pazienza. «Perché dici? Fai sul serio?» Al sentiamo non risposi perché non riuscivo a esprimere una frase di senso compiuto, figuriamoci dirle ciò che provavo. «Due ragazzi avvinghiati a te. Questo è normale per te?!»

«È assolutamente normale se è quello che voglio. Se voglio baciarli li bacio. Se voglio portarmeli a letto, pure.»

Il plurale mi fece perdere il senno.
Il verbo volere anche.
Volere altre labbra sulle sue, volere altre mani sul suo corpo, questo mi stava dicendo.

E io, Florence? A cosa ti sono servito?

«E vai, fai quello che vuoi!» Sbattei il palmo al di sopra del finestrino della sua macchina, e le diedi le spalle, pronto per andarmene.

«Stronza» mormorai tra me e me, mentre guardavo la terra e l'erba sfrecciare tra i miei occhi.

Stavo andando via per la rabbia ma non avrei voluto. Avrei voluto litigare con lei tutta la sera e poi fare pace. Sperare di averla per me, ma questa volta non avrei ascoltato il mio cuore.
Ti devi stare zitto, ho detto.

Scusami Demian, ma mi arrendo, come quando da bambini io le tiravo i capelli quando mi faceva arrabbiare, tu mi dicevi di scusarmi con lei e quando ci provavo lei tirava i miei per vendetta.

Litigavamo. Passato.
Litighiamo. Presente.

«Vuoi spaccare pure la mia macchina oltre che la faccia di Liam?! Me la ripaghi se l'ammacchi, stronzo!» Urlò, aggiungendo almeno tre r alla parola stronzo.

Sì? E a te va di riparare il mio cuore ammaccato a causa tua?
Sai quanto tempo ho speso per ripararlo? Arrivi tu e dai altri pugni.
Ma come cazzo ti permetti?

Come una furia tornai da lei. «Di questo ti importa?! Della macchina?!» Non riuscivo più a controllarmi. Pioveva, faceva freddo, ma io mi sentivo accaldato. «O della faccia del tuo amichetto del cazzo?!»

Portò la testa di lato e appoggiò la nuca sulla macchina. Studiò il mio viso arrabbiato. Poi il collo, e alzò un angolo della bocca. Socchiuse le labbra e fece un mezzo sorriso, mostrando di poco i suoi denti dritti e bianchi. «Non fare così che ti si gonfiano le vene del collo.»

Amava vedere come mi incazzavo a causa sua.

Alle medie mi aveva bucato una ruota della bici, perché? Perché avevo accettato di giocare a calcio al campetto con i miei compagni anziché accompagnarla a prendere il gelato al nostro solito posto.

Anche in quel caso ero diventato paonazzo in viso, ancor di più perché mi aveva confessato che era stata lei e se la rideva pure.

Rideva della mia rabbia. Passato.
Ride della mia rabbia. Presente.

«Ma mi vuoi fare impazzire? Che vuoi fare?»

«Voglio tornare alla festa. Questo voglio fare.»

Stava per sgattaiolare via ma io le agguantai l'avambraccio e la sbattei sulla macchina. «Col cazzo, Florence. Non ti faccio entrare lì dentro.»

Restian Beck - Attraverso i miei occhiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora