06. Adam

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Dovevo essermelo sognato. Sì, non c'era altra spiegazione per quello che avevo visto. Forse avevo bevuto troppo, o forse c'era una chissà quale droga nel mio bicchiere. Eppure, anche dopo aver sbattuto le palpebre più volte, lei era ancora lì, con quelle iridi dorate accese di luce propria, i canini allungati e l'aria sconvolta.
I suoi erano capelli scompigliati, la crocchia che aveva prima era mezza disfatta e molte ciocche le ricadevano in modo scomposto ai lati del viso e sugli occhi. La canottiera che indossava era sgualcita e spiegazzata. Il suo respiro era affannoso e spezzato. E mi guardava come se io fossi stato il cacciatore e lei l'animale in trappola.
«Che... che ci fai qui?» Riuscì a mormore.
«Io... Me ne stavo andando.» Risposi.
Odiavo quel posto tanto quanto odiavo il gruppo che suonava. In più mi ero ritrovato un mal di testa fastidioso spuntato fuori da chissà dove. Avevo bisogno di prendere aria quindi avevo pensato di andarmene, anche solo per cinque minuiti, dall'uscita di sicurezza che si trovava in un corridoio da cui si accedeva attraverso una porta dal lato opposto rispetto a dove si entrava nel locale. Di sicuro non mi aspettavo di trovarci la ragazza che avevo quasi messo sotto il giorno prima con i canini allunganti e le iridi color oro.
Chiuse gli occhi e quando li riaprì erano tornati al loro solito colore. Anche quelle che sembravano zanne erano sparite lasciandola libera di stringere le labbra con aria irritata. «Allora vattene.»
Mi ritrovai a scuotere la testa senza rendermene conto. «Non posso.»
«Cosa? Certo che puoi.» Allungò un braccio verso qualcosa alle sue spalle. «Visto? Quella è la porta.»
«Non intendevo questo. Tu... tu che farai? Cioè, voglio dire, quello... I tuoi occhi e...» Mettere insieme una frase di senso compiuto sembrava impossibile.
«Non è una cosa che ti riguarda, chiaro?» Ringhiò guardandomi male.
«Certo che mi riguarda!» Sbottai. «Quello che ho visto... Mi devi una spiegazione. Anche piuttosto dettagliata. Gli occhi delle persone con cambiano colore così all'improvviso, sai? E di sicuro avere delle zanne retrattili in bocca non è normale. In più ieri eri in mezzo ad un bosco. Di sera. Completamente sola. E ho rischiato di ucciderti. Quindi ora mi spieghi che diavolo sta succedendo.»
Ci fissammo per chissà quanto, lei con le braccia tese lungo i fianchi e i pugni stretti così forte da avere le nocche bianche, io con il respiro spezzato e la mascella serrata. Era incredibile come riuscisse a sostenere un confronto di sguardi tanto a lungo senza battere ciglio. I suoi occhi marroni erano accesi dalla rabbia e da una sfumatura dorata. Ancora non riuscivo a capire cosa fosse e probabilmente non ci sarei mai arrivato. A meno che non fosse stata lei a dirmelo.
Il punto era, come convincerla a dire una cosa del genere? Sembrava più che decisa a tenerla per sé ad ogni costo, neanche fosse stato un segreto di stato, qualcosa che riguardava la sicurezza del mondo intero.
«Non dici niente?» Domandai dopo quella che mi era sembrata un'eternità passata a reggere il suo sguardo infastidito e intenso.
«Non ho motivo di farlo. E non capisco perché ti interessa tanto, non puoi semplicemente andartene e lasciarmi vivere la mia vita?» Sbuffò alzando il mento in segno di sfida.
«No, perché è più che evidente che la tua vita si intreccia alla mia un po' troppo spesso.» Replicai incrociando le braccia al petto.
«Beh, non è colpa mia. Quindi, vattene. E lasciami in pace.» Insistette.
«Senti Scarlett, così non andiamo da nessuna parte. Dimmi anche solo a grandi linee cosa sta succedendo, dimmi se sono ubriaco io e se sto sognando... Qualunque cosa. Solo... dì qualcosa.» Perché mi stavo impuntano su una cosa del genere? Che senso aveva? C'erano buone probabilità che lei mi odiasse, quindi per quale motivo ne volevo sapere di più?
«Non lo dirai a nessuno, vero?» Chiese studiandomi.
Voleva parlare quindi? «Certo. Nessuno ne saprà niente.»
