nascosto nell' ombra

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Jolly di fiori:

Stavo nascosto, cercando di non fare rumore, attento a non rivelare la mia presenza mentre osservavo i ragazzi. Indicare la strada giusta senza che se ne accorgessero era stato più difficile di quanto pensassi. Ogni gesto doveva essere perfetto, ogni indizio lasciato al momento giusto, senza che loro intuissero la mia mano dietro al loro cammino.

Improvvisamente, sentii un fremito nell'aria. Mi voltai di scatto, e lì, a pochi passi da me, c'era Dalia. Mi fissava con uno sguardo sinistro, un sorriso tagliente le attraversava il volto.

"Li stai aiutando?" sibilò. Ma non era una domanda; era un'accusa.

Provai a mantenere la calma, cercando di non lasciare trasparire nulla. "Saresti sicura prima di accusare qualcuno," risposi con un tono che speravo fosse sicuro.

Dalia sollevò un sopracciglio, e il suo sorriso si fece ancora più freddo. "Fai bene il tuo lavoro," disse lentamente. "Non vorrai che i reali sappiano di un tradimento, vero?"

Quella non era una semplice minaccia. Era un avvertimento preciso, che sapevo di non poter ignorare. Sentii il cuore accelerare, ma feci di tutto per non lasciar trasparire il minimo segno di agitazione. Se solo avesse saputo che i miei ricordi stavano riaffiorando… sarebbe stata la mia fine ancora prima di poter anche solo provare a ribellarmi.

"Cosa vuoi, Dalia?" chiesi a bassa voce, lasciando trasparire la mia irritazione. "Perché sei qui? Sai benissimo che il tuo posto è nei primi due mondi. Cosa penserebbero i reali se raccontassi loro della tua… ‘presenza’ qui?"

Dalia ridacchiò, un suono amaro che mi fece gelare il sangue. "Sei davvero un grandissimo sciocco," rispose, guardandomi con un misto di disprezzo e divertimento. "Io sono qui per un motivo preciso: loro non devono vincere. Non devono superare i traumi… proprio come noi." I suoi occhi si fecero taglienti come lame. "Oppure hai dimenticato che se tu sei qui, c'è una ragione ben precisa?"

Cercai di mantenere un’espressione neutra, anche se ogni sua parola risvegliava in me ricordi e sensazioni che speravo di aver sepolto. "Io… non ho dimenticato nulla," mormorai, cercando di convincerla, e forse anche di convincere me stesso. "Io sono solo il Giullare di corte, niente di più. Non sono mai stato altro."

Finsi indifferenza, ma sapevo che Dalia non avrebbe lasciato cadere la conversazione così facilmente. Lei mi fissava, con quello sguardo che sembrava scavare nella mia anima, come se vedesse ogni segreto che cercavo di nascondere.

"Ah, certo, il Giullare," disse con sarcasmo. "Il piccolo burattino dei reali." Si avvicinò, inclinando il capo, come per studiare ogni sfumatura del mio viso. "Ma io ricordo chi ero," sibilò, "e so esattamente perché sono qui. Non capisco, però, il tuo accanimento a volerli proteggere. Sono solo altri giocatori, no? Come tanti altri che sono passati prima di loro."

Le sue parole mi colpirono come una pugnalata, e per un istante mi sentii vacillare. Lei aveva ragione, non era la prima volta che vedevamo dei giocatori affrontare questo gioco crudele. Eppure, c’era qualcosa in questi ragazzi che non riuscivo a ignorare, qualcosa che mi spingeva a intervenire, a fare il possibile per offrirgli almeno una possibilità.

"Dalia, ci sono stati altri giocatori," dissi infine, cercando di tenere la voce salda. "Ma non mi risulta che con loro tu abbia dato tutti questi avvertimenti. Perché con loro è diverso?"

Il sorriso di Dalia si affievolì, e nei suoi occhi apparve per un istante un barlume di vulnerabilità. Ma fu solo un attimo. Poi il suo sguardo tornò duro e gelido.

"Perché loro… non devono riuscirci," rispose, con un tono che sembrava definitivo. "Non devono superare i loro traumi, non devono uscire vincitori da questo gioco. Non se lo meritano."

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