Capitolo 8: L'Ombra del Rimorso

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Continuiamo a camminare, senza voltarsi indietro. La città abbandonata sembra infinita, un labirinto di strade deserte e case spettrali che ci osservano in silenzio. Ogni tanto, sentiamo un rumore lontano – un battito di ali, un fruscio tra i detriti, un sussurro che sembra provenire da qualche creatura nascosta nell’ombra. Nessuno di noi osa parlare, ma so che tutti stiamo pensando la stessa cosa: qualsiasi cosa si nasconda qui, non è amichevole.

Il sole è ormai scomparso quasi del tutto, lasciando solo un vago bagliore sul cielo scuro. Eppure, in lontananza, vediamo una luce fioca, come un richiamo in mezzo all’oscurità. È lì, oltre un vecchio ponte di legno che sembra sul punto di crollare. Il ponte scricchiola sotto i nostri passi, e ogni suono risuona nell’aria come un avvertimento.

Quando siamo abbastanza vicini, notiamo una figura sdraiata su una panchina, illuminata dalla luce di una lanterna fioca. Scambio uno sguardo con Aria e Leo, e capisco subito che anche loro stanno pensando la stessa cosa: chi sarebbe così folle da rilassarsi qui fuori, in questo luogo infestato e avvolto nel silenzio minaccioso? Il vento porta con sé suoni strani, come passi trascinati e sospiri lontani, suoni che sembrano promettere tutt’altro che tranquillità.

Leo si china leggermente verso di me, sussurrando con tono preoccupato: “Se non altro, questa persona non ha molta paura delle creature che potrebbero essere nascoste qui…”

Annuisco, cercando di trattenere la tensione. Ogni istinto mi dice di avanzare con cautela, di non fidarmi. Tuttavia, la curiosità mi spinge avanti. Aria ci segue in silenzio, ma la vedo stringere le mani, pronta a reagire a qualsiasi segnale di pericolo.

Ci avviciniamo alla figura sulla panchina, e solo allora noto alcuni dettagli strani. La persona ha l’aria di essere sospesa tra il sonno e la veglia, e sembra quasi… fuori posto, come se non appartenesse a questo mondo abbandonato. I suoi abiti sono un misto di colori sgargianti, stracci che sembrano più maschere che vesti. Eppure, sotto la luce debole, c’è una stranezza nei suoi occhi che mi lascia una sensazione di disagio.

La figura si raddrizza lentamente, aprendo gli occhi. La vista mi blocca il respiro: i suoi occhi sono completamente bianchi, privi di pupille, come due perle spente. Attorno a essi, piccole vene nere si diramano, incorniciandoli con una rete inquietante. Il suo volto è scolpito in tratti severi: un naso dritto, labbra sottili e una mascella contratta che sembra trattenere parole pronte a esplodere. I capelli, rossi come rubini, ondeggiano leggermente nel vento, come se fossero una fiamma viva.

Improvvisamente, un urlo squarcia il silenzio, e mi accorgo che sta urlando il mio nome.

“Lily!” Il suo sguardo mi penetra come se potesse vedermi chiaramente, e la sua voce è un richiamo oscuro. “Ora dovrai assumerti le tue responsabilità! Non ci sarà nessuno a proteggerti, perché ciò che dovrai temere di più… sono i tuoi rimorsi.”

Sento un brivido percorrermi la schiena. La paura mi immobilizza, ma percepisco Leo e Aria accanto a me, altrettanto tesi. Leo, con un gesto protettivo, si posiziona davanti a noi, come uno scudo. Nei suoi occhi leggo la determinazione di affrontare questa figura misteriosa che ci sta minacciando.

Leo si sporge leggermente in avanti, sfidando quell’uomo dagli occhi spettrali. “Chi sei?” chiede con voce ferma, anche se avverto una punta di tensione. “E perché ti comporti così? Cosa vuoi da noi?”

L’uomo inclina appena la testa, lasciando che un ghigno inquietante si formi sulle sue labbra sottili. Si guarda intorno, come se il luogo stesso fosse il suo teatro, poi torna a fissare Leo.

Rufus: “Chi sono?” ripete, con un tono che sembra divertirsi a giocare con la domanda. “Sono Rufus… e il motivo per cui mi comporto così, caro Leo, è che il gioco richiede sacrifici, e a qualcuno spetta il compito di ricordarvi le regole.”

Leo non arretra di un passo, ma posso vedere la tensione nei suoi pugni serrati. Sento il peso delle parole di Rufus, e capisco che non è un semplice avvertimento: è una minaccia, un oscuro presagio di ciò che ci aspetta.

Leo: “Quali regole? Cosa dobbiamo fare?”

Rufus si piega in avanti, il suo ghigno si allarga in un mezzo sorriso raccapricciante. “Meglio trovarvi un posto sicuro per la notte,” dice con un tono quasi cantilenante. “Ai guardiani dei giochi, la notte, piace togliere di mezzo chiunque abbia una ragione per tornare alla propria vita.”

La sua voce è seguita da un momento di silenzio gelido, e poi aggiunge, come se fosse un pensiero casuale: “Ah, e dimenticavo… trovate la porta. Ma prima, trovate la scheggia di specchio… entro il prossimo tramonto!”

Le sue parole risuonano nelle nostre menti come un oscuro avvertimento. Rufus si alza lentamente, lasciandosi dietro una risata roca, un suono che si disperde nelle strade deserte, e poi si allontana, svanendo nell’ombra come se fosse parte di essa. Rimaniamo immobili, col fiato sospeso, il cuore che batte forte.

Sento la mano di Leo stringersi sulla mia spalla, un gesto silenzioso di protezione. Aria è accanto a me, ma il suo volto è teso, pallido. Tutto ciò che abbiamo è l’avvertimento di Rufus, che ci lascia una consapevolezza agghiacciante: dobbiamo trovare la scheggia di specchio, e dobbiamo farlo prima del prossimo tramonto.

Con il battito del cuore che accelera e le ombre intorno a noi che sembrano prendere vita, sappiamo che questa è solo la prima notte. Il gioco, e il nostro incubo, sono appena cominciati.

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