Non riuscivo a credere che fosse davvero sul punto di dirmi la verità. O comunque qualcosa. Avevo ancora in mente l'immagine nitida dei suoi occhi dorati, dei suoi canini allungati e della sua espressione sconvolta.
La guardai e per un attimo mi apparve per ciò che era davvero: una ragazza confusa ed impaurita da quello che c'era dentro di lei. Una ragazza alla ricerca di una qualche specie di equilibrio tra il suo essere interiore e il mondo che c'era fuori. Una ragazza che si sforzava di essere forte e intoccabile sempre e comunque.
«Se fai uno più uno ci arrivi anche da solo.» Mormorò fissando il pavimento.
Aggrottai la fronte e cercai di mettere insieme i pezzi: occhi che brillavano, zanne, carattere piuttosto difficile... L'unica cosa che mi veniva in mente era una ragazza in "quel periodo del mese" con una qualche specie di mutazione genetica. Ovviamente, oltre ad essere una cosa da non dire assolutamente ad alta voce, era una teoria più che improbabile.
Riportai lo sguardo su di lei e feci per scuotere la testa, ma poi notai le occhiate ansiose che lanciava alla piccola finestra accanto all'uscita di sicurezza, la tensione dei suoi muscoli, l'ansia che si percepiva forte e chiara da ogni suo singolo movimento. Seguii la direzione del suo sguardo e vidi la luna quasi completamente piena che rischiarava il cielo notturno.
«Un lupo mannaro.» Sussurrai più a me stesso che a lei.
Si irrigidì di colpo e strinse i pungi così forte da far diventare nocche bianche. Di nuovo. Poi annuì tenendo le labbra serrate in una linea sottile.
«Sei un lupo mannaro.» Ripetei come se quelle quattro parole insieme non avessero alcun senso. Perché, in effetti, era così: i licantropi, o lupi mannari o come li si vuole chiamare non esistono. Sono pura finzione, leggende create per spaventare la gente e per passare il tempo. Non era assolutamente possibile che lei fosse... un lupo.
Incrocia i suoi occhi che mi lasciarono spiazzati con la loro intensità, così brucianti nei miei, come se fossero stati di fuoco. Un fuoco che mi bruciava prima le iridi e che poi scendeva lentamente facendosi strada tra i rancori, le parole non dette, le delusioni, le speranze più nascoste e segrete.
Ero davvero davanti ad un licantropo? La licantropia esisteva sul serio? Ammesso che fosse il termine giusto da usare... Come diavolo avevo fatto a finire da solo in un corridoio deserto con un lupo mannaro?
La cosa che mi lasciò più interdetto, però, fu la mia stessa reazione: non ero sconvolto come credevo di dover essere, come sarebbe stato logico essere. Ero abbastanza sorpreso, questo sì, ma non sentivo l'impulso di correre via a gambe levate né paura o timore di nessun tipo. Anzi, mi sembrava di essere attratto da quella creatura così complessa che era quella ragazza. E non credevo assolutamente che fosse un buon segno.
Trassi un respiro profondo e mi lasciai sfuggire la prima domanda che mi passò per la testa: «Sei... sei nata così?»
Mi scoccò un'occhiataccia rabbiosa. E notai che aveva messo su il broncio. «Secondo te?»
Suonava come una domanda retorica ma, ovviamente, io non avevo idea di come funzionassero quelle cose, quindi mi limitai a guardarla sperando che mettesse da parte anche solo per un attimo quella sua corazza apparentemente inattaccabile e mi spiegasse almeno il minimo indispensabile.
Da una parte me l'aspettavo, però un po' ci rimasi male lo stesso quando incrociò le braccia al petto e sollevò le sopracciglia fissandomi come se fossi stato un perfetto idiota.
«Senti, è inutile che mi guardi così, okay? Se non me lo dici tu è impossibile che io ci arrivi. Capisco che vuoi mantenere l'alone di mistero e tutto il resto, però è decisamente fastidioso, lasciatelo dire.» Sbottai esasperato.
Schiuse le labbra, sorpresa. Rimase interdetta per un attimo per poi ritrovare il controllo di sé. «No, non sono nata così. Ma non mi va di parlarne.»
«Okay.» Convenni: mi rendevo conto che si stava sbilanciando parecchio. E che probabilmente non le faceva piacere. «Quindi... Adesso che si fa?»
Sbatté le palpebre, quasi confusa. «Io e te, insieme, proprio niente. Tu non dovevi andartene?»
Mi resi conto che aveva ragione, lo sapevo benissimo, ma c'era una parte di me che non voleva saperne di allontanarsi da lei e da tutti i misteri che si portava dietro. «Posso aspettare.»
