Prologo

454 24 19
                                    

Guardai l'orologio; erano le 14:30 e di lì a due ore sarebbe dovuto partire il mio aereo, un Boeing diretto senza alcuno scalo alla magnifica New York; per me, poco più che ventenne (avrei dovuto compiere ventun anni a marzo) era un'esperienza assolutamente nuova ciò a cui stavo per andare incontro: avrei potuto studiare all'estero per un anno in una delle più prestigiose università americane. Avrei potuto intessere nuove reti di rapporti, creare nuove amicizie, convivere con persone di un'altra nazionalità ed esercitarmi con la lingua inglese, il che era forse ciò che più mi preoccupava assieme all'idea del convivere con gente a me totalmente sconosciuta, di cui non avevo la benché minima idea di quali fossero gli usi e i costumi. E se le parole che sarebbero uscite dalla mia bocca fossero suonate ridicole alle orecchie della gente? E se non fossi riuscita a inserirmi?
Tali erano le preoccupazioni più grandi per me, ragazza qualsiasi dalla personalità timida e riservata, ma che voleva cercare di superare i propri limiti per diventare una persona migliore, ai suoi stessi occhi e agli occhi altrui, che aveva sempre avuto la terrificante e scoraggiante impressione di sembrare una persona per così dire mediocre, che "non-è-mai-all'altezza-di".
Superare i miei limiti e mostrare al mondo la vera stoffa di cui ero fatta, facendo strabuzzare gli occhi a tutti coloro che finora avevano badato alla mera apparenza. Ecco cosa volevo fare.
E poi si sarebbero tutti meravigliati della persona che ero diventata.
Chiusi gli occhi; il sogno più grande della mia vita avuto fino ad ora stava per essere realizzato.
Cuore a mille; pensieri, preoccupazioni riguardanti il viaggio e l'arrivo mi balenavano nel cranio, correvano una maratona senza pace e senza fine da un lato all'altro del mio cervello senza mostrare alcun segno di fatica. Millemila pensieri avanzavano a gran velocità uno dietro all'altro, pronti per lo sprint finale, cioè per l'attimo che precedeva la salita nell'aereo. Perché poi si sarebbe calmato tutto, e io lo sapevo, e i piccoli scatenati messaggeri di informazioni nella mia testa si sarebbero accasciati a terra, vittoriosi e non, sfiniti dalla corsa. Ma fino a quel momento mi toccava sorbirmi solo l'agonizzante piacere dell'attesa.
Se non fosse stato per i miei genitori non sarei stata in aeroporto in quel momento ad aspettare l'aereo; se non fosse stato per mio padre che si era tanto impegnato a guadagnare denaro per rendere possibile tutto ciò rimanendo ore ed ore in più a faticare rispetto ai suoi compagni di cantiere; se non fosse stato per mia madre che si era sforzata nell'appoggiare la mia decisione pur essendo profondamente preoccupata per i possibili pericoli a cui andavo incontro (essendo risaputo che New York non è esattamente la città più sicura del mondo); se non fosse stato per il mio fratello minore, Giovanni, che aveva preso i vispi occhi azzurri, le lentiggini e i capelli rossi da suo nonno proprio come me, se non fosse stato per lui e per i suoi incoraggiamenti nei momenti più bui di indecisione e smarrimento... se non fosse stato per loro io non mi sarei in quel momento trovata all'interno dell'aeroporto di Milano-Malpensa assieme a qualche studente della mia università e a ragazzi di altre scuole, pronti per fare il check-in e partire.
Mi voltai; dietro a me vi erano i miei genitori e quel mollusco di mio fratello, che stava appiccicato a mia madre come fa una cozza con il suo scoglio; mi guardavano con occhi intrisi contemporaneamente di fierezza, orgoglio e uno spiraglio di preoccupazione.
<< Ragazzi siete pronti? Prendete tutto che ci mettiamo in fila per il controllo dei bagagli, del biglietto e del passaporto; abbiate tutti i documenti necessari sottomano così facciamo più veloce.>>
Mia mamma mi rivolse uno sguardo, voltò gli occhi dall'espressione rassegnata verso me sussurrando con voce flebile e spezzata: << È l'ora; vuoi che aspettiamo qua finché non hai percorso tutta la fila o che ce ne andiamo a casa adesso? >>
<< Beh, se avete voglia di aspettare per un'altra ora in piedi allora siete liberi di farlo; ma so che la schiena di papà a volte ha voglia di protestare: forse è meglio che partiate. State tranquilli, so cavarmela da sola ormai >>
<< Sicura? Possiamo contare su di te e sulla tua responsabilità? >>
<< Sicura sicura. Ora andate a riposarvi. >>
<< Ti vogliamo bene, Alice >>
Gli occhi luminosi di mia madre si velarono di lacrime; mio padre mi sorrise orgoglioso; mio fratello mi guardò con un'aria sconsolata, come se avesse in quel momento perso a tempo indefinito il suo compagno di giochi.
<< Mamma, non piangere; è solo un viaggio. Appena arrivo vi faccio uno squillo, non preoccupatevi di nulla e andate a riposare, che ne avete bisogno. Ricordatevi delle sei ore di fuso orario però: anche se l'arrivo è previsto per le 19 vi ricordo che quella è l'ora americana, in Italia sarà circa l'una di notte; ora vi saluto davvero. Vi voglio bene anche io. >>
Alzai dunque i tacchi con le valigie in mano e mi misi in coda dietro a tutta la massa di ragazzi e turisti, preparandomi mentalmente all'interminabile attesa prima della partenza.

Teal and Orange (sospeso) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora