15.40h inizio della seconda prova

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Siamo rimasti a fissare il Giullare, ancora troppo intorpiditi dal sonno per cogliere appieno il significato delle sue parole. Le ombre nella stanza si allungavano, come dita tese a sottolineare il senso di inquietudine che si insinuava in noi. Lui, al centro di quella scena, ci osservava con un misto di curiosità e divertimento.

Leo si schiarì la voce, visibilmente a disagio. “Quale sorpresa ci aspetta, esattamente?”

Il Giullare inclinò leggermente la testa, fissandoci con uno sguardo penetrante. “Ah, ma che divertimento ci sarebbe se ve lo dicessi subito?” rispose con un sorriso furbo, come se stesse assaporando il nostro smarrimento. “Il libriccino vi guiderà, come sempre, passo dopo passo... ma ricordate: le sorprese possono essere dolci o amare, a seconda di come scegliete di giocare.”

Sentii una fitta di disagio, come se le sue parole avessero un doppio significato. Era il tipo di uomo che lasciava trapelare verità scomode celandole dietro enigmi e sorrisi. “Perché ci stai aiutando?” chiesi, cercando di mantenere il controllo della mia voce.

Il Giullare mi guardò con un lampo di sorpresa negli occhi, come se non si aspettasse una domanda del genere. “Aiutare, dici? Che strana scelta di parole,” rispose, facendo una risatina che sembrava strisciare sulla pelle. “Non sto aiutando nessuno, mia cara. Sto solo facendo quello che mi diverte.”

Sentii un brivido correre lungo la schiena. C’era una crudeltà nascosta in quella sua risposta, un piacere che trovava nell'osservarci come pedine su una scacchiera. “Allora, perché tutto questo?” insistetti, cercando di capire il gioco perverso che sembrava godere così tanto.

“Perché?” ripeté, allargando le braccia in un gesto teatrale. “Perché voi, miei cari, avete scelto di entrare in questo mondo.” Ci guardò uno per uno, soffermandosi su di me. “Non siete qui per caso, ricordatevelo. Questo gioco ha delle regole... e io sono qui per assicurarvi che le seguiate.”

“Ma tu chi sei, davvero?” mormorò Aria, quasi più a se stessa che a lui. La sua voce era un sussurro, ma nella stanza risuonò come un colpo.

Il Giullare sospirò, come se fosse annoiato dalla nostra insistenza. “Sono tutto e niente,” disse, tracciando un gesto ampio nell’aria. “Sono quello che vedete e quello che non riuscirete mai a vedere, una presenza che non potete spiegare... un po’ come lo specchio che riflette ciò che non siete.” Il suo sguardo si fece intenso. “Ma, ripeto, non è per questo che sono qui.”

Estrasse il libriccino con un gesto fluido e ce lo porse. “Avete poco tempo, quindi fareste meglio a sbrigarvi,” disse con un tono che sembrava un avvertimento. “Ogni minuto conta, e se rimarrete indietro… beh, diciamo che le cose potrebbero diventare molto interessanti.”

Leo afferrò il libriccino, lo aprì e fece scorrere le pagine in cerca di qualcosa di utile. Ci chinammo tutti, osservando le scritte sbiadite. Alcune pagine sembravano antiche, consumate ai bordi, e l’odore di carta vecchia ci avvolgeva, come se quel libriccino avesse visto secoli di storie.

Mentre Leo leggeva, il Giullare si mosse verso la porta. “Io vi osservo sempre, ricordatevelo,” disse, guardandoci per l'ultima volta prima di uscire. “Che siate pronti o meno, il tempo non vi aspetta mai.”

Non appena uscì, un silenzio pesante riempì la stanza, rotto solo dal fruscio delle pagine.
Leo, Aria e io ci avvicinammo lentamente alla porta, quasi trattenendo il respiro. C'era qualcosa di solenne e minaccioso nell'aria, come se oltre quella soglia ci aspettasse una rivelazione sconcertante. Non appena varcammo la porta, sentimmo una vibrazione nelle mani, e il libriccino, che avevamo ancora stretto tra le dita, prese a tremare come se avesse vita propria.

Ci guardammo perplessi, cercando di capire se fossimo solo stanchi, se la tensione ci stesse giocando brutti scherzi, o se davvero lo stessimo vivendo tutti allo stesso modo. Poi, inaspettatamente, Aria lanciò un urlo quasi teatrale, come se davanti a lei fosse apparso un assassino. La scena era talmente assurda che non potemmo fare a meno di ridere, ma subito dopo un brivido ci percorse: il libriccino tremava davvero.

Leo e io ci scambiammo uno sguardo inquieto, e senza una parola ci chinammo per aprirlo insieme. Non appena le pagine si dispiegarono davanti a noi, le risate si spensero. Fu come se un macigno invisibile ci fosse caduto sulle spalle. Ogni parola incisa sulla carta sembrava emanare un'energia oscura, quasi soffocante.

Fu in quel momento che mi accorsi di come il paesaggio attorno a noi fosse cambiato. Le prime luci del mattino, che avevano reso l’atmosfera quasi fiabesca, erano scomparse, e il pomeriggio avanzato aveva tinto il cielo di un rosso cupo e inquietante. Le ombre si allungavano come mani spettrali sul terreno, deformando ogni cosa, rendendo il mondo attorno a noi irriconoscibile, come se fossimo stati catapultati in una di quelle fiabe dark di cui avevo letto da bambina. Mi sembrava di essere finita in un incubo, uno di quelli che non sai se riuscirai mai a lasciarti alle spalle.

“Leo…” sussurrai, senza riuscire a distogliere lo sguardo dalle pagine. “Hai mai visto qualcosa di simile?”

Leo scosse la testa, la sua espressione era contratta in un misto di paura e fascino. “No, mai. È come se… come se stessimo aprendo una porta che non dovremmo attraversare.”

Aria tremava leggermente, il viso pallido e gli occhi spalancati, mentre fissava le scritte oscure. “Che cosa ci stanno cercando di dire?” mormorò, la voce spezzata dall’angoscia. “Perché tutto questo sembra… sbagliato?”

Le parole non avevano bisogno di essere dette: tutti noi percepivamo che eravamo finiti in un posto che andava oltre ogni logica, in un mondo che non apparteneva a noi, un mondo capace di divorare la nostra sanità mentale.

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