Aggrottò la fronte per un attimo prima di scrollare le spalle. «Okay, divertiti.»
Si avvicinò a me, o meglio, alla porta, e sollevò un braccio per aprirla. Senza pensare a quello che stavo facendo, le afferrai un polso. Si bloccò all'istante, riuscii praticamente a sentire i suoi muscoli che si irrigidivano. Alzò di scatto il viso verso di me, i suoi occhi marroni tornarono a bruciare i miei, allarmati e sospettosi.
Era a meno di due centimetri da me, sentivo il calore del suo corpo nonostante i vestiti che ci separavano. A dirla tutta non era nelle mie intenzioni finirle così vicino, anzi, da una parte volevo prendere le distanze per cercare di reprimere quella strana attrazione che sentivo verso di lei. Attrazione che non aveva niente a che fare con il desiderio: riguardava quel suo lato soprannaturale e all'apparenza oscuro che avevo visto solo di sfuggire. Era così diversa dentro eppure così comune fuori a far crescere il mio interesse senza che me ne rendessi veramente conto.
Contrariamente a quello che pensavo, mantenne la calma e non si infuriò. Forse, sotto sotto, non mi odiava poi così tanto. O forse sì, ma stava cercando di nasconderlo.
«Che c'è?» Chiese, la voce bassa che tradiva comunque una nota d'impazienza.
Feci per dire qualcosa per poi rinunciare: perché l'avevo fermata? Perché mi incuriosiva? Poteva essere un motivo valido? Se fosse stato davvero per quello, come diavolo sarei riuscito a spiegarlo a parole? Era una cosa che non capivo fino in fondo nemmeno io, figuriamoci una persona che sembrava voler scappare il più lontano possibile da lì.
Mentre io cercavo di fare un minimo di chiarezza, lei mi guardava, in attesa, aspettando una risposta che forse non sarebbe mai arrivata.
Abbassai lo sguardo e mi morsi il labbro cercando in modo quasi disperato una motivazione al mio gesto. «Perché eri in quel bosco ieri?» Quella domanda non convinceva neanche me, non era quello che volevo sapere. O meglio, sì, volevo che me lo spiegasse, ma c'erano molti altri misteri che avrei voluto svelare prima di quello.
«Non voglio parlarne. Né ora né in futuro.» Disse semplicemente con aria risoluta.
In un momento di lucidità mi resi conto di essere più alto di lei di diversi centimetri, che aveva del trucco sbavato introno agli occhi e che aveva addosso un profumo appena accennato di cannella, così leggero che credevo di immaginarlo.
Mosse piano il polso che tenevo ancora tra le dita. «Hai altro da chiedere?»
"Un altro centinaio di domande come minimo", pensai. «Io... Sì.»
Annuì e strinse le labbra come se si aspettasse una risposta del genere. «Immagino. Perciò te lo dico fin da ora: non voglio parlare mai più di questo. Mai. Ho già detto troppo oggi, non saprai nient'altro da me.»
Schiusi le labbra, sorpreso. «Cosa...?»
Si strinse nelle spalle. «È la verità, per quanto mi riguarda io e te abbiamo chiuso qui. Anzi, non abbiamo neanche iniziato. Io non ti conosco, tu non conosci me, punto. Non c'è niente di più.»
Liberò senza fatica il braccio dalla mia presa, aprì la porta ed uscì per poi chiudersela alle spalle senza aggiungere niente, senza mai voltarsi indietro. Rimasi come incantato a fissare il muro davanti a me per chissà quanto. Una parte di me era convinta che mi fossi inventato tutto, che Scarlett fosse solo un frutto della mia immaginazione, o che magari l'avevo davvero quasi investita e, dopo essermi ubriacato, l'avevo rivista per un qualche strano motivo. Oppure stavo impazzendo e tutto quello che mi stava succedendo era solo una grande, enorme allucinazione.
Non ne avevo idea, non sapevo come spiegare una cosa del genere: così tante coincidenze erano impossibili, prima quasi la mettevo sotto in mezzo ad un bosco e poi la incontravo mezza trasformata in lupo mannaro in un locale? Doveva essere una qualche specie di scherzo. O magari un sogno.
L'unica cosa che sapevo per certo era che quella ragazza mi avrebbe perseguitato per tanto, tanto tempo. Che fosse reale o no, me la sarei ritrovata ovunque, forse non in senso letterale, ma, nonostante se ne fosse andata da meno di un minuto, avevo già capito che sarebbe stato molto difficile smettere di pensare a lei e ai suoi strani misteri.

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