l'arrivo di malakia

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Capitolo 9: L'Ombra del Rimorso

Ci allontaniamo dalla panchina, con il fiato corto e le parole di Rufus che riecheggiano nelle nostre menti come una minaccia sospesa nell’aria. Troviamo un rifugio in una vecchia casa poco distante, un edificio che sembra disabitato da decenni, con le pareti scrostate e la porta che pende da un solo cardine. Ci sediamo sul pavimento polveroso, in silenzio, come per cercare di raccogliere le forze e riordinare i pensieri.

Dopo un lungo momento, Leo rompe il silenzio. “Forse parlare un po’ ci farà sentire meno soli,” dice con un sorriso stanco. “Sono qui perché non riesco a perdonarmi per aver lasciato andare l’unica persona che avessi mai amato. Pensavo di essere lì per proteggerla, ma ho fallito.” I suoi occhi verdi si perdono nel vuoto, e posso vedere la vulnerabilità sotto la sua maschera forte.

Aria, che è seduta accanto a me, prende un respiro profondo prima di parlare. È minuta, con capelli biondi lisci che le incorniciano il viso pallido. “Io sono qui per fuggire dai miei incubi,” sussurra, quasi per paura di infrangere il silenzio. “Ho perso la mia famiglia in un incidente… e da allora vedo il loro volto ovunque. Ogni giorno mi chiedo se avrei potuto fare qualcosa di diverso. Mi perseguitano come ombre, e io non so come sfuggire.”

Prendo un respiro profondo, cercando di trovare le parole. “Io…io  non mi sono mai perdonata per quella notte. Non ho mai avuto pace, sapevo che qualcosa non andava, ma tutti pensavano che fossi solo preoccupata senza motivo. E poi, quando ho sentito quel rumore, quel leggero movimento non mi sono svegliata in tempo. Quando finalmente l'ho fatto… mia figlia non c'era più. Era stata portata via.”

Le lacrime iniziano a riempirmi gli occhi, ma continuo. “Le persone mi dicevano parole di conforto, cercavano di farmi sentire meglio, ma ogni loro parola mi faceva solo arrabbiare di più. Nessuno capiva davvero. Nessuno poteva sentire il vuoto che mi si era aperto dentro. Mi sento come se metà della mia anima fosse stata strappata insieme a lei.”

La cosa peggiore è che non so chi sia stato, né perché l’abbia fatto. È come vivere in un incubo senza fine, tormentata da domande che non trovano risposta. Mi struggo, mi aggrappo ai frammenti della mia memoria, cercando di capire, ma rimango sempre intrappolata in quel silenzio terribile. Non sapere chi mi ha portato via mia figlia rende tutto ancora più insopportabile, una ferita che non può rimarginarsi.So che non sono stata l'unica,che nel tempo si è sempre parlato di come questa fosse una dell' paure più ignote di chi va a partorire,ma mai dico mai avrei pensato che si potesse avverare e nessuno mi ha capito,mi dicevano vai avanti hai altri figli e io li perdevo sempre un altro pezzo dela mia anima.

Il silenzio che segue è diverso. Non è solo paura o tensione, ma un senso di comprensione reciproca che ci lega. Per la prima volta, sento di non essere sola nel mio dolore.

Passano pochi minuti in questo silenzio fragile, finché non sentiamo un leggero fruscio alla porta. Ci voltiamo tutti, allarmati, e vediamo una figura che emerge dall’ombra: è una donna anziana, curva, con una bandana legata intorno alla testa, forse per proteggersi dal sole cocente del giorno. Ha una gobba accentuata, e si appoggia a un bastone che sembra sorreggerla. I suoi capelli, bianchi come la luna, le incorniciano il volto, dandole un’aria gentile ma misteriosa.

La donna avanza lentamente, con un sorriso dolce e sereno, e si scusa timidamente per l’intrusione. “Mi chiamo Dotty, cari… mi dispiace aver ascoltato tutto, ma cercavo anche io un riparo,” dice con un tono caldo e rassicurante, anche se c’è un’ombra nei suoi occhi.

Nonostante la sua apparenza innocua, percepiamo tutti una strana sensazione di disagio. Dotty si siede accanto a noi, e con un sorriso gentile tira fuori delle caramelle dal grembiule, porgendole come se fossimo bambini. “Ascoltate a nonna Dotty, bambini. In qualsiasi posto foste, o situazione, nulla avrebbe cambiato il corso degli avvenimenti.”

Ci guardiamo tra di noi, un po’ a disagio, ma è impossibile non ascoltare le sue parole. C’è qualcosa nel suo sguardo che sembra conoscere segreti nascosti.

Poi, il suo sorriso si spegne, lasciando posto a un’espressione seria. “Da qui a poco conoscerete Malakia, uno dei guardiani del gioco,” ci avverte. “È meglio che vi nascondiate bene, che chiudiate ogni porta e non lasciate spiragli. Se non lo fate, lui vi troverà.”

Un tremore profondo, simile a un rombo sotterraneo, scuote la casa. Ogni fibra del mio essere si tende, e anche Leo e Aria sembrano trattenere il fiato. Un suono cupo, accompagnato da un ringhio che sembra provenire dal cuore della terra, si avvicina inesorabilmente.

Dotty ci osserva con urgenza. “Sbrigatevi,” sussurra. “Non lasciate che Malakia vi trovi.”